d’accertamento.
Concludendo, nelle norme per la determinazione del valore è fatto cenno di un potere di revisione come di un momento della fase preliminare pro dromo alla notifica dell’avviso d’accertamento che apre la contestazione e ne segna gli estremi, ma una volta promossa e iniziata la contestazione, rav viso d’accertamento rappresenta ormai il tema della contestazione stessa, salvo
del contribuente entro il termine fissato dalla legge (di solito trenta giorni).
Il termine e l’impugnabilità si riferiscono, invece al diritto di azione del contribuente, che ne decade se non lo esercita entro il tempo e con le forme prescritti. Ma l’avviso d’accertamento, se legittimamente formato, è efficace fin dal momento della sua emissione e tale efficacia permane fin tanto che all’accertamento delPTJfìficio non si sostituisca il concordato (includendosi in questo concetto anche la tacita accetta zione del contribuente) o la decisione definitiva della giurisdizione am ministrativa od ordinaria, donde sorge il diritto dell’Erario alla riscos sione del tributo.
La validità d’un atto amministrativo, cioè la sua efficacia, non può rimanere a lungo indecisa e perciò viene fissato dalla legge per l’even tuale impugnativa un termine perentorio, di solito breve.
Ma l’efficacia presuppone anche un atto perfetto, cioè completa mente formato (26), onde non può confondersi l’avviso d’accertamento, che costituisce atto a sè distinto, col successivo procedimento o proce dura d’accertamento contenziosa (rispettivamente cioè la fase di revisio ne e la fase di contestazione indicate dalla decisione in esame), cui dà luogo l’eventuale impugnativa, per dedurne, come qualche autore ritie ne (27), la revocabilità del primo, essendo revocabili gli atti d’un proce dimento finché questo non abbia avuto termine con l’atto conclusivo (28). L’atto che inizia il processo contenzioso tributario, invero, è il ricorso del contribuente, sia che lo si voglia chiamare opposizione sia che lo si voglia definire impugnativa, ma tale non è la dichiarazione dell’Ufficio, che costituisce soltanto il prius storico e necessario del rap porto processuale, mancando il quale neppure sorge l’interesse ad agire (29). Nè è a dimenticarsi che il procedimento amministrativo
(26) G. Zanobini, op. cit., p. 249. (27) A. Rotondi, op. cit., loc. cit. (28) G. Zanobini, op. cit., p. 297.
(29) G. Buzzetti, Diritto processuale tributario, Rassegna critica di giu risprudenza in Riv. dir. fin. e scienza fin., 1949, I, p. 187.
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l’esercizio eccezionale della facoltà riconosciuta esclusivamente alle Commis sioni amministrative.
Quando all’avviso notificato il contribuente abbia fatto adesione prestando acquiescenza o lasciando decorrere il breve termine entro il quale soltanto è consentita la contestazione, il valore notificato rimane definitivo : esso si pone ormai come base irretrattabile per l’imposizione del tributo.
Il potere di revisione, quindi, del quale l’Amministrazione può valersi è quello consentito dagli arti. 17 e 20 del decreto-legge 7 agosto 1936, n. 1639, e non altro ; di un potere di revisione più ampio, perdurante anche dopo la notificazione dell’avviso d’accertamento, non è possibile parlare senza intro durre elementi o principi che sarebbero estranei al sistema e male si concilie rebbero con esso. Per il contribuente il valore dichiarato è di per sè stesso
inteso in senso tecnico, cioè come serie di atti successivi tra loro, e col legati, che, soltanto se completa, è produttiva di effetti giuridici (30), rappresenta, con Tatto conclusivo, la manifestazione di volontà del- l’Amministrazione, mentre nel procedimento contenzioso questa non con corre con la propria volontà alla formazione del provvedimento ma è parte in causa. Quello, inoltre, è attività amministrativa, il secondo è attività giurisdizionale.
Se, invece, vi è concordato, in questo concorre una nuova manife stazione di volontà dell’Amministrazione, distinta da quella costituente l’atto d’accertamento; se vi è tacita acquiescenza del contribuente, que sta si risolve in rinunzia all’impugnativa e non sorge perciò alcun nuovo atto distinto dall’avviso di accertamento, già perfetto ed efficace di per se stesso. Esattamente, quindi, l’annotata decisione rileva che con la notificazione dell’avviso d’accertamento devesi ritenere completamente esaurita la fase di revisione della dichiarazione della parte o della deter minazione d’ufficio dei valori imponibili.
5. — L’art. 34 della legge di registro dà facoltà all’Amministrazione finanziaria di ridurre il valore accertato e resosi definitivo per man cata tempestiva impugnazione dell’accertamento, quando questo risulti manchevole o erroneo. Una analoga disposizione si trova, in materia d’imposta generale sull’entrata, nell’art. 17 del D. Legge 3 maggio 194S n. 799.
Da tali norme si vorrebbe da taluno dedurre che, se la Ammini strazione ha la facoltà di correggere i propri errori nell’interesse del contribuente, non potrebbesi ad essa negare analoga facoltà di cor reggere a proprio favore gli errori dell’accertamento.
Si può osservare che la facoltà contemplata dalle predette norme ha per presupposto l’inattività del contribuente (31) laddove per la Amministrazione non tratterebbesi di inattività ma di apprezzamento.
(3 0 ) U. Bo r s i, o p. c i t. , p . 34.
(31) Circ. min. 21 aprile 1938, n . 8478, § 5, n. 1 e ciré. min. 10 luglio 1948 n. 73370, § XVII, n. 2.
irretrattabile non potendo egli insorgere contro la propria confessione e solo un diritto d’opposizione può ammettersi nell’ipotesi in cui l’Ufficio proceda a determinazione di valore.
L’Ufficio, invece, a norma dell’art. 17 e dell’art. 20, è autorizzato a rivedere i valori, siano quelli dichiarati, siano quelli pattuiti tra le parti, siano ancora quelli da esso stesso determinati: trattasi di unico e fondamentale potere di revisione che l’art. 17 chiama pure diritto di rettifica. Questo potere si esplica a mezzo d’un atto che deve essere notificato entro un termine perentorio e non si intende come, una volta esercitato il potere di revisione, possa l ’Uilìcio tornare sull’atto che ha costituito la tipica manifestazione e la concreta attuazione di quel potere, con il risultato di tornare non già su di un valore che possa essere stato quello convenuto o dichiarato ovvero quello determinato dallo
Ma sta di fatto che l’eccezionale facoltà in esame deriva da espressa disposizione di legge, la quale, quando ha voluto consentire la ripeti zione dell’avviso di accertamento, ha pure dettato una espressa norma particolare quale è quella dell’art. 34, comma 2°, della legge di registro, mod. dall’art. 8 della Legge 12 giugno 1930, n. 742 (ripetizione della notifica dell’avviso d’accertamento non notificato prima a mani pro prie del contribuente).
La soluzione della questione, comunque, si trova nel sistema gene rale dell’accertamento tributario, del quale fanno parte quelle norme che conferiscono alle Commissioni di prima istanza il potere di aumen tare i valori imponibili accertati dall’ufficio: art. 43 del T.U. 24 agosto 1877, n. 4021 e art. 39 del E.l). Legge 7 agosto 193G, n. 1639 in materia di redditi mobiliari; art. 5 del R.D. Legge 5 marzo 1942, n. 186 in ma teria di trasferimenti immobiliari; art. 18 del D. Legge 3 maggio 1948, n. 799 in materia d’i.g.e. per le entrate soggette all’imposizione in ab bonamento; in materia di imposta di negoziazione, art. 12 del D. Legge 5 settembre 1947, n. 1173.
Come si vede il campo d’applicazione di tale potere è vasto; e poiché inclusio unius exclusio alterius, ci sembra che esattamente sia stato ritenuto (32), concordemente con la decisione in rassegna, che la facoltà d’aumentare i valori già regolarmente notificati sia esclusiva delle Commissioni, tanto più che lo stesso Ufficio può promuovere l’eser cizio di tale potestà (33). Soltanto in seno alle Commissioni l’ulteriore pretesa dell’Ufficio può avere il preliminare esterno vaglio, sommario ma necessario, che ammetta per lo meno in via di massima quell’erro neità o quella manchevolezza, le quali soltanto potrebbero giustificare, un perturbamento della posizione giuridica del contribuente, già sta bilitasi.
Dalle precipitate disposizioni di legge, perciò, si trae ex adverso la conferma dell’irrevocabilità dell’atto d’accertamento: l’azione
corret-(32) U. Am a d i o, op. cit. loc. cit.
(33) Comm. Centr. 30 aprile 1942, n. 54854, in Riv. Leg. Fise., 1943, 416.
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stesso Ufficio senza la necessaria ponderazione, ma su di un valore che è frutto di un’indagine di revisione. L’Ufficio ha avuto modo e tempo di rivedere il valore, ossia di richiamarsi ad un valore che per l’economia e la rapidità del procedimento di imposizione deve essere considerato suscettivo di costituire la base per la determinazione del tributo.
trice delle Commissioni, all’infuori d’ogni funzione giurisdizionale, rap presenta una deroga ad un principio generale, che non può soffrire limitazione se non in determinate condizioni di tempo e luogo per espressa volontà del legislatore.
Concludendo, nella decisione annotata, è penetrabile l’intimo fine di allontanare ogni incertezza giuridica alla base del rapporto tri butario: per questo, essa egregiamente si inserisce tra quelle decisioni che, nell’eterno contrasto di interessi tra Finanza e contribuenti, più rivelano il significativo sforzo della giurisprudenza d’inquadrare in linee definite il rapporto stesso, sostanziale e processuale, per spianare la via dell’aspirazione umana verso il raggiungimento di quella giu stizia tributaria, di cui si parla con tanto fervore d’intenti.
Giovanni Provini
Imposta sul valore globale — Successione nei quattro mesi da altra — Be neficio tributario — Non compete.
Il beneficio tributario previsto per la imposta di successione dall’art. 19 del R. D. 30 dicembre 1923, n. 3270, non può essere esteso all’imposta sul valore globale netto dell’asse ereditario, stante l’autonomia e la indipendenza dei due tributi.
Il riferimento fatto dall’art. 13, capoverso, del D. L. L. 8 marzo 1945, n. 90, alle disposizioni della citata legge non può che riguardare le norme procedurali e formali, giammai quelle sostanziali (1).
Patto. Il 28 ottobre 1946 morì in Porto Potenza Picena la signorina Bocci Beatrice, lasciando erede il fratello Bocci Filippo.
Poco dopo, e precisamente il 4 gennaio 1947, morì in Roma il nominato dr. Filippo Bocci, lasciando eredi i nipoti, figli della propria sorella Erminia, e cioè Flaviano e Angela Moscarini.
Trattandosi di due trasferimenti per causa di morte, avvenuti nel periodo di quattro mesi e aventi per oggetto gli stessi beni, l’Ufficio, in applicazione dell’art. 19 della legge tributaria 30 dicembre 1923 n. 3270, mandò esente da imposta di successione il primo trasferimento, ma per entrambe le successioni liquidò e riscosse la normale imposta sul valore globale netto dell’asse eredi tario, non essendovi per questo tributo una disposizione analoga a quella pre vista per l’imposta di successione del citato articolo 19.
Con ricorso del 1° ottobre 1949, l’ing. Flaviano Moscarini chiese la restitu zione dell’imposta liquidata e pagata sul valore globale netto dell’asse eredi tario relitto dalla fu Bocci Beatrice, assumendo che anche a tale tributo è da ritenere applicabile il beneficio della moderazione prevista dall’art. 19 della legge tributaria sulle successioni 30 dicembre 1923, n. 3270.
(1 ) Estensione dell’art. 19 della legge sull’imposta successoria all’imposta sul valore globale.
1. La decisione, che annoto, dimostra quanto poco profonda sia la conoscenza della natura e della interpretazione delle leggi finan ziarie, nonostante la letteratura italiana di questi ultimi cinque lu stri (1) se la Commissione Centrale perviene ad escludere che le dispo- 1
(1) B. Griziotti, Impuestos directos y reforma impositiva, Cordoba, Im prenta Universidad, 1927, cap. VII, Principi di politica, diritto e scienza delle finanze, Padova, Cedam, 1929, cap. VII. Il problema giuridico e politico del l’interpretazione nel diritto romano e nel diritto moderno con particolare ri guardo al diritto finanziario, Pavia, Istituto Giuridico, 1934. L ’interpretazione delle leggi finanziarie, Riv. Dir. Fin. e Se., F., 1949, I, 347 ; E. Vanoni, Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, Riv. Int. Se. Soc., ag. 1932; M. Pugliese, Istituzioni dì diritto finanziario, Padova, Cedam, 1937; M. S. Giannini,
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La Commissione provinciale con decisione 30 marzo 1950 accolse il ricorso dei contribuente, ma l’ufficio si è gravato di appello, ritenendo esso inappli cabile alla imposta sul valore globale netto della eredità il beneficio in parola. Il contribuente ha replicato chiedendo la conferma della decisione impu gnata e facendo istanza per essere sentito di persona.
Diritto. —• L’audizione personale non è ammessa avanti questo Collegio, essendo di ostacolo il disposto dell’art. 48 del R. decreto 8 luglio 1937, n. 1516, il quale espressamente dichiara che i giudizi avanti la Commissione Centrale si svolgono senza intervento nè della parte nè del rappresentante della Finanza.
Nel merito l’appello dell’Ufficio si presenta fondato.
L’art. 4 del decreto-legge 4 maggio 1942, n. 434, istitutivo dell’imposta sul valore globale netto dell’asse ereditario, dichiarava la nuova imposta indipen dente dall’imposta di successione sull’eredità e sulle quote di eredità regolata dal testo approvato col R. decreto 30 dicembre 1923 n. 3270.
Lo stesso principio trovasi affermato nell’art. 6 del decreto legislativo 8
sizioni dettate dalla legge di successione per evitare la confisca fiscale dei patrimoni trapassati due volte entro due anni sia da applicare anche all’imposta sul valore netto globale.
E’ spirito fiscale eccessivo, che, in momenti di bilancio in disavanzo e di fronte a tributi eccessivamente frodati, impedisce di rendere giu stizia al contribuente? Ma il fiscalismo eccessivo, chi non lo sa, è causa considerevole delle evasioni.
Eppoi sono molti i casi di trapassi fra parenti entro i limiti del III gruppo di successibili cui è consentito il favore della legge, da costituire un motivo di preoccupazione fiscale? Non mi pare che così sia.
Se invece si tratta di dissensi fondamentali nella dottrina della interpretazione, è bene chiarirli.
Innanzitutto commentiamo i singoli motivi della decisione surri- portata della C.C., la quale osserva in sostanza :
I) che i due tributi, di cui si tratta, sono autonomi. Ma che si gnifica l’autonomia dei due tributi? Non certo che essa è assoluta e generale, perchè entrambi riguardano il trasferimento della ricchezza « causa mortis » e si integrano vicendevolmente, perchè l’imposta di successione ha riguardo alla speciale capacità contributiva degli eredi, considerata sotto i due aspetti della maggiore o minore prossimità dei vincoli di sangue, mentre il tributo sul valore globale considera la capacità contributiva dell’intero patrimonio (asse ereditario) che deve essere suddiviso fra gli eredi. Il punto saliente — e questo è bene notare — di tutta la questione in esame è il trasferimento causa mor tis e qfiesto è proprio il presupposto di diritto finanziario, che è comu-pretazione e l’integrazione delle leggi tributarie in questa Riv. 1941, I, 95, 170; D. Ja r a c h, Principi per l’applicazione delle leggi di Registro, Padova, Ce- dam, 1937. Si vedano inoltre molte note giurisprudenziali in Riv. Dir. Fin. e Se. Fin., dai 1937 al 1943, e dal 1949 in poi, indicate in una nota successiva.
marzo 1945 n. 90, che abrogò il decreto-legge 4 maggio 1942, n. 434 dinanzi ricordato, e nell’art. 8 della legge 12 maggio 1949, n. 206.
Il legislatore dunque ha voluto attribuire al nuovo tributo un’autonomia propria quanto alla sua natura e alla sua sostanza, autonomia giustificata dalle caratteristiche particolari che esso presenta in rapporto all’imposta applicabile alle eredità ed alle quote di eredità.
L’imposta sul valore globale dell’asse ereditario ha infatti — almeno nella sua struttura concettuale — carattere reale e come tale ha riguardo unica mente al valore totale netto del patrimonio ereditario per prelevarne una quota parte percentuale a favore dello Stato, di guisa che la devoluzione al chiamato che viene alla successione ha per oggetto soltanto la parte residua dell’asse ereditario. In conseguenza su questa parte soltanto, cioè sull’asse ereditario ridotto della quota parte appresa dallo Stato a titolo di imposta sul valore globale viene — a norma dell’articolo 13 del decreto legislativo 8 marzo 1945, n. 90 — applicata la imposta sulle quote di eredità e sui legati, imposta che per
ne alle due imposte che è da fissare per l’applicazione ricettizia della prudente moderazione d’imposta, voluta dall’art. 19.
E appunto l’art. 13 cap. (D.L.l. 8 marzo 1945, n. 90) getta un ponte fra i due tributi e con ciò dimostra che sono dello stesso genere, se non in tutto e per tutto uguali, dettando la regola recettizia che per l’imposta sul valore globale valgono, in quanto applicabili e in quanto non sia diversamente stabilito (dal detto decreto) tutte le disposizioni contenute nei RR.DD. 30-12-1923 nn. 3269 e 3270 e successive modifica zioni e aggiunte. L’autonomia significa che i due tributi si applicano ognuno per sè, con criteri conformi alla loro natura e funzione. Ma tutto ciò non toglie che la loro applicazione possa avere norme comuni, quando la situazione e la « ratio legi.s » lo giustificano, come del resto è affermato dal citato capoverso dell’art. 13.
II) Che l’una imposta è reale e l’altra personale! Ma quale im portanza ha tale differenza nell’escludere che la « ratio » dell’art. 19 della legge sulle successioni possa estendersi alla legge d’imposta sul valore globale? Certamente nessuna, perchè il pericolo della distru zione del patrimonio in due successive successioni, entro i due anni, si manifesta anche se un tributo è reale e l’altro è personale.
I l i ) Che la disposizione dell’art. 19 (1. 30-12-1923 n. 3270) ha lo scopo di evitare una decimazione di patrimonio in due successivi tra sferimenti « mortis causa » a breve distanza di tempo l’una dall’altra e che tale considerazione non ricorre nei riguardi dell’imposta sul valore globole, perchè si tratta in definitiva di un diritto di prela zione (sic) che per legge compete allo Stato prima che abbia luogo la devoluzione dell’eredità. E a tale diritto l’Amministrazione non può rinunziare senza una esplicita disposizione di legge, che, investendo una questione attinente alla sostanza del tributo, non può l’interprete con siderare compresa e implicita nel riferimento contenuto all’art. 13, capoverso (D.L. 8-3-1945 n. 90), riferimento, che nella sua generica
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essere di natura prevalentemente personale, tiene conto della condizione parti colare dell’erede o del legatario, moderando, accentuando o eliminando del tutto l’onere del tributo a seconda del grado di parentela corrente col de euius, a seconda del loro stato di possidenza e della attività da essi spiegata a fini assistenziali e sociali.
Notevole ed essenziale risulta quindi la differenza tra le due imposte che pur trovando entrambe applicazione in occasione dell’apertura della successione, sono regolate ciascuna, per quanto riguarda la sostanza del tributo, da norme particolari, adeguate alla diversa natura e alle caratteristiche economiche e finnziarie proprie.
A questa esigenza fondamentale risponde appunto 11 testo dell’art. 13, ca poverso del citato decreto 8 marzo 1945, n. 90, il quale nel dichiarare valevoli per l’Imposta sul valore globale netto dell’asse ereditario tutte le disposizioni contenute nella legge tributaria sulle successioni 30 dicembre 1923, n. 3270, si affretta ad aggiungere e a precisare: in quanto applicabili. E non può davvero
nmlazione non può riguardare se non le norme procedurali e formali, giammai quelle sostanziali.
Ora di fronte a questa terza tesi, non si capisce:
a) perchè il legislatore non deve essersi preoccupato di evitare una decimazione di patrimonio con replicate imposte sul valore globale, come invece se ne preoccupò nel caso dell’imposta di successione. Non regge il motivo della differenza di trattamento affermata della C.C., defi nendo l’imposta sul valore globale un « diritto di prelazione », diritto di prelazione mai visto in nessuna legge fiscale e nemmeno effettuato in realtà. Non regge quindi l’argomento che l’Amministrazione non possa rinunziare a tale diritto, se questo è inesistente.
Nè la generica formulazione dell’art. 13, appunto perchè senza esclusioni, non può consentire all’interprete una distizione fra norme sostanziali e norme procedurali e formali, senza un adeguato studio della legge e delle regole dell’interpretazione, che in questa decisione manca, mentre deve essere necessariamente compiuto, perchè si può dire che la questione dottrinale, che riguarda questa decisione, ha una importanza scientifica e giuridica generale.
2. — Innanzi tutto, facendo un’interpretazione funzionale della legge, è da precisare che la disposizione dell'art. 19 non rappresenta un’eccezione alla legge successoria, in quanto non contraddice la a ratio legis» di essa; è una disposizione di favore; ed essa è dettata da esi genze di equità e di politica economica.
Non è una eccezione, questa riduzione alla metà dell’imposta per l’ultimo trasferimento (art. 19), perchè corrisponde a una precisa com misurazione della capacità contributiva (1). Come i patrimoni minimi 1
(1) La mitigazione dell’imposta, quando è replicata sullo stesso soggetto o sulla stessa cosa, è norma che si osserva anche rispetto all’imposta sui redditi agrari, istituita con aliquota dimezzata rispetto a quella di r. m. sugli
agrieoi-dirsi applicabile alla imposta sul valore globale dell’asse ereditario il criterio di moderazione, previsto dall’art. 19 della legge tributaria sulle successioni 30 dicembre 1923 n. 3270.
La disposizione contenuta in detto articolo ha lo scopo di evitare che i beni che vengono a cadere in due successivi trasferimenti per causa di morte, a breve distanza di tempo l’una dall’altra, giungano agli eredi della seconda successione sensibilmente decimati dalla duplice imposizione. Siffatta conside razione non ricorre nei riguardi della imposta sul valore globale dell’asse ere