LOS ENCANTOS DE MEDEA E IL CONFRONTO
3.6. Innovazioni tematiche
3.6.1. Esilio vs decreto di morte
Medea con la sua magia provoca caos e disorienta i personaggi, come sottolinea Creusa esclamando «todo es confusión» (v. 1830) e richiamando l'espressione usata nella prima giornata, «todo es encanto» (v. 422): nessuno riesce a comprendere cosa succede intorno a loro perché causato dagli incantesimi della maga.
Per recuperare il suo sposo Medea ricorre a tutto ciò che è in suo potere, ma, spesso, con i suoi incantesimi provoca la morte di altre persone, diventando una donna crudele agli occhi degli altri. Giasone paragona la crudeltà di Medea a quella di una tigre, introducendo alcuni versi d'ispirazione ovidiana:
JAS: Hechizo de los sentidos, cruel Medea, portento
de la fiereza, qué tigre te ha dado el hircano pecho, que á darme la muerte vienes? (Rojas, los encantos 1124-1128)
Nelle Metamorfosi di Ovidio ritroviamo l'immagine della tigre:
[…] Se io tollererò tutto questo, allora dovrò riconoscere d'essere nata da una tigre, dovrò ammettere che il mio cuore è di ferro o di roccia. (Ovidio, Met. VII, 32-33)
Anche Seneca richiama la natura crudele di Medea, paragonandola a una tigre privata dei figli:
CORO: […] S'aggira come tigre che cerca furibonda i figli per la foresta del Gange. (Sen., Med. 863-865)
Rojas, a differenza delle tragedie classiche, evidenzia come non sia sufficiente esiliare Medea, ma sia necessario ucciderla. Il re Esone giustifica questa decisione sostenendo che deve vendicare la morte di suo fratello Pelia:
REY: Porque de tus sinrazones sepas el justo castigo,
hoy me vengo por mi mano, pues diste muerte á mi hermano, dándotela.
(Rojas, los encantos 325-329)
Esone ha un forte senso di giustizia, vuole vendicare la morte di Pelia uccidendo colei che ne ha causato la morte. Questa è un'innovazione introdotta da Rojas, infatti, nella tradizione, Esone muore per volere di Pelia e sarà Giasone a vendicare suo padre, con l'aiuto di Medea.
Anche Giasone si mostra d'accordo con la volontà del re: una volta eliminata Medea, sarà più facile celebrare le nozze con Creusa:
JAS: Hoy ha de ser el dia
que con nuevo valor, nueva osadía, para gloria mayor, Mosquete amigo, pienso dar el castigo
que Medea merece
[…] Que he prometido, advierto, su cabeza á mi padre en sus enojos, pues nos quitó á Creusa de los ojos.
(Rojas, los encantos 1344-1348 e 1359-1362)
Tutti tentanto di uccidere la donna per vendicare gli omicidi che ha commesso, ma anche perché hanno paura della sua magia. Anche nei classici i personaggi hanno paura di Medea, ma il re decide di allontanarla, mandandola in esilio.
In Euripide, Creonte impone l'esilio a Medea perché teme che la donna possa tramare qualcosa contro sua figlia:
CREONTE: Te, che hai lo sguardo torvo e l'animo adirato contro lo sposo, Medea, ho disposto che tu vada fuori da questa terra, esule, prendendo con te i due figli, e senza indugiare: ché io sono arbitro di questo decreto, e non rientrerò nel palazzo prima di averti cacciato fuori dai confini di questa terra.
(Eur., Med. 271-276)
Creonte ha paura della saggezza della donna: dotata di una forma d'intelligenza eccessiva e pericolosa, Medea è capace di ordire ogni sorta di inganni. Le paure di Creonte sono fondate, infatti, Medea comincia a dare corpo alle sue trame ottenendo, con un'abile strategia, che il bando sia rinviato di un giorno, giorno che dichiara necessario per organizzare la sua partenza e quella dei figli, ma che in realtà sfrutterà per attuare la sua vendetta.
Anche in Seneca Creonte ha paura della magia di Medea e la dipinge negativamente:
CREONTE: Medea, la criminale figlia del Colco Eéta, non porta ancora il piede fuori del mio regno? Trama qualche inganno: è nota la sua perfidia, nota la sua mano. Chi risparmierà, chi lascerà in pace? Mi affrettavo a distruggere col ferro questa peste: ho ceduto alle preghiere di mio genero. Le ho concesso la vita, liberi il paese dal timore e se ne vada al sicuro. Mi viene incontro, altera, e cerca minacciosa di parlarmi. Fermatela, servi, non mi tocchi e non si accosti, fatela tacere. Impari una buona volta a ubbidire a un re. (A Medea) Vattene via veloce: liberaci finalmente da questo mostro orribile e spietato.
[…] Tu, tu, macchinatrice di misfatti, che hai la perfidia di una donna e l'energia di un uomo per osare l'inosabile, e nessun pensiero della tua reputazione, parti da qui, purifica il mio regno, porta via con te le erbe mortali, libera i cittadini dal timore, va' in altri luoghi a molestare gli dei.
(Sen., Med. 179-191 e 266-271)
Creonte utilizza espressioni sprezzanti, la definisce una criminale, perfida, sempre pronta a ingannare, un mostro orribile e spietato, termini negativi ancora più forti di quelli utilizzati da Rojas, che si limita a definirla vile («vil Medea», v. 375 e v. 424) e crudele («cruel Medea», v. 1124 e v. 1735). Inoltre, in Seneca, Creonte
vorrebbe ucciderla, ma, alla fine, decide di dare ascolto alle preghiere di suo genero e ordina l'esilio. Giasone lo conferma durante il dialogo in cui Medea gli chiede di fuggire con lei:
GIA: Creonte ti era ostile, voleva la tua morte: grazie alle mie lacrime ti ha concesso l'esilio.
MED: Lo credevo un castigo: vedo che è un regalo. (Sen., Med. 490-492)
In Seneca, dunque, l'idea di uccidere Medea viene attenuata dalla scelta dell'esilio, in Rojas, invece, si mantiene e ciò permette all'autore di creare un'azione secondaria dove i personaggi di Esone e Creusa hanno un ruolo attivo.