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CAPITOLO 2 IL MITO DI MEDEA

2.1. Il mito di Medea: i modelli classic

2.1.5. La Medea di Seneca

Seneca riprende la tragedia di Euripide nella sua struttura generale, presentando la parte della storia che si svolge a Corinto, il matrimonio di Giasone con Creusa e la conseguente vendetta di Medea. Tuttavia, offre una versione più soggettiva che va oltre la trama, ponendo maggiore enfasi nel ricreare il conflitto passionale. L'autore accentua la capacità distruttiva dell'eros, elemento portante della tragedia greca, analizzando la psicologia di Medea: la donna è ancora innamorata di Giasone, come nelle Heroides, e vive una lotta interiore fra ratio e furor, che, alla fine, vede prevalere quest'ultimo. Nella tragedia greca si manifestava la lotta tra passione e ragione, mostrando il trionfo della prima e i suoi distruttivi effetti nell'essere umano, ma Seneca va più in là del lavoro che ha fatto Euripide: analizza la psicologia dei personaggi, tormentati dalle passioni, e l'atmosfera che li circonda.

A differenza di Euripide, dove l'azione si sviluppa come una reazione a un susseguirsi di eventi, in Seneca, Medea appare fin dall'inizio in preda all'ira. Biondi

la definisce per questo un personaggio “piatto”, contrapponendola alla Medea di Euripide, che appare come un personaggio dinamico e aperto, perché psicologicamente contraddittorio, che passa da vittima a carnefice47. Se in Euripide

c'è un percorso psicologico, in Seneca risulta scorciato e già dai primi versi si capisce cosa succederà in seguito:

MEDEA: Ora, ora siate presenti, dee vendicatrici dei delitti, irte le chiome di serpenti, con la face fumosa nelle mani insanguinate, siate presenti, orride come allora alle mie nozze: date morte alla nuova sposa, morte al suocero e alla stirpe regale. A me qualcosa di peggio da augurare al mio sposo: viva, vada ramingo per città straniere, privo di tutto, esule, pauroso, odiato, senza certa dimora; varchi altrui soglie, ospite già noto, brami me in moglie e - che potrei augurargli di peggio?- figli simili al padre e alla madre. Pronta, già pronta è la vendetta: ha figli.

(Sen., Med. 13-26, trad. A. Traina)

L'inizio dell'opera, dunque, manda già segnali espliciti della fine. In realtà, come osserva Petrone, dopo il primo coro Medea si mostra sconvolta dal canto nuziale e solo allora inizia a pianificare la vendetta, agendo come se scoprisse solo in quel momento il tradimento da parte del suo uomo, nonostante nel prologo avesse dimostrato di esserne a conoscenza48. Da qui la contraddizione di Seneca, che deve

tornare indietro e fare ricominciare l'azione dato che molti dei motivi della vicenda anticipati nel prologo devono ancora svolgersi drammaticamente.

Inoltre, manca l'incipit tradizionale e questo contribuisce ad accrescere l'importanza del tema della nave Argo, vista da Seneca come la vera causa delle vicende di Medea49. Euripide aveva negato che ci fosse un rapporto fra la prima nave

e gli atti di Medea, come capiamo dalle parole della nutrice:

NUTRICE: Ah, se la nave Argo non avesse mai traversato veloce le cerulee Simplegadi verso la terra dei Colchi, né quel pino reciso fosse mai caduto nelle boscose valli del Pelio, né mai di remi

47 G. G. Biondi, «Introduzione», in Lucio Anneo Seneca, Medea-Fedra, Milano, BUR, 1997, pp. 11- 62.

48 G. Petrone, «La Medea di Seneca tra paradigma retorico e tradizione letteraria», in Lo

sperimentalismo di Seneca, Palermo, 1999, p. 21.

avesse armato le mani dei nobili eroi, che per Pelia andarono in cerca del vello tutto d'oro. (Eur., Med. 1-6)

In Euripide, la nave Argo causava sventure a Medea, dunque costituiva un danno per lei, sottraendola alla sua patria e alla sua famiglia. Seneca, invece, considera Medea come il danno stesso, come il “guadagno” di un'impresa che ha provocato l'ira degli dèi, spingendoli a vendicarsi. Seneca carica di significati morali l'impresa degli Argonauti, interpretandola come un nefas: non solo fu un atto audace, ma rappresentò al tempo stesso un atto empio, una violazione dell'ordine cosmico e delle sue leggi. L'autore recupera il passato per dare una soluzione etica al dramma: l'ampliamento della conoscenza diventa la colpa di Giasone e la conseguenza di ciò è stato l'incontro con Medea, definita come il male maggiore:

CORO: […] Quale fu il prezzo di un tale viaggio? Il vello d'oro, e Medea male maggiore del mare, guadagno degno della prima prora. (Sen., Med. 360-363)

Se in Euripide la spedizione era grandiosa, di per sé, ma catastrofica, per Medea, costituendo per lei l'inizio delle sventure, in Seneca assume un senso negativo50.

L'arrivo di Giasone in Colchide, infatti, anche se, da un lato, rappresenta un aspetto positivo, perché lo porta alla conquista del vello d'oro, dall'altro, comporta un male, in quanto conosce Medea. Il viaggio, che ha rotto l'ordine del mondo, viene così punito dall'uccisione dei figli di Medea, un delitto contro natura.

In Euripide, come abbiamo visto, Medea desidera uccidere i figli per privare Giasone di una discendenza. Nella tragedia di Seneca, invece, si può cogliere una situazione caratterizzata da un colorito romano51: la cultura romana finalizzava il

matrimonio alla produzione di una discendenza, quindi Medea si richiama in continuazione al proprio ruolo materno, sottolineando così l'importanza che i figli hanno per lei durante tutta la tragedia. In ogni divorzio romano i figli dovevano seguire il padre nella casa del nuovo matrimonio, quindi, se in Euripide i figli, in un primo momento, vengono esiliati insieme alla madre, qui sono destinati a vivere con

50 G. G. Biondi, Il nefas argonautico, Pàtron, Bologna, 1984, pp. 43-53. 51 G. Guastella, Il destino dei figli di Giasone, op. cit., pp. 152-162.

il padre, privando Medea del ruolo di madre. Inoltre, Giasone, durante la tragedia, con grande ingenuità, manifesta l'affetto che prova per i figli, fornendo a Medea l'illuminazione su come colpirlo e indicando l'origine della scelta infanticida:

MEDEA: Il mio cuore può e suole, lo sai bene, sdegnare le ricchezze dei re; mi sia concesso solo di avere compagni d'esilio i miei figli: fra le loro braccia sfogherò il mio pianto. Tu, avrai altri figli.

GIASONE: Vorrei, te lo confesso, esaudire la tua preghiera: me lo proibisce l'amor paterno. Non potrei soffrirlo, neppure se me lo imponesse il re mio suocero. Sono la ragione della mia vita, il conforto di un cuore esulcerato. Piuttosto rinunziare all'aria, alle membra, alla luce. (Sen., Med. 540-549)

Dato che i figli appartengono già al padre, la vendetta di Medea non deve seguire quel percorso che in Euripide era necessario per spingere Giasone a prendersi cura di loro52.

La tragedia presenta l’innovazione tecnica di rappresentare l’uccisione dei figli davanti agli occhi degli spettatori, contrariamente a quanto si usava nel dramma antico, in cui i fatti luttuosi venivano raccontati da un nunzio.

La Medea di Seneca è caratterizzata da una maggiore violenza e l'autore risente anche dell'influsso di Ovidio: la sua protagonista, infatti, oscilla tra la donna ancora innamorata di Giasone e la Medea “nera”53 concepita come un personaggio infernale,

la cui perfidia è accentuata nel legame che ha con il mondo della stregoneria e della magia. Proprio per la presenza di scene cruenti, molti studiosi sono convinti che le tragedie di Seneca non siano state scritte per essere rappresentate: sono più che altro drammi statici, con pochi dialoghi e numerosi monologhi che non fanno procedere l'azione drammatica, e ciò fa pensare più a un teatro di parola che d'azione. A muovere il teatro senecano è un problema morale: Biondi osserva che se la tragedia greca si muove dentro una dimensione, quella di Seneca tende a perdere la dimensione spazio-temporale, sicché i personaggi e le azioni vengono «congestionate»54 dalle uniche forze morali. Dunque, la tragedia si svolge

52 G. Guastella, Il destino dei figli di Giasone, op. cit., pp. 152-153. 53 M. G. Ciani, op. cit., p.30.

nell'interiorità dei personaggi, dei quali viene recuperata la profondità psicologica: quello che a Seneca interessa è analizzare lo scontro ratio e furor che precede il momento tragico. Seneca è influenzato dal pensiero stoico: invita alla moderazione, all'equilibrio. Per lui la ragione è fondamentale, mentre rifiuta le passioni che portano al vizio.

Carmen Bernal Lavesa osserva che nelle tragedie di Seneca si può cogliere un intento didattico-moralizzante, infatti, ci sono numerose sentenze, che pronunciano i personaggi, che hanno lo scopo di arrivare direttamente agli spettatori e lasciare un'impronta nella loro mente, anche in quella dei più ignoranti55.

NUTRICE: Taci, ti prego, soffri nel tuo cuore. Chi sopporta in silenzio e con pazienza i colpi ricevuti, può ricambiarli: pericolosa è l'ira che si cela; l'odio palese perde la facoltà di vendicarsi.

MEDEA: Lieve è il dolore in grado di ragionare e di dissimularsi: i grandi mali sono senza velo. Mi va di uscire allo scoperto.

NUTRICE: Calma la tua furia irruente, figlia: appena ti difendono il silenzio e la quiete.

MEDEA: La fortuna teme i coraggiosi, schiaccia i vili. NUTRICE: Buono è il coraggio solo se a suo tempo. [...]

NUTRICE: Frena le parole, pazza, rinunzia alle minacce, modera la tua esasperazione: bisogna adattarsi alle circostanze.

(Sen., Med. 150-160 e 174-175)

Seneca tenta di comunicare tutti gli insegnamenti morali che un'opera di teatro è capace di trasmettere. Medea incarna la devastazione, l'ira, diventando così un esempio, o meglio un esempio da non seguire: Medea sceglie sempre il comportamento sbagliato, il pubblico ne osserva le azioni e le conseguenze e per questo è spinto a seguire la via opposta. L'uomo deve capire come comportarsi nella vita, deve seguire la prospettiva stoica: essendo un essere razionale deve sottomettere tutti gli stimoli al giudizio della ragione. Medea è dominata dalla passione e per questo arriva a commettere azioni negative.

I protagonisti delle tragedie di Seneca sono personaggi negativi che si confrontano con personaggi portatori di valori positivi, destinati a soccombere

55 C. Bernal Lavesa, «Medea en la tragedia de Seneca», in A. López, A. Pociña (a cura di), Versiones

nonostante i loro sforzi di volgere al bene chi è dominato dal furor: non esistono eroi positivi, tutto è dominato dai vizi e dalle passioni.