• Non ci sono risultati.

Significato del quadro, significato della cosa

2.2 Spazio e tempo della natura morta

2.2.2 Significato del quadro, significato della cosa

L’oggetto della natura morta quindi non promette nient’altro che quello che già espone di sé? C’è ancora quel mistero che emerge dalle cose grazie al loro “essere costantemente opache”?

Ecco quel che resta alle natura morta: l’opacità, la superficialità, il loro essere esteriorità rese in termini magistrali e poste davanti ai nostri sensi. E lo spettatore della natura morta sa che dietro la superficie non c’è nulla di cosale, ma solo di pittorico. Potremmo dire (come si può in effetti dire): resta l’intenzionalità del significato che il pittore ha voluto trasporre sulla tela.

Ed è su questo punto che la lettura fenomenologica introduce un fertile cortocir- cuito: il significato di un quadro per Merleau-Ponty è deciso a monte dall’autore, che trasporta la sua intenzionalità attraverso il significante pittorico:

Al pari della cosa, il quadro è da vedere e non da definire, ma, essendo come un piccolo mondo che si apre all’altro, esso non può aspirare alla medesima solidità, e noi sentiamo bene che è fabbricato intenzionalmente, che in esso il senso precede l’esistenza e si avvolge del minimo di materia che gli è necessario per comunicarsi18

“Comunicarsi” significa stabilire la connessione significativa tra se stesso e il sog- getto percipiente, in cui il quadro stesso è al tempo stesso medium e messaggio (per dirla alla McLuhan): non c’è altro significato che quello dell’immagine stessa espone immediatamente, mentre si apre alla percezione da parte del fruitore.

Nella cosa invece:

Il reale si distingue dalle nostre finzioni perché in esso il senso inve- ste e penetra profondamente la materia. Una volta lacerato il quadro, fra le mani non abbiamo altro che pezzi di tela verniciata.19

Quindi, al contrario dell’immagine fittizia, solo il reale si presta a una esplorazione infinita.20

Sembra dunque che in questa prospettiva, il vero oggetto di indagine potenzial- mente infinita, sia l’esistenza di un oggetto chiamato “quadro”, il suo insieme - reale - di legno, tela, pigmenti, leganti. Dunque sembra che la vita delle cose raffigurate sia legata alla vita dell’oggetto quadro: tutti i suoi componenti mate- riali costituiscono in effetti un oggetto nel mondo, l’oggetto-quadro, che subisce i traumi e le vicende del tempo nella sua costituzione materiale: quando i suoi colori si spengono, coperti dalla polvere o insidiati nei loro legami molecolari, anche la vita degli oggetti rappresentati si allontana dallo sguardo del soggetto,

18Ibidem, pagina 422. Il corsivo è mio. 19Ibidem, pagina 422.

fino al limite della scomparsa, della irriconoscibilità del rappresentato, che torna così ad essere una macchia di colore su una tela.

Il corto circuito che la natura morta innesca risalta quando ci chiediamo quale sia il senso portato sulla tela dall’intenzione del pittore nel genere della natura morta. Cosa vediamo quando siamo di fronte ad una natura morta? Vediamo il reale. Non vediamo elementi fittizi, immaginari o allucinatori (forse), vediamo piuttosto le cose che quotidianamente ci circondano, percepiamo forme e colori che siamo soliti percepire, ma non solo. Merleau-Ponty cita Cézanne:

Cézanne diceva che un quadro contiene in sé persino l’odore di un paesaggio. [Con ciò] voleva dire che ... la cosa è la pienezza assoluta che la mia esistenza indivisa proietta di fronte a se stessa.21

Gli oggetti rappresentati nell’oggetto quadro non sono altro che oggetti, niente di più e niente di meno.

È quindi abbastanza comprensibile che davanti alla semplicità sconcertante del raffigurato, siano nate quasi subito letture iconografiche che hanno visto in ogni oggetto un simbolo, un’allegoria, un riferimento a significati ulteriori, come se il quadro contenesse un’eccedenza significativa (kerigma) unica depositaria della chiave di accesso alla lettura del quadro. In queste letture il senso del quadro è un enigma che può essere risolto solo attraverso una lettura cifrata di ogni elemento. Gioco intellettuale certamente affascinante e magari non estraneo a qualche elemento di verità. Ma si ritiene qui che l’essenziale della natura morta sia l’esposizione dell’oggettuale nelle sue qualità esteriori e superficiali e non invece la ricerca di un significato da decodificare, decriptare e riscoprire, senza il quale il quadro resta vuoto e insignificante. Anzi, è questa opacità - come abbiamo chiamato prima con le parole di Merleau-Ponty questa caratteristica delle nature

21Ibidem, pagina 416. La frase di Cézanne è ripresa da J. Gasquet, Cézanne, pag. 81. Sempre

Merleau-Ponty: “nelle cose c’è una simbolica che collega ogni qualità sensibile alle altre”, ibidem, pagina 417.

morte - che è di per sé significante e che rende interessante lo studio di questo genere pittorico. È la semplice esposizione della superficie delle cose che suscita la curiosità e l’interesse fenomenologico:

Il senso di una cosa abita questa cosa come l’anima abita il corpo: non è dietro le sue apparenze.22

In questa ricerca del senso della cosa riveste un ruolo primario il corpo del soggetto percepiente (in quanto altro termine della relazione)

La cosa si costituisce nella presa del mio corpo su di essa23

Ma il raffigurato di una natura morta non ha veramente corpo, in quanto non c’è nessuno che ne possa avere una reale presa: né qualcuno all’interno del quadro, in quanto l’elemento umano - l’unico che possa effettuare una presa intenzionale - è estromesso dalla scena, né tanto meno dal mio corpo di spettatore, che ha davanti a sé solo l’oggetto quadro, che contiene nel suo spazio pittorico un’immagine da osservare ad una certa distanza. Anche se

En s’approchant au plus près de la surface pour en goûter le merites, celui qui regarde heurte en effet une assise du dispositif traditionnel de l’imitation en peinture, qui veut qu’un tableau soit envisagé à une certaine distance. D’une importance theorique considérable, ce prin- cipe est à la base de la construction régulière d’un espace fictivement tridimensionnel, et il s’y est progressivement inscrit sous l’espéce du «point de distance», correlatif necessaire du «pointe de fuite» pour élaborer une apparence de tridimensionnalité conçue en relation avec un spectateur fictif.24

22Ibidem, pagina 417. Il corsivo è mio. 23Ibidem, pagina 417.

24Daniel Arasse, Le Détail. Pour une histoire rapprochée de la peinture, Flammarion, Paris,

1996, pagina 238. Traduzione italiana Il dettaglio. La pittura vista da vicino, traduzione di A. Pino, Il Saggiatore, Milano 2007, pagina 222.

Anche nella natura morta lo spettatore si situa all’interno di un dispositivo vi- sivo che esige una certa disposizione delle sue parti: questo perché la capacità dell’immagine di simulare la presenza degli oggetti esige per avere effetto, a cau- sa della bidimensionalità della tela e della materialità dei colori, che parte della sua costituzione fisica venga nascosta. Cioè deve essere nascosta l’organizzazione materiale dell’oggetto-quadro, per lasciare apparire l’oggetto manifestato dall’im- magine. Solo che nella pittura di genere - e in quella di natura morta, in modo particolare - questo dispositivo viene spesso intenzionalmente rotto:

Codesto infierire sul particolare, esatto fino all’esasperazione, non autorizza neppure a parlare di «realismo» o di «naturalismo» nel sen- so a-storico che codesti sciagurati epiteti hanno creduto di poter assu- mere dal Romanticismo in poi. Autorizza tutt’al più a dire che nella pittura di Jan Van Eyck, e di lì nella dipendente pittura fiammin- ga, olandese, francese, tedesca, è consentito come una avvicinamento di secondo grado all’immagine, un avvicinamento, per così dire, che può far pensare all’indagine sulla parola, disgiunta dal verso che la contiene.25

La natura morta spinge, contro il suo stesso interesse, a portarsi vicino, troppo vicino, tanto da non consentire che l’illusione ottica rimanga integra. Brandi sostiene - riferendosi a Van Eyck ma ritengo che la considerazione valga ancor di più per la natura morta - che l’immagine così prodotta si presta ad essere «frugata» esattamente come può essere indagato il fenomeno che riproduce. In questo parallelismo tra la cosa e l’immagine, lo spazio si contrae per essere con- tenuto nello spazio pittorico della tela e da assoluto diventa costretto, limitato:

25Cesare Brandi, Spazio Italiano, Ambiente Fiammingo, Il Saggiatore, Milano, 1960, pagg.

11-35. Ora disponibile anche, con lo stesso titolo, in Cesare Brandi, Tra Rinascimento e Medioevo. Scritti sull’arte, a cura di M. Andaloro, Jaca Book, Milano, 2006. Le frasi citate sono a pagina 206 di quest’ultima edizione.

diventa ambiente26. Nello spazio assoluto le forme sono eterne, eidos, posiziona-

te in un iperuranio intangibile e in cui il particolare cede il passo all’universalità geometrica, finché

tutto lo spazio è architettura27

e dove l’accidens non trova posto. E tutto è sostanza (necessaria).28

Nell’ambiente invece il particolare diventa assoluto, nel senso che non c’è nulla che sia più di un particolare. Il singolo pomello, la singola piega sulla tovaglia sono dettagli all’interno di una composizione che li contiene, ma non c’è mai un richiamo all’universalità o un tentativo di porsi come forma universale dell’og- getto che essi ritraggono. Il bicchiere sulla tavola non è mai “il bicchiere”, ma piuttosto quel bicchiere, un bicchiere: l’elemento geometrizzante e universaliz- zante è assente, tutto lo spazio non è architettura, ma semplice interno di una dimora, lo spazio è “casa”.

Certamente, nella mia casa reale i fiori deperiscono, nell’ambiente del quadro sono sempre immobili, sottratti al loro destino naturale: dunque anche nell’am- biente fiammingo il tempo in realtà è sottratto. Abbiamo dunque un ambiente che costruito di particolari, di forme individuali, ma sottratte al tempo e quindi, in un certo senso, abbiamo un accidens eternizzato, che ha rubato alla sostanza platonica il suo destino di immortalità. È questo che ci turba, mentre osserviamo una natura morta? È questo che ci spinge ad avvicinarci sempre di più, fino a far scomparire l’immagine dietro ai suoi segni - dietro al pittorico? È questa sensa- zione di disagio provocata dal fatto che ciò che dovrebbe essere ontologicamente accidentale e temporale, viene ad essere assunto a sostanza immortale, divina, è

26Cesare Brandi, ibidem, pagina 208. 27Cesare Brandi, ibidem, pagina 209.

28Lo stesso Brandi non può non notare la stretta connessione tra l’opera d’arte del Seicento e

questa la sensazione che ci spinge a pensare alla natura morta come un genere perturbante (nonostante la semplicità e banalità dei suoi soggetti)?