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L’esibizione oggettuale e il simbolo

2.3 Significato estetico della cosa: res ed aistheta

2.3.3 L’esibizione oggettuale e il simbolo

Dopo aver analizzato i due esempi relativi alla brocca e alle scarpe, viene naturale chiedersi quale sia l’atteggiamento di fondo che la natura morta intrattiene con le cose che rappresenta. Da una parte infatti - abbiamo visto - c’è una tensione attrattiva che sospinge la cosa e la sua rappresentazione una verso l’altra, fino quasi a toccarsi e comunque fino alla specchiarsi narcisisticamente l’una nell’altra. D’altra parte, abbiamo visto quanto questa vicinanza sia problematica, tanto da poter essere quasi messa in dubbio nel movimento derridiano delle scarpe tra esse stesse, la loro presenza e la loro rappresentazione. Un’attrarsi e un respingersi dunque.

La natura morta si occupa degli oggetti anche con toni molto diversi tra loro, mescolando generi e scelte artistiche, ma sempre ricercando la validità estetica degli oggetti che raffigura. Ne è un esempio l’opera di Bartolomeo Bimbi (Setti- gnano 1648 - Firenze 1729), che si situa concettualmente tra una composizione di natura morta di frutti e un catalogo botanico50: in quadri di grande formato,

Bimbi dipinge enormi piante, assolutamente di fantasia, che esibiscono dozzine di

qualità diverse di frutta (agrumi, uva etc...), con tanto di nomi elencati i cartigli dipinti all’interno del quadro stesso. Se da una parte ciò risolveva l’ordine del committente (Cosimo III de’ Medici, che voleva mettere in mostra le varietà frut- tifere che i suoi giardini offrivano), dall’altra non è possibile non notare la volontà di dare una forma esteticamente valida a quella che avrebbe potuto essere una semplice esibizione scientifica, per quanto verosomigliante.

Come atteggiamento di fondo, potremmo accostare a Bimbi alcuni lavori di Jan Bruguel Il Vecchio che, con il suo Grande Vaso di Fiori, rappresenta “una raccolta pittorica di fiori”51 che ha a che fare con la passione del collezionista

piuttosto che con quella dell’appassionato botanico: la presentazione dei fiori, la loro ostensione, non ha più nulla di naturale e sfida le leggi del tempo (e delle stagioni) ma anche quelle dello spazio (e della fisica), visto il disequilibrio dei fiori rispetto al vaso e le dimensioni del mazzo rispetto a quest’ultimo.

La natura morta dunque sembra farsi carico della validità estetica dell’ogget- to quando ammettiamo che l’esposizione di generi alimentari, posate, tovaglie, contenitori non è riconducibile alla loro rappresentazione in qualità di semplici strumenti d’uso della vita quotidiana. Senz’altro sono prodotti, nel senso che trovano la loro genesi nell’azione dell’uomo, che li ha destinati a fare la loro com- parsa nel mondo, inserendoli in un contesto significativo determinato. Per questo è altamente significativa la doppia accezione che possiamo dare al termine Zeug che Heidegger usa nel suo saggio sull’opera d’arte. Anche se l’oggetto inserito nello spazio pittorico non cessa di essere un prodotto, viene messa in discussione il suo essere strumento o, per lo meno, viene indicato un ulteriore spazio di si- gnificato in cui l’oggetto può trovare un senso proprio. In una lezione del 1937, Heidegger si confronta con un acquerello di Dürer del 1502 in cui figura sem- plicemente una lepre accovacciata (viva). L’opera gli pone, nella sua semplicità

disarmante, la questione del rapporto tra opera e uomo: Qui l’opera e là l’uomo; e in mezzo, proprio niente?

L’opinione fallace è quella per cui l’uomo è una cosa di fronte alla quale sta una cosa. Tuttavia, nella misura in cui l’uomo si dirige in generale verso qualcosa, quest’ultima è già nel suo mondo, anche senza che egli lo sappia.52

Faccio riferimento a questo testo poiché Heidegger evidenzia in maniera chiara e specifica la distanza che separa questa lepre dalle illustrazioni precedenti dedicate agli animali, come se ne trovano per esempio nei bestiari medievali del XII secolo. In questi, l’animale è portatore di una funzione simbolica (forza, velocità) e per questo la sua rappresentazione è quasi schematica, il disegno si riduce ad un abbozzo generico e determinato solo quanto basta a richiamare nello spettatore un’immagine generica dell’animale. L’immagine è dunque solo “ideogramma” che ha la sola funzione di indicare un genere, un genus: per Heidegger ciò è dovuto alla precipua struttura metafisica medievale, per la quale il singolare non appartiene alla sfera dell’essere, essendo questa di esclusiva competenza del generale. In questa prospettiva, l’individuo (l’individuato) è separato, scisso dalla totalità e per questo non è possibile che gli venga attribuito lo statuto di essente. Come per Platone,

L’universale era in precedenza l’ente in sé in senso autentico.53

L’universale è l’orizzonte di riferimento dell’essere, l’unico orizzonte entro il quale si dà possibilità non solo ontologica, ma anche gnoseologica. La lepre schema- tizzata che possiamo trovare in un bestiario medievale è solo l’indicazione di

52M. Heidegger, Lezione del 27 Gennaio 1937. Le lezioni non sono presenti nella Gesamtau-

sgabe poiché si tratta di una trascrizione operata da uno dei partecipanti al seminario. Per le indicazioni del caso, si rimanda alla postfazione del curatore tedesco U. von Bülow, in Introduzione all’Estetica. Le Lettere sull’Educazione Estetica di Schiller, edizione italiana a cura di A. Ardovino, Carocci, Roma, 2008.

significato, l’ostensione di un gesto che indica materialmente concettualità, re- lazioni, qualità per loro natura astratte, ma che riposano nel seno dell’Essere. Dunque

l’ultimo fondamento del simbolismo è una conseguenza della meta- fisica54

una metafisica, aggiungiamo noi, che platonicamente separa l’essere del tutto dal non essere dell’individuo. Potremmo arrivare a dire che, seguendo la strada di questa metafisica, il mondo è necessariamente pieno di simboli; anzi, non ci sono che simboli, se si vuole dare intellegibilità ad una realtà che si presenta come somma di enti individuali, ma che trova significato solo nell’astrazione del loro concetto generale.

Il capovolgimento di questa struttura metafisica, operato inizialmente già dai medievali (Heidegger si riferisce a Duns Scoto ma soprattutto a Ockham), si sviluppa nello svolgersi del pensiero moderno, in cui il singulare acquista uno statuto ontologico autonomo e per il quale il generale altro non è che la rappre- sentazione del singolare. Leibniz, Spinoza ma anche Cusano e Cartesio poggiano le loro basi speculative sull’assunto (si badi bene ancora metafisico, nell’accezione heideggeriana di questo termine) dell’esistenza della cosa individuale.

A questo punto della storia, dunque, con la nascita della modernità si restrin- ge lo spazio per il simbolo, ente individuale che indica l’universale e con questo indicare rende presente lo stesso universale; ormai l’ente è singolo, individuo, particolare. Ogni cosa, dal ciuffo d’erba alla lepre (per restare nell’ambito düre- riano) non rimandano a null’altro che alla propria singola esistenza, anche quando l’oggetto è intessuto in un contesto religioso o culturale che lo carica di altri e ulteriori significati.

3.1 La natura morta tra Augé, Freud e Marx