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Esiti dell’incontro con i referenti dei servizi educativi residenziali per minori

5. Ulteriori suggestioni tratte da passaggi qualitativi della ricerca

2.2. Esiti dell’incontro con i referenti dei servizi educativi residenziali per minori

Nell’ambito del dibattito intrapreso dai referenti dei servizi residenziali della Provincia di Trento è innanzitutto emerso come vi sia un aumento, non tanto in termini numerici, quanto di complessità, del fenomeno delle fragilità educative, con un alto numero di ra- gazzi che arrivano all’abbandono scolastico e per i quali risulta fondamentale ricostruire l’intero progetto educativo. A fronte di tale cambiamento, la scuola viene percepita come non in grado di affrontare in modo efficace tali criticità, con un conseguente irrigidimen- to di fronte a situazioni complesse e ai bisogni dei singoli studenti, con il rischio poi di “giocare al ribasso, rimandando un’immagine di disinvestimento, che poi i ragazzi perce- piscono”. Particolare difficoltà viene inoltre rilevata nella scuola secondaria di secondo grado e nella formazione professionale, dove le problematiche degli adolescenti – già di per sé maggiormente complesse – vengono affrontate con strategie, strumenti e metodi consolidati (laboratori, tirocini, alternanze), che sembrano funzionare non così efficace- mente come si ipotizzerebbe. Viene inoltre rilevata una tendenza all’allontanamento, o meglio, ad un’inclusione solo formale e non sostanziale grazie al ricorso di risorse educa- tive esterne, ad esempio un educatore in ambito scolastico e/o extrascolastico. Questa gestione “separata”, viene sottolineato, è spesso la conseguenza ultima di un irrigidi- mento della società scolastica, soprattutto nella fascia dell’obbligo, in cui tutti vengono

accolti: a fronte di alte aspettative dei genitori verso i figli degli altri (“Proprio in questa classe dovete mettere questo ragazzo!?”), la gestione separata a volte viene scelta per mantenere una serie di equilibri. E, in risposta anche al problema della certificazione – frequentemente legato, anche esplicitamente, alla necessità di risorse – i presenti sotto- lineano come il problema sostanziale risieda nella capacità di andare oltre alla diagnosi:

È necessario fissare l’attenzione sull’andare oltre e guardare al processo con un approccio com- plessivo per costruire contesti relazionali e luoghi fisici per costruire competenze che siano di- verse dalle tradizionali. Uscire dal ruolo autoreferenziale della scuola, con una didattica elevata e differenziata. Peer education, mentoring, tutoring, comunità educante con associazionismo e realtà educative del territorio per supportare questi ragazzi con carriere davvero difficili. Ipotizza- re insieme strategie perché, oltre a questi ragazzini, ne possano beneficiare tutti.

Durante la discussione sono emerse esperienze positive o “avveniristiche, tipo lavoro sulla zona gialla, ma ora siamo tornati indietro…”. Come sottolineato nell’ambito di que- sto progetto – riflettono i referenti – la scuola trentina ha “alle spalle anni di attività e di esperienze interessanti”, ma la trasferibilità e il perdurare delle buone prassi non sono fatti automatici che, se non vengono messi a sistema, rischiano di restare come “fuochi d’artificio”. Serve pertanto una responsabilità condivisa e un senso di costruzione co- mune, indipendentemente dalla targhetta e dal nome del progetto. È importante agire in un’ottica di sistema e di complessità dell’azione, perché solo in questo modo è possibile rispondere a bisogni complessi.

Affinché qualunque progettazione abbia un esito positivo è fondamentale, secon- do i referenti presenti, che si attivi una rete educativa di presa in carico di ogni singolo bambino o ragazzo con fragilità che includa, oltre alla scuola, le famiglie, i servizi sociali e sanitari, le realtà del territorio, i servizi educativi residenziali e non residenziali. Tale approccio consente ad ogni figura di cura significativa, che interagisce con il minore, di inserirsi e contribuire ad una progettualità comune. Pur sottolineando come vi sia ancora timore nel procedere con una segnalazione, è fondamentale il confronto con i servizi sociali del territorio per andare oltre l’alunno e vedere il bambino. Fra le esperien- ze positive di rete descritte si evidenzia, ad esempio la richiesta da parte di un istituto di formazione professionale di incontri nel passaggio fra scuola media e superiore, non per creare già percorsi differenziati, ma per comprendere il quadro delle situazioni che stanno per arrivare. Viene inoltre riferita la sperimentazione di incontri che prevedono il coinvolgimento dell’assistente sociale, degli educatori, del minore e della sua famiglia, in cui l’esperienza del minore e della famiglia viene messa al centro; l’esito di tali incontri è un progetto educativo che include impegni che tutti i componenti si prendono rispetto ai problemi rilevati.

In questo panorama descritto da loro stessi, i professionisti delle strutture territoriali residenziali affermano che le loro realtà corrono spesso il rischio di essere come “conte- nitori, luoghi in cui depositare situazioni di criticità, situazioni che sono di difficile gestione in ambito scolastico e disciplinare”. Certamente si riscontrano casi di particolare criticità, in particolare la difficoltà di gestire ragazzi non in giovanissima età, per i quali gli assi- stenti sociali possono fare ormai poco; oppure l’arrivo in corso d’anno di bambini con storie pregresse anche molto precarie e senza le certificazioni anche quando necessarie.

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In particolare, laddove poi emergono disturbi comportamentali, risulta fondamentale un lavoro di integrazione.

Vi sono alte aspettative rispetto al lavoro che si svolge nelle comunità residenziali da parte di alcune scuole: “La mattina non è riuscito a lavorare in classe, tocca all’educatore occuparsi del recupero”. A tale proposito risulta particolarmente condivisa la difficoltà di comunicare con la scuola e con gli insegnanti, in particolare laddove non vi sia un dirigen- te scolastico sensibile che stili un protocollo d’intesa fra comunità e scuola che preveda un‘aggiunta di momenti di confronto fra consiglio di classe e servizi della comunità, oppure dove non vi siano insegnanti attenti e informati sulla situazione e sulla storia del ragazzo.

Dall’analisi SWOT elaborata dai referenti dei servizi educativi residenziali sono emer- si i seguenti elementi:

Punti di forza (interni alla scuola)

Disponibilità di collaborazione Ricerca di confronto

Mediazione educatore – comunità

Volontà del singolo dirigente sull’integrazione scuola- servizio educativo, oltre l’obbligo Disponibilità di alcuni dirigenti ad accettare situazioni non di propria competenza Presenza di un referente scolastico che riesce a mantenere la comunicazione con la comunità e fra tutti gli insegnanti

Elementi di debolezza (interni alla scuola)

Irrigidimento

Rischio espulsione

“Scaricare” il ragazzo/a e le responsabilità Impulsività decisionale

Tendenza a delegare compiti prettamente scolastici alle strutture educative, con ef- fetto di disinvestimento da parte della scuola sul minore

Fatica a modulare aspetto didattico ed educativo (o tutto o niente) Concentrazione di situazioni complesse nello stesso luogo

Assenza di risorse nelle situazioni di disagio

Opportunità (esterne alla scuola)

Ricchezza di proposte del territorio Associazionismo

Opportunità di creare integrazione su obiettivi educativi con realtà territoriali

Minacce (esterne alla scuola)

Rinuncia al coordinare le risorse attive su un minore per troppa complessità e rigidi- tà operativa

Mancanza di autorità

Irrigidimento del contesto sociale rispetto ad alcune situazioni con difficoltà inserite a scuola

2.3. Esiti dell’incontro con i referenti della psicologia clinica e della