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Esiti dell’incontro con i referenti della psicologia clinica e della neuropsichiatria infantile

5. Ulteriori suggestioni tratte da passaggi qualitativi della ricerca

2.3. Esiti dell’incontro con i referenti della psicologia clinica e della neuropsichiatria infantile

Nel dibattito intrapreso dai professionisti operanti nell’ambito della psicologia clinica e della neuropsichiatria infantile è emerso come la ‘fascia C’ sia un’area grigia, indefinita. Nel momento in cui un bambino dimostra una fragilità viene effettuato l’inserimento in una delle fasce BES per l’attribuzione di risorse: “La scuola rimanda a noi questa re- sponsabilità. Non A, non B, ergo C.”. i referenti BES – sottolineano i presenti – temono l’inserimento in ‘fascia C’ perché non prevede l’attribuzione di alcuna risorsa. “Prima del 2012 c’era una grande richiesta di fascia C e si convergeva su un pensiero comune. Inve- ce, con l’uscita del documento provinciale7, non sono più state assegnate risorse per tali

studenti, quindi l’inserimento in fascia C è sparito, con la conseguente impennata delle altre fasce. Viene pertanto sottolineato ad alta voce come tale situazione sia il segno di un bias rispetto alla non assunzione di responsabilità, poiché non si possono riversare le questioni organizzative legate all’attribuzione delle risorse sugli aspetti di salute: “Per me è di una gravità inaudita. È una questione etica e va fatta una riflessione al riguardo”. Gli psicologi riferiscono infatti di sentirsi spesso fortemente condizionati: “O me lo certifica o non si può fare nulla, lo bocciamo”. È necessario comprendere come ad una certificazio- ne corrisponda il reale riconoscimento di una disabilità: “Io faccio una certificazione per un bambino con nome e cognome con una famiglia che ha fatto un percorso, non per una classe con bambini le cui famiglie non hanno mai richiesto nulla”. Si tratta di un miscono- scimento della norma poiché procedere con una certificazione non significa discutere di risorse. Tale criticità si spinge fino a situazioni limite in cui “Non c’è nemmeno chiarezza a chi si invia, psicologia o neuropsichiatria, invio a chi risponde prima, invio ad entrambe, invio all’altra se ricevo un rifiuto. Poi capita che la relazione fatta non viene neppure letta, conta solo il codice”.

Gli psicologi presenti riferiscono di essere interpellati per bambini e ragazzi con proble- matiche non afferenti alla sfera psicologica, bensì educativa, sociale, relazionale e cultura- le. Per tali casi, pertanto, procedere con una diagnosi e con un lavoro di rete non rispon- de ai reali bisogni del soggetto. Questa tipologia di problematiche, emerge nel dibattito, riguarda situazioni “che non possono essere prese in carico da un servizio, piuttosto che da un altro, con un rimpallo continuo di responsabilità. Serve una risposta di rete, di coope- razione. Bisogna uscire dalle logiche note e pensare ad un utilizzo del territorio in cui anche noi entriamo, ma con un coinvolgimento responsabile anche della famiglia”.

Dal dibattito è emerso come non vi sia solamente una difficoltà nel condividere un lin- guaggio comune, dato il coinvolgimento di diverse professionalità, ma come attorno alla difficoltà comportamentale si sia sviluppata anche una comunicazione patologica ancor prima di arrivare al servizio fra genitori e insegnanti e fra scuola e gruppi del contesto (ad esempio i gruppi dei genitori). A tale proposito, oltre ad agire per sviluppare una cul-

7 Il riferimento è al documento “Bisogni Educativi Speciali - Linee guida. Attuazione del regolamento per favorire

l’integrazione e l’inclusione degli studenti”, emanato nel 2012 dal Dipartimento della Conoscenza della Provin-

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tura dell’inclusione già dalle scuole dell’infanzia in un’autentica ottica preventiva, risulta fondamentale ritornare ad interrogarsi rispetto al significato della fascia C e del motivo della sua esistenza: “Fatico a pensare ad una classe suddivisa per etichette: bravi, A, B e C. Pensiamo alla varietà della popolazione della gente, alla complessità, alle differen- ze. La scuola ha in mano il periodo più fertile dell’essere umano e non possono essere etichettati. Io credo molto nella scuola inclusiva, conosco esperienze meravigliose che riescono a rilevare i problemi e a farsene carico senza etichette. I bisogni sono nostri, a volte li creiamo i bisogni, slatentizziamo problematiche che potrebbero non esserci con un funzionamento diverso”. Ancora, su questo tema: “Esistono studenti che non stanno in classe, dicono che non possono tenerli in classe per questioni organizzative e le situa- zioni di questi studenti peggiorano in termini di salute mentale”.

Vengono, infine, rilevate problematiche legate alle tempistiche della certificazione e alla mancanza di risorse, temporali e umane: “L’insegnante manda un bambino a settem- bre, fa 3-4 mesi di attesa, lo vediamo a dicembre, poi passano altri 3 mesi per attuare un percorso. Forse in 6 mesi trovano risposta”, “Chi viene con sospetto DSA aspetta un mese, chi viene con problemi più gravi ne aspetta 3. È un lavoro non etico”.

Dall’analisi SWOT elaborata dai referenti dei servizi della psicologia clinica e della neuropsichiatria infantile presenti all’incontro sono conseguentemente emersi i seguenti elementi:

Punti di forza (interni alla scuola)

Lavorare in gruppo come insegnanti

Possibilità per gli studenti di apprendere in modo cooperativo Possibilità per i docenti di fare vera inclusione

Possibilità per i docenti di seguire lo sviluppo in maniera longitudinale

Molteplicità di adulti di riferimento con ruoli e caratteristiche personali e caratteriali differenti

Referenti BES sensibili, attivi e formati Dirigenti con politica di vera inclusione Spazi adeguati e risorse strutturali Formazione degli insegnanti

Presenza di metodologie educative moderne

Insegnanti dotati di buon senso e sensibilità umana Coinvolgimento delle famiglie

Valenza educativa del lavoro scolastico

Possibilità di proporre percorsi educativo-didattici alternativi (laboratoriale ecc.) Possibilità di lavoro in piccolo gruppo con supporto reciproco fra bambini Attivazione di psicologi scolastici o sportelli di ascolto e/ o orientamento

Conoscenza approfondita del ragazzo con alte possibilità di intervento nelle dinami- che quotidiane

Professionalità, capacità pedagogica e sensibilità del singolo insegnante Capacità organizzativa e comunicativa dei referenti BES

Elementi di debolezza (interni alla scuola)

Progetto trilinguismo (CLIL)

Preoccupazione di portare a termine il programma

Forzatura nel richiedere una diagnosi e quindi invii ai servizi per ottenere una certifi- cazione 104 (fascia A)

Richiesta di certificazione 104 per compensare carenze organizzative della scuola Delega all’insegnante di sostegno o all’educatore della gestione

Difficoltà nel coinvolgimento dell’intero team docenti nella condivisione dei bisogni Numerosità delle classi

Difficoltà a costruire percorsi didattici alternativi in assenza di certificazione Ridotta attenzione alle differenze individuali

Scarso scambio di informazioni

Mancano verbali degli incontri con il personale sanitario

Scarsa accessibilità per le insegnanti delle relazioni cliniche per la “privacy” Poca valorizzazione della figura dello psicologo del CIC (poco usato per lavorare nelle dinamiche del gruppo classe)

Psicopatologia dell’insegnante

Difficoltà nella comunicazione scuola-famiglia Eterogeneità culturale/sociale dei gruppi classe Numerosità dei gruppi classe

Assenza di un linguaggio comune fra istituzioni

Attribuzione impropria di ruoli (es. richiesta di consulenze didattico-pedagogiche a operatori sanitari)

Non capillarità della formazione fra insegnanti Invii all’azienda sanitaria spesso inappropriati Ambiguità nella comunicazione alle famiglie

Inadeguata valutazione del problema e mancata messa in atto di provvedimenti di- dattici preliminari

Richieste inappropriate di certificazioni 104 per compensare carenze di risorse Scarsa conoscenza della legge 104 e utilizzo improprio delle certificazioni Tendenza a creare percorsi differenziati non inclusivi

Entità delle risorse rigidamente associate ad un codice diagnostico rispetto al quale il bambino è stato etichettato

Opportunità (esterne alla scuola)

Costruire progetti integrati fra i vari operatori sociali (la rete) Accesso a Centri Diurni e/o Estivi

Possibilità di sperimentarsi in abilità non scolastiche (es. sport, attività laboratoriali) à riscatto sociale

Progetti culturali attivi sul territorio (es. biblioteca) Risorse e progetti di servizio sociale

Centri di aiuto ai compiti Rete dei servizi attiva

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Valutazione diagnostica e di funzionamento accurate Centri diurni o altre realtà di aggregazione (privato sociale) Attività sportive e/o ricreative inclusive

Famiglie allargate Sanità

Supporti all’integrazione famiglie straniere (corsi di lingua, servizi sociali, occupazio- ne femminile, mediatori culturali)

Attivazione di reti educative e sociali

Positività di una mediazione fra i vari servizi

Minacce (esterne alla scuola)

Tempi di attesa e difficoltà nell’acceso ai servizi Linguaggio non comune fra i vari servizi

Carenza di opportunità nelle zone periferiche del territorio

Eccessiva medicalizzazione con ricadute su una negativa immagine di sé Famiglia poco alfabetizzata che non riesce a sostenere lo studio a casa Conflittualità fra famiglia e scuola

Scarsa integrazione sociale ed isolamento Distribuzione delle risorse sul territorio

Impoverimento dei legami sociali fra famiglie

Impoverimento dei legami sociali fra bambini per isolamento nel mondo virtuale Rimbalzare le responsabilità fra servizi

Burn-out degli operatori dei vari servizi

Sovraccarico dei servizi sanitari (NPI e Psicologia) Tempi limitati per supporto alla rete

Tempi prolungati per inquadramento diagnostico (tempi lunghi di attesa per man- canza di personale)

Difficoltà di comunicazione fra operatori socio-sanitari coinvolti Fragilità del contesto familiare

Rischio di certificare secondo legge 104 per rispondere alle richieste della scuola

2.4. Esiti dell’incontro con i referenti dei servizi sociali

Il primo elemento emerso durante il dibattito e sul quale tutti i presenti sembrano concordare è la resistenza da parte delle istituzioni scolastiche nel segnalare i casi di particolare fragilità ai servizi territoriali. Tale fattore ostacola l’accesso ai servizi stessi – caratterizzato già di per sé da procedure complesse – con un conseguente aggravio e allungamento in termini di tempo. Risulta pertanto prioritario lavorare in primo luogo su come si segnala al servizio sociale: “Quale procedura? quando si chiama l’assistente so- ciale? Non dopo tutte le altre strade. Molte volte viene percepita come l’ultima spiaggia”. “Le persone fanno la differenza”, sottolineano alcune assistenti sociali presenti, “e noi siamo arrivate ad un buon livello di collaborazione con i dirigenti, con un buon confronto con gli insegnanti rispetto a quando segnalare i casi, quali indicatori valutare, come e le tempistiche che ne derivano”.

Una seconda priorità individuata è continuare a lavorare in termini di pianificazione sociale territoriale, strategia in cui il ruolo vitale è costituito dalla rete di servizi che hanno in carico il bambino o il ragazzo. Si è però consapevoli che oggi è necessario “fare un passo in più: è facile metter in piedi una rete, è difficile mantenerla in modo qualitativo”. A tal scopo bisogna “intercettare chiunque si relazioni con questi ragazzi – anche un ta- volo di amministratori, ad esempio, per coinvolgerli direttamente – vederci di più anche al di là dei paletti istituzionali in cui ci si muove. La sfida è uscire dalle proprie zone di comfort”. Altrettanto importante è la costruzione di strumenti utili, in particolare vengo- no annoverati i piani di comunità, schede per la consulenza informale, procedure per la collaborazione con la scuola con il consenso della famiglia, linee guida per diversità di segnalazioni e diversità di risposte.

Oltre che contribuire per una pianificazione ad ampio sguardo, la rete risulta cruciale – affermano i presenti – anche per la co-costruzione di percorsi da parte della scuola e degli enti del territorio. Si riportano, a tal proposito due esempi:

Nella formazione professionale esiste uno specifico accordo, dato l’elevatissimo numero di so- spensioni, con una cooperativa di socializzazione al lavoro alla quale possono accedere studenti in convenzione con i servizi sociali: quando non ha senso lasciare a casa i ragazzi, si pensa ad un percorso educativo per evitare il rischio drop out, sul modello dell’alternanza scuola-lavoro. È necessario effettuare un ragionamento su come poter preparare il terreno per i ragazzi che transitano dalla scuola media alla formazione professionale, con incontri con gli insegnanti che prenderanno in carico i ragazzi per percorsi non strutturati rigidamente sulle discipline.

È prevista una collaborazione fra centri diurni e centri di formazione professionale. Non ti dimetto dal centro diurno in terza media, ma ti tengo agganciato introducendoti in altri percorsi aggan- ciati al territorio tramite il fare.

Il dibattito è infine risultato anche l’occasione per riflettere su come una problema- tica particolarmente rilevante sia riscontrabile nelle famiglie sinti:

Genitori con diffidenza rispetto ad ogni rappresentante delle istituzioni, drop out precoce già in prima e seconda elementare, lavoro con i dirigenti per affrontare le questioni in termini ragionevoli e non arrivare sempre tardi. Pochi arrivano alla licenza media, nessun promosso alle superiori, alle elementari molti solleciti e ammonimenti dai servizi alle famiglie per la questione frequenza. Le famiglie lasciano al ragazzo la responsabilità di frequentare la scuola e la scomoda scelta di andare contro ad aspettative silenti della famiglia che sono tacitamente contrarie alla scuola.

Fra le strategie individuate per affrontate questa problematica è emerso come prio- ritario il coinvolgimento di “ragazzini con risorse specifiche per accompagnare i ragazzi che desiderano andare a scuola”.

Dall’analisi SWOT elaborata dalle assistenti sociali presenti all’incontro sono emersi i seguenti elementi:

Punti di forza (interni alla scuola)

Attenzione ai percorsi individuali Presenza referenti BES

Apertura all’esterno

Consapevolezza della scuola di “stare” in una rete Contatto quotidiano con gli studenti

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Rapporti positivi fra insegnanti e componente scolastica non insegnante che risulta- no motivanti per gli studenti

Elementi di debolezza (interni alla scuola)

Assenza di personale

Carenza di competenze specifiche

Non conoscenza dei servizi sociali e delle persone che vi operano Mancanza di una visione più globale dello studente

Passaggi fra cicli scolastici e tipologia di scuole Non segnalazione tempestiva ai servizi specialistici

Priorità / centratura sugli apprendimenti, meno sulla formazione educativa in senso ampio

Turn over insegnanti e dirigenti

Difficoltà ad individuare situazioni a rischio

Poca consapevolezza del personale scolastico della responsabilità legata al ruolo (giuridica, etica, professionale)

Poca disponibilità al cambiamento Poca formazione su tematiche sociali Difficoltà ad “avere in mente” la famiglia

Opportunità (esterne alla scuola)

Definizione e sottoscrizione di protocolli, intese, linee guida Servizi educativi esterni (semi-residenziali + associazioni) Servizi specialistici professionali (NPI, psicologia infantile) Tribunale dei minori (per decreti, progetti di aiuto)

Alternanza scuola / attività occupazionali / educative

Centri aperti, ricreativi e diurni da integrare con opportunità informali Collaborazione con agenzia del lavoro

Minacce (esterne alla scuola)

Linguaggi diversi, difficoltà di comprensione Gruppi di pari devianti

Famiglie fragili e deleganti

Tribunale dei minori (per sanzioni inefficaci) Pregiudizio nei confronti del servizio sociale

Carenza di risorse / opportunità nella fascia adolescenziale (poca inclusione)

“Vuoto” a fine ciclo scolastico, a causa di una precedente mancata presa in carico congiunta

2.5. Esiti del colloquio con la responsabile dell’Ufficio Servizio