• Non ci sono risultati.

Estratti e segnalazioni

L’educazione sessuale del bambino

E’ questo il titolo di un’opera di André Berge (L’educazione ses­ suale del bambino, Ed. Comunità, Milano, 1964, pagg. 142), che l’A. fa seguire ad un’altra opera intorno ad un argomento analogo, ma trat­ tato in modo più generale (Educa- tion sexuelle et affective, Editions du Scarabée, Parigi), della quale l’attuale pubblicazione rappresenta un’ulteriore specificazione e un ul­ teriore approfondimento.

Berge in questo lavoro tratta l’edu­ cazione sessuale dalla nascita alla pubertà, lasciando il fanciullo alle soglie dell’adolescenza. Il motivo per cui è stato scelto questo pe­ riodo è evidente, e lo rende espli­ cito l’A. stesso, quando dichiara che l’educazione sessuale è già com­ piuta con la pubertà; l’adolescenza non farà che presentare problemi vecchi in modo nuovo.

Nell’introduzione viene tracciata la linea seguita nei confronti del­ l’educazione sessuale dai maggiori pedagogisti, da Jean-Jacques Rous­ seau ad oggi. Della situazione at­ tuale vengono esposti i problemi,

gli interrogativi più frequenti, al­ cuni studi e inchieste svolte sul­ l’argomento.

Il volumetto si divide in due parti: la prima affronta il pro­ blema dell’informazione sessuale, la seconda quello più complesso della formazione del bambino, os­ sia dell’educazione sessuale pro­ priamente detta.

L’aver trattato l’argomento sotto questo duplice aspetto, l’informa­ zione e la formazione sessuale, rap­ presenta l’elemento più interes­ sante dell’opera, tale da raccoman­ dare la lettura a tutti coloro che intervengono direttamente nell’edu­ cazione del bambino o che si inte­ ressano agli studi sullo sviluppo della sua personalità.

Infatti i vari scritti sulla ses­ sualità infantile, nell’ambito della psicologia e della psichiatria, af­ frontando il problema teoricamente inserito nelle varie fasi di sviluppo della personalità umana, non of­ frono in genere suggerimenti par­ ticolari e concreti all’educatore; mentre altri lavori, che hanno in­ tenti più direttamente pratici, fini­ scono per presentare l’educazione sessuale come una serie di infor­

mazioni da dare e di comportamenti da realizzare, in un certo senso avulsi dal complesso dei giudizi di valore, dei comportamenti fami­ liari, dei rapporti affettivi esistenti fra il bambino e i genitori, che costituiscono il contesto all’interno del quale solamente l’educazione sessuale assume un determinato si­ gnificato.

Berge ha tenuto presente, invece, la duplice esigenza di offrire agli educatori alcune indicazioni che co­ stituissero esempi a cui rifarsi e reali strumenti di intervento ; e in­ sieme di affrontare il problema nelle sue diverse dimensioni, per non rischiare interpretazioni equi­ voche da parte dei lettori o co­ munque restrittive e parziali.

L’informazione sessuale, trattata nella prima parte, si articola nei vari modi di informazione: 1) l’in­ formazione non verbale; 2) l’infor­ mazione verbale familiare. L’A. si sofferma con vari esempi sulla for­ mulazione stessa dell’informazione, rapporta questa ai possibili giu­ dizi di valore, ed infine affronta il ruolo della scuola al riguardo, riservandole il compito dell’illustra­ zione scientifica di quelle nozioni che il bambino avrebbe già dovuto apprendere in famiglia, anche se in modo frammentario e appros­ simativo.

Il secondo capitolo, come è stato già detto, entra negli aspetti più complessi dello sviluppo della per­ sonalità e, pur tenendo costante- mente a fuoco il problema sessuale,

esamina i principali fattori delle fasi evolutive che vanno dalla na­ scita alla pubertà.

Il problema sessuale si integra ora, anzi si trasforma nella facoltà di amare, che il bambino realizza attraverso i vari passaggi del suo rapporto con la madre, con il ge­ nitore del sesso opposto, con i fra­ telli, e che infine si esprime attra­ verso l’adattamento alle esigenze della vita individuale e sociale.

Le varie fasi evolutive che Berge presenta, insieme ai problemi con queste connessi, sono quelle ormai largamente discusse e comunemente accettate dalla psicologia dinamica. Ma l’interesse della lettura consi­ ste nel vedere costantemente pun­ tualizzati i rapporti e la stretta concatenazione esistente fra le fasi dello sviluppo infantile, l’atteggia­ mento dell’educatore e il problema sessuale; ne risulta una visione strettamente integrata dell’educa­

zione sessuale del fanciullo con la sua formazione intesa in senso glo­ bale.

Da segnalare infine, come utile consultazione, i gradienti di cre­ scenza relativi agli atteggiamenti del bambino nei confronti del sesso, posti in appendice. Questi com­ prendono un arco di tempo che va dai diciotto mesi ai nove nni. Essi sono stati estratti dall’opera di Arnold Gesell e Frances L. Ilg, L’enfant de 5 à IO ans (Pres- ses Universitaires de Franee, Pa­ rigi, 1949).

Psicologia di gruppo

Adriano Ossicini, Esperienze di psicologia di gruppo, Ed. Studium, Roma, 1964, pagg. 118.

Si tratta, come precisa il titolo, di una raccolta di esperienze fatte dall’A. nel corso del suo lavoro di psichiatra presso un consultorio medico-psico-pedagogico di Roma.

Gran parte del volume è riser­ vata alla trattazione dell’ansia in­ fantile che, secondo l’A. deve essere messa in relazione con il rapporto intercorrente fra bambino e geni­ tori (nucleo primo del gruppo « famiglia »).

L’A. riferisce inoltre di un’altra interessante ricerca, che riguarda la relazione tra madre lavoratrice e bambino, relazione importante da cui dipende la futura formazione psichica del bambino; infatti que­ sta formazione può essere grave­ mente inficiata, qualora la madre lavoratrice non abbia con il figlio i contatti necessari nei primissimi anni di vita.

Seguono, di particolare interesse, i risultati di un’indagine svolta su un gruppo di ragazzi ladri e sul loro rapporto con i genitori ; un capitolo concernente la vita di gruppo nelle relazioni tra gemelli e infine la descrizione di un’appli­ cazione del test sociometrico di Moreno ed alcune riflessioni sulla sua validità, riflessioni che meri­ terebbero un successivo, più ampio sviluppo.

Pur presentando il lavoro alcune note a piè di pagina, sarebbe stata utile la presenza di una bibliogra­ fia, anche sommaria, che riunisse le varie fonti citate.

Condizioni di vita e di lavoro nelle scuole

Les conditions de vie et de travati de l’écolier (Enseignements élé- mentmre, secondane, technique), fascicolo speciale di « Enfance », n. 1-2-3, 1965.

La medicina scolastica non deve limitarsi a un controllo medico, di dépistage e di prevenzione nel­ l’ambito della scuola, ma deve af­ fermarsi anche come medicina di orientamento, preoccupandosi di ot­ tenere un migliore adattamento dell’insegnamento alle possibilità fisiche, intellettuali ed affettive di ciascun allievo. Questo è lo spirito nel quale sono state condotte in Francia dai servizi medici e so­ ciali dell’Educazione Nazionale, nel corso dell’anno scolastico 1963-64, una serie di ricerche sulle condi­ zioni di vita e di lavoro dello sco­ laro. Hanno partecipato a queste ricerche settantasette dipartimen­ ti francesi con contributi indivi­ duali e di gruppo. La rivista « En­ fance » pubblica in un volume spe­ ciale i risultati di venti inchieste.

Gli studi, che si riferiscono agli insegnamenti elementari, secondari e tecnici, sono raggruppati intorno ai seguenti argomenti: igiene del­

lo scolaro ; orari scolastici ; condi­ zioni di lavoro; educazione fisica, sports, ricreazione ; adattamento, igiene mentale. Nel capitolo sulle condizioni di lavoro figurano fra l’altro studi riguardanti le condi­ zioni del personale insegnante; l’ultimo raggruppamento compren­ de ricerche su oggetti diversi, co­ me il disadattamento scolastico, il reclutamento e l’organizzazione del dépistage nelle classi di perfezio­ namento.

Le ricerche, svolte con l’apporto di medici e di assistenti sociali, presentano caratteristiche diverse sia nell’impostazione e nell’esten­ sione che nelle modalità di svol­ gimento. « I metodi impiegati, la concezione dei questionari •— si afferma nell’introduzione — han­ no a volte impedito il raggiungi­ mento di risultati di un valore statistico incontestabile. Alcuni studi invadono il campo di altri, cosa che permette del resto ve­ rifiche e confronti interessanti. Al­ tri hanno un carattere di monogra­ fia locale o regionale. Ma tutti hanno sicuramente un valore di testimonianza »

L’organizzazione sociale

Charles H. Cooley, L’organizza^ zione sociale, Introduzione di Aldo Visalberghi, Ed. Comunità, Milano, 1963, pagg. XXX, 319.

Si è aggiunto a quelli già usciti nella collana Classici della sociolo­ gia curata da Pietro Rossi per le

edizioni di Comunità il volume di Charles H. Cooley L’organizzazione sociale. La traduzione dall’inglese è di Edda Saccomani Salvadori.

Nel segnalare ai nostri lettori l’opera pubblicata per la prima vol­ ta a New York nel 1909, riteniamo opportuno mettere subito in evi­ denza — quali pregi del lavoro — la larghezza e la completezza della trattazione. L’organizzazione socia­ le è vieta sotto tutti i suoi aspetti, come dimostrano i titoli delle varie parti dell’opera : Aspetti primari dell’organizzazione, La comunica­ zione, Lo spirito democratico, Le classi sociali, Le istituzioni, La volontà pubblica.

Ci si permetta di osservare che qualche angolo visuale dell’autore ci è sembrato discutibile, come, per esempio, quello relativo al cap. XXVII della parte quarta sulle classi sociali dal titolo L’ostilità tra le classi, perché a nostro avviso vi si trovano sottovalutati gli ele­ menti economici che fanno parte integrante del problema. Comunque la parte quarta suindicata è molto stimolante e induce il lettore a confrontare le idee e le posizioni (tei Cooley con quelle di altri stu­ diosi di sociologia.

Molto interessante è anche la parte terza sullo spirito democra­ tico. Qui il concetto di democrazia è svolto assai chiaramente e con osservazioni pertinenti, tanto da meritare una attenta lettura.

L’introduzione di Aldo Visalber­ ghi, che si articola in cinque parti, serve a mettere il lettore sulla

strada buona, sulla strada di una giusta comprensione del libro e al riparo da facili suggestioni; infat­ ti il prefatore si preoccupa di et- terlo in guardia (v. pag. XVII) dai pericoli che potrebbero scaturire da una lettura acritica del libro.

Un indice generale e gli indici analitici particolarmente curati fa­ voriscono una facile consultazione del trattamento qui segnalato.

A. A. M.

La società industriale

Raymond Aron, La società indu­ striale, Ed. Comunità, Milano, 1965, pagg. 292.

Il libro è costituito dalla raccolta di una serie di lezioni svolte dal- l’A. alla Sorbonne nell’anno acca­ demico 1955-56. Il punto da cui parte l’Aron, e che traspare sem­ pre nelle sue tesi, è che il concetto capitale della nostra epoca è essen­ zialmente quello di « società indu­ striale ». Contro quanto comune­ mente si tende a riconoscere, l’A. sostiene che l’Europa o i paesi afroasiatici non sono oggi costi­ tuiti da due mondi impostati in modo assolutamente antitetico — quello socialista e quello occi­ dentale —, ma da una sola, più profonda realtà : la società indu­ striale. L’analisi storica concreta e soprattutto una cosciente atten­ zione ai fatti e ai rivolgimenti politici del mondo d’oggi raffor­ zano l’A. in questa sua tesi — onde il concetto entro cui può includere

comunemente i due tradizionali blocchi politico-sociali, superandoli nella interpretazione dei fatti sto­ rici, diviene quello di « crescita » o sviluppo di una determinata so­ cietà.

La presente edizione a stampa comunque, come dichiara l’A. stes­ so nella introduzione, non tende ad altro se non alla impostazione, il più possibile « obiettiva », del problema, e non agli occhi degli specialisti, ma a quelli di un vasto pubblico, come gli studenti di so­ ciologia della Sorbonne. Il compito che l’Aron qui si prefìgge è per­ tanto quello di mostrare problema­ ticamente il problema stesso, non dando o richiedendo risposte dog­ matiche, ma con l’intento, piutto­ sto, di dissolvere i miti tradizio­ nalmente legati ad esso; «quello di una evoluzione necessaria dal capitalismo al sovietismo, quello della convergenza fatale dei due tipi di società industriale ed anche quello (...) del carattere univoco delle diverse fasi della crescita, qualunque sia l’epoca e il regime politico ».

Saggi di Mauss

Marcel Mauss, Teoria generale della magìa, e altri saggi, Ed. Einaudi, Torino, 1965, pagg. LIV, 417.

E’ questa la prima raccolta di saggi di Marcel Mauss, di una certa en­ tità, pubblicata in Italia. (Lo stes­ so Einaudi aveva curato nel 1951

la traduzione del fondamentale sag-gùo di Mauss e Durkheim, De quelques formes primitives de classificatimi, nella miscellanea di scritti di E. Durkheim, H. Hubert e M. Mauss dal titolo Le origini dei poteri magici e altri saggi).

L’opera qui presentata (il cui titolo francese è Sociologie et an- thropologié) comprende una serie di importanti saggi di Mauss, pre­ ceduta da una Introduzione di Claude Lévi-Strauss all’opera di Marcel Mauss.

I saggi della raccolta sono : Sag­ gio di una teoria generale della magia, consistente in un rifaci­ mento dello studio fatto assieme a Hubert e presentato nell’« An- née sociologique » 1902-1903 ; nella seconda parte si trova il famoso Saggio sul dono. Forme e motivo dello scambio nelle società arcai­ che, già presentato nella sua for­ mulazione originaria nell’« Année sociologique », serie II, 1923-24. Il successivo saggio riguarda i Rapporti reali e pratici tra la psi­ cologia e la sociologia, estratto dal « Journal de psychologie normale et pathologique », 1924 ; segue quindi il saggio Effetto fisico nel- l individuo dell’idea di morte sug­ gerita dalla collettività, estratto dalla stessa rivista, 1926. La quin­ ta parte dell’opera è composta dal saggio Una categoria dello spirito umano ; la nozione dì persona, quella di « io », estratto dal « Jour­ nal of thè Royal Anthropologieal Institute », voi. LXVIII, 1938 ; chiu­ de infine la raccolta un altro saggio

fondamentale per l’antropologia moderna, Le tecniche del corpo, dal «Journal de psychologie», volume XXXII, n. 3-4, 1936.

I molteplici interessi dell’autore, etnologo, antropologo, psicologo e sociologo, sono qui presenti tutti nei vari saggi. Fare un discorso su ognuno di essi porterebbe trop­ po lontano; basti qui considerare alcuni aspetti, direi, singolari di alcuni di essi.

II saggio sull’Effetto fisico nel- l indivìduo dell’idea di morte sug­ gerita dalla collettività (come an­ che quello finale su Le tecniche del corpo) si inserisce con assoluta novità (si pensi che fu pubblicato nel 1926) al centro di quei pro­ blemi e di quegli interessi fatti propri ai nostri giorni dalla me­ dicina psicosomatica. L’interesse dell A. a proposito di questo tema è infatti teso a mettere in luce in qual modo una società riesca ad imporre, per esempio, un uso determinato del proprio corpo.

Non meno importanti appaiono le considerazioni a proposito dei rap­ porti fra psicologia e sociologia (terza parte) dove, come anche nel caso precedente vi sono osservazio­ ni che oggi, allo stato attuale delle ricerche sono scontate, ma che non lo erano quaranta anni fa.

Quest’ultima considerazione, co­ munque, ci permette di accogliere quanto avvertiva Ernesto De Mar­ tino nella Presentazione dell’opera o anche l’intenzione di Claude Lévi- Strauss, che nell’Introduzione con­ sidera i primi due fondamentali

saggi come due « classici » del­ la sociologia e dell’antropologia. De Martino suggeriva appunto una « lettura critica » dell’opera, lettu­ ra che dovrebbe permetterci di accogliere quanto dei problemi qui posti è tuttora valido e tutto ciò che invece — avendo avuto dopo Mauss, pur per sua influenza di­ retta o indiretta, sviluppo e appro­ fondimento — in Mauss appare ancora « legato ad una sorta di utopistica ingenuità o addirittura ad un sostanziale conservatorismo arcaicizzante ».

M. Z.

Le classi sociali oggi

Il volume XXXVIII (gennaio-giu­ gno 1965) dei « Cahiers Interna­ tionaux de Sociologie », è dedicato al tema : Le classi sociali nel mon­ do d’oggi. Allo stesso argomento sarà dedicato il vol. XXXIX degli stessi « Cahiers », che completerà la pubblicazione' dei lavori del V Colloquio dell’Association Inter­ nationale des Sociologues de Lan­ gue Française (29 settembre-4 otto­ bre 1964).

Questo primo resoconto, dopo una breve introduzione di G. Gurvitch comprende cinque parti di cui ri­ produciamo qui il sommario :

I. Francia: R. Aron, La classe comme représentation et comme volonté; H. Lefebvre, Classe et nation depuis le « Manifeste »

(1348) ; P. George, Quelques types

régionaux de composition sociale dans les campagnes françaises; J. Weiller, Classes sociales, poli­ tique des revenus et relations éco­ nomiques internationales.

II. Canada: F. Dumont, La représentation idéologique des clas­ ses au Canada français; M. Rioux, Conscience nationale et conscience de classe au Québec; J. Ch. Falar- deau, L’origine et Vascension des hommes d’affaires dans la société canadienne-française; G. Fortin, Milieu rural et milieu ouvrier : deux classes virtuelles.

III. Africa Nera: G. Balan- dier, Problématique des dosses sociales en Afrique Noire; P. Mer­ cier, Les classes sociales et les changements politiques récents en Afrique Noire; F. N. Agblema- GNON, Mythe et réalité de la classe sociale en Afrique Noire: le cas du Togo.

IV. Maghreb : J. Berque, L’idée de classe dans l’histoire contem­ poraine des Arabes; J. Duvignaud, Classe et conscience de classe dans un pays du Maghreb : la Tunisie; A. Zghal, Les effets de la moder­ nisation de l’agricolture sur la stra­ tification sociale dans les campa- ges tunisiennes; A. Michel, Les classes sociales en Algérie.

V. Israele: S. Jonas, Les clas­ ses sociales en Israël.

Nel numero successivo il reso­ conto, avverte la redazione, riguar­ derà Belgio, Germania, Svizzera,

Italia, Jugoslavia, Polonia, America latina ed Estremo Oriente.

A proposito di un tale dibattito ci si potrebbe domandare quale sia l’utilità di una definizione di « clas­ se sociale » — come delle defini­ zioni in genere. Sta di fatto, co­ munque, osserva Gurvitch nella premessa, che la materia che i so­ ciologi studiano è troppo spesso vaga e casuale. Il che significa, in definitiva, che proprio in questo campo le definizioni vanno cercate e « poste in quadri concettuali operativi » : le definizioni, cioè, ser­ vono sia da delimitazione del campo nell’ambito del quale la ricerca viene svolta, sia « come prima in­ dicazione di ciò che si cerca ».

D’altra parte, va tenuto presente, i lavori qui riportati non si limi­ tano a cercare delle nuove defini­ zioni di « classe sociale », quanto piuttosto tendono a vedere in che modo nei diversi, specifici, aspetti della società di oggi si possa sta­ bilire una classificazione dei grup­ pi che fanno parte di una società. Avverte infatti Gurvitch nella pre­ messa : « Analizzare oggi le classi sociali è un compito ben più dif­ ficile di quanto non fosse all'epoca della nascita della teoria marxista, quando i criteri di “ partecipazione alla produzione e alla distribuzio­ ne ”, di “ rapporto con la proprietà dei mezzi di produzione ”, di “ pre­ sa di coscienza di classe ” (...), sem­ bravano sufficienti a circoscrivere chiaramente la situazione ». E tan­ to meno sembrano, nei confronti

della società odierna, sufficienti a dare una definizione i vari tenta­ tivi ispirati a diverse ideologie, come quello del Pareto basato sul­ la distinzione fra gruppi « dirigen­ ti » e « diretti » nell’ambito di una società ; « l’errore di una tale inter­ pretazione non sfugge: si possono osservare gruppi “ dirigenti ” e diretti ” all’interno di ciascuna classe; inoltre, più una classe si struttura e a maggior ragione si organizza, e più questa distinzione si presenta alla nostra osservazio­ ne ». Analoghe considerazioni val­ gono nei confronti di un altro tentativo di definizione, ispirato dalla sociologia americana, secondo cui si può stabilire una classifi­ cazione sul piano degli « strati economici ». Ma è evidente, osserva Gurvitch, che tale definizione « ac­ quista una importanza particolare nelle società a regime capitalistico- industriale ».

Tutti questi tentativi, applicati alla società moderna, sembrano portare a definizioni astratte e so­ prattutto interrelative solo ad al­ cuni ceti o gruppi. Qualsiasi ten­ tativo di definire le classi sociali infatti si trova oggi a dover fare i conti con il numero delle stesse classi, con i loro caratteri e i rap­ porti che intercorrono fra di esse, con le loro lotte, le differenti stra­ tificazioni al loro interno, i diversi gruppi che comprendono; si pensi, tanto per fare un esempio', alla difficoltà di includere in una « clas­ se » tradizionale il « gruppo » dei

sindacalisti, inteso o come dipen­ dente dalla classe di cui è un « ope­ ratore » o come appartenente al ceto intellettuale. E soprattutto, fatto caratteristico della nostra epoca, non si può non tener pre­ sente il farsi avanti di nuovi grup­ pi etnici e sociali che, acquistando una indipendenza amministrativa e liberandosi quindi da un certo tipo di dipendenza verso altri gruppi, vanno a loro volta stabilendo delle

Documenti correlati