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2.2 Spazio e tempo della natura morta

2.2.1 Vita e morte

Siamo dunque ad un punto decisivo in quello che potremmo chiamare il nostro viaggio fenomenologico all’interno della natura morta. Un punto centrale poiché passando dal concetto husserliano di ortoestetico siamo arrivati a chiamare in causa i concetti di spazio e tempo all’interno delle immagini che nel corso della storia dell’arte sono state racchiuse entro la categoria generalissima di nature morte. Spazio tempo che non sono mai concetti astratti, ma vengono incarnati e resi visibili - e tematizzati - dal genere stesso, e così facendo, spesso caricati di significati secondari che nascondono la cosa che la natura morta palesa agli occhi dello spettatore.

Le pagine che Merleau-Ponty dedicata alla costituzione della realtà oggettuale nella Fenomenologia della Percezione entrano in diretto dialogo con le pagine appena prese in considerazione di Husserl e in più sembrano essere dettate al filosofo proprio da un’osservazione costante e attenta delle nature morte. Anche se il riferimento costante in queste pagine resta la pittura di Cézanne e la sua rappresentazione della realtà11, le sue parole si adattano sorprendentemente bene

a illustrare un possibile percorso di lettura fenomenologico della rappresentazione dedicata all’oggettuale.

Il rapporto tra le cose e corpo che le percepisce si situano in uno spazio espe- rienziale, in cui l’oggetto è un oggetto percepito secondo dei precisi orientamenti spaziali e temporali:

Per ogni oggetto c’è una distanza ottimale dalla quale esso chiede di essere visto, un orientamento sotto il quale si offre in maggior

11Si veda per esempio M. Merleau-Ponty, Le doute de Cézanne, in Sens et non-sense,

Gallimard, Paris, 1960. Trad. it. Il dubbio di Cézanne, in Senso e non senso, Garzanti, Milano, 1974.

misura.12

E inoltre:

... il mio corpo è permanentemente posto in stazione di fronte alle cose per percepirle13

Quindi gli oggetti e il corpo che li percepisce condividono uno stesso spazio in cui entrano in reciproco contatto, e l’immagine che lo spazio pittorico esibisce non si esime da questa necessità.

La natura morta apparentemente sembra uscire da questa situazione di coap- partenenza, sia dal punto di vista spaziale che temporale. Dal punto di vista spaziale perché, per quanto sia intenso ed efficace l’inganno pittorico, al fruito- re non sarà mai permesso di prendere in mano l’oggetto rappresentato, né di avvicinarsi oltre i limiti della superficie pittorica, né di poterlo vedere da altri punti di vista14 (la parte posteriore del vaso, la vista dall’alto di una brocca -

che potrebbe nascondere anche una crepa o una sbeccatura). Quindi possiamo dire che fruitore e oggetto rappresentato condividono lo stesso spazio? O che lo condividono solo il fruitore e l’oggetto-quadro? Non sembra esserci nemmeno una coappartenenza temporale: il soggetto è sottoposto alle leggi del tempo, ad assistere al proprio invecchiamento e ad immaginare la propria morte, mentre il rappresentato resta nel suo presente eterno, vivo e immobile, silenzioso. Anzi, su questo punto Merleau-Ponty sembra essere abbastanza chiaro:

Un presente senza avvenire o un eterno presente è esattamente la definizione della morte, il presente vivente è lacerato fra un passato che esso riprende e un avvenire che proietta15

12Merleau Ponty, Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris, 1945. Trad. it.

Fenomenologia della percezione, Il Saggiatore, Milano, 1965.pagina 398

13Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., pagina 398. Il corsivo è mio. 14Si vedano le precedenti riflessioni su Husserl: “Quando osserviamo una cosa, la osserviamo

sempre necessariamente da un certo punto di vista”, Idee II, cit., pagina 24.

Quindi in realtà la natura morta nella sua fissazione temporale e spaziale sem- bra in prima istanza non avere niente a che fare con lo spazio della vita, anzi: sembra piuttosto che abbia a che fare soprattutto con l’altro dalla vita, la mor- te. Dove c’era originariamente movimento, nella pittura morta c’è stasi, dove è stato possibile sperimentare, osservare crescita e dinamismo, ora, entro limiti della cornice,c’è solo la quiete e il silenzio dell’immobilità assoluta, dell’eterno presente dove tutto è già compiuto e dove nulla - in più o in meno - è possibile. Non è possibile nemmeno la decadenza, la marcescenza e l’avviarsi verso la morte dell’oggetto, non è pensabile la consumabilità dell’oggetto rappresentato.

Una non consumabilità che non si traduce immediatamente in vita eterna; il regno della vita e quello dell’inanimato sono ancora distinti, come fa notare anche A. Bloch:

La vita si è insediata tra e su le cose, come su oggetti che non hanno bisogno di respirare, né di nutrirsi, che sono “morti” senza decomporsi, sono sempre presenti senza essere immortali;16

Non è vita dunque, ma nemmeno morte: congelato in una situazione intermedia che non permette alla cosa naturale inserita nel quadro né di essere completamen- te vivente, e nemmeno di essere mortale. Una zona intermedia di cui nessun uomo ha, o può avere un’esperienza diretta, (anche se in realtà potremmo approssimar- ci a questa situazione in alcune descrizioni di visioni e percezioni mistiche, in cui il tempo e il soggetto collassano e scompaiono insieme alle categorie determinate di vita e di morte, in favore di una percezione panteistica e totalizzante17). Ciò

nonostante, gli oggetti raffigurati nella natura morta sono ciò che più è vicino:

16E. Bloch, Der Rüken der Dinge, in Spuren, P. Cassirer, Berlin, 1930 e in seguito nella

Gesamtausgabe, Bd. 1, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1959, pagine 172-175. Edizione italiana a cura di L. Boella, Il rovescio delle cose, in Tracce, pag.181-184. Significativamente, il passo continua così: “la cultura si è insediata sul dorso delle cose, come se fossero il suo scenario più familiare” (il corsivo è mio).

17Si vedano per esempio le riflessioni sul rapporto tra Dio e il Mondo di Meister Eckhart, in

utensili, cibi, luoghi di vita quotidiana, oggetti che portano sempre la traccia della mano dell’uomo. E tutto ci fa pensare al fatto che sia stata proprio questa mano a astrarli dal corso del tempo. Se fossero rimasti all’interno delle mondo loro proprio, il fiore sarebbe sfiorito naturalmente senza diventare elemento orna- mentale, l’animale non sarebbe diventato cacciagione: la mano dell’uomo compie esattamente lo stesso gesto che compie il pittore fissandoli sulla tela. La mano del pittore rappresenta qui la mano di ogni uomo, la capacità dell’uomo di costruire un mondo e un tempo; la pittura di natura morta esemplifica l’intenzionalità del soggetto riportando l’attenzione del fruitore sul suo mondo normale: la normalità della percezione è, potremmo dire, l’oggetto stesso della rappresentazione pitto- rica, la quale, però, produce un effetto imprevisto. Il quotidiano della percezione normale, una volta rappresentato, non è più quotidiano, ma viene traslato su un piano diverso, in cui viene sottratto alla vita e alla morte per entrare nell’eterno presente della raffigurazione.