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Etero-organizzazione versus coordinamento

Nel documento Diritto delleRelazioniIndustriali (pagine 33-44)

Nell’ambito della complessiva ricostruzione dei nessi tipologici che di-stinguono, accomunandole, le fattispecie del lavoro etero-organizzato dalle collaborazioni coordinate e continuative, la dottrina ha debitamen-te valorizzato l’innovativa disposizione dell’articolo 15, legge n. 81/2017, la quale, in modo ormai inequivocabile, ha collocato il coor-dinamento all’interno di un programma negoziale stabilito di comune accordo dalle parti, diversamente dalla prerogativa unilaterale di

orga-nizzazione delle modalità esecutive della prestazione di cui all’articolo 2, comma 1. In quel programma sono predefiniti consensualmente l’opera o il servizio richiesto, costituendo tale predeterminazione il contenuto dell’obbligazione pattuita nella fase formativa del contratto e senza che ciò implichi l’inserimento del prestatore nell’organizzazione del committente. Come dire che il coordinamento si manifesta, anche in mancanza di direttive e di etero-organizzazione, nella semplice conca-tenazione di successive prestazioni che, in base ad elementi predeter-minati dalle parti, sono volte alla realizzazione dell’interesse comples-sivo dell’altra parte; distinguendosi in ciò dalla situazione di etero-organizzazione in cui l’autonomia nella modalità di esecuzione della prestazione è fortemente compressa (se non del tutto esclusa) (34). I cardini di questa tesi sono accolti dalla Corte di Cassazione, la quale, una volta ricondotta la etero-organizzazione ad «elemento di un rappor-to di collaborazione funzionale con l’organizzazione del committente», evidenzia «la differenza rispetto ad un coordinamento stabilito di co-mune accordo dalle parti che, invece, nella norma in esame, è imposto dall’esterno, appunto etero-organizzato» (punto 32; lo stesso concetto è ribadito al punto 53). La dottrina aveva già puntualizzato che il

(34) Un esempio può chiarire la distinzione. Se il committente impone in via unilatera-le fasce orarie predeterminate e rigide in cui la prestazione dovrà essere svolta, senza alcuna possibilità per il prestatore di sceglierle o modificarle, siamo di fronte ad un potere di organizzazione del committente; se invece le parti concordano le fasce ora-rie in cui la prestazione può essere resa, sulla base di una programmazione negoziale effettivamente contrattata fra le parti in cui le diverse esigenze soggettive sono state

ponderate con un esito stabilito di comune accordo, ovvero se il committente e

presta-tore rimettono a quest’ultimo la facoltà di scelta delle fasce orarie sulla base delle sue disponibilità soggettive, allora siamo di fronte ad un coordinamento non unilaterale, ma effettivamente concordato fra le parti.

mento del legislatore al «comune accordo fra le parti» non doveva esse-re inteso in senso formalistico, tale da giustificaesse-re la pesse-redisposizione in via unilaterale di clausole di coordinamento da parte del committente, su cui far “convergere” il prestatore attraverso una manifestazione di volontà adesiva tanto formalistica quanto inespressiva di un genuino “accordo fra le parti” (35). Se, infatti, le parti devono stabilire di comune accordo le modalità del coordinamento, una trattativa individuale dovrà

essere effettivamente intervenuta e la clausola dovrà risultare essere stata effettivamente concordata tra le parti e non imposta dal commit-tente, conformemente a quanto accade, nell’ambito della disciplina dei contratti del consumatore, per le clausole o gli elementi di clausola le quali, ai sensi dell’articolo 34, comma 4, Codice del consumo (ma vedi già l’abrogato articolo 1469-ter, comma 4, c.c.), non sono da

conside-rarsi vessatorie se siano state «oggetto di trattativa individuale». In

so-stanza la disposizione in esame deve essere letta, diversamente dal pas-sato, come disciplina dell’autonomia contrattuale, volta ad escludere la predisposizione unilaterale di clausole relative al concreto esercizio di prerogative unilaterali (rectius, di un potere di coordinamento) da parte

del committente. Sotto questo profilo il coordinamento come frutto di

una cooperazione fra le parti risulta diversa sia dalla fattispecie del

la-voro “etero-organizzato” dal committente ex articolo 2, comma 1, sia

dalle fattispecie di lavoro autonomo in cui la legge attribuisce ab origi-ne al creditore della prestazioorigi-ne la facoltà di impartire “istruzioni”,

co-me accade nel mandato o nell’agenzia, e ciò perché – coco-me altri

(35) In una diversa posizione si pone V. SPEZIALE, op. cit., laddove fa riferimento ad

un «consenso che scaturirebbe dalla sottoscrizione del contratto di collaborazione e che toglierebbe, nel momento genetico, qualsiasi capacità di differenziazione (visto che il lavoratore firmerebbe sempre, per evidenti ragioni, l’accordo)». In realtà, lo schema prefigurato dal legislatore non è quello di un contratto “per adesione”, in cui il lavoratore presta il proprio consenso ad un’imposizione del contraente forte, ma di una clausola sul coordinamento della prestazione che sia il frutto di una effettiva trat-tativa intercorsa fra le parti. Peraltro, sottostimando il valore dell’accordo fra le parti

(ritenuto un elemento “scarsamente rilevante”), l’A. non sembra apprezzare il fatto che la distinzione tra coordinamento ed etero-organizzazione delineata dalla Cassa-zione non è, in quanto basata sulla presenza o meno dell’accordo fra le parti, mera-mente formalistica, «senza che venga delineata una differenza quantitativa e qualitati-va tra i due concetti»: proprio l’accordo fra le parti, se qualitati-valorizzato in senso sostanzia-le, pone i due concetti su piani del tutto diversi quanto alla loro natura giuridica

(l’etero-organizzazione è espressione di un potere unilaterale, il coordinamento è un elemento consensuale del contratto, deprivato di ogni unilateralità).

tamente osserva – «è la determinazione consensuale delle parti o la de-terminazione autonoma del collaboratore nei limiti pattuiti dal contrat-to, ad individuare le modalità di esecuzione della prestazione, all’inizio del rapporto o durante lo svolgimento dello stesso» (36).

Ciò chiarito sul piano concettuale, devono trarsene le conclusioni ope-rative, le quali consistono nella possibilità di vagliare puntualmente il contenuto contrattuale per verificare l’effettiva negoziazione dell’accordo intervenuto tra le parti sul coordinamento della prestazio-ne. Al pari di quanto previsto nell’ambito della disciplina dei contratti del consumatore, il problema della effettiva negoziazione tra le parti

della clausola relativa al coordinamento si risolve sulla base di una ri-gorosa disamina circa il rispetto dei criteri di individualità (37), serietà

(38) ed effettività, intesa, quest’ultima, come espressione dell’autonomia

privata delle parti non solo nel senso di libertà di concludere il contratto ma anche nell’accezione di concreta possibilità per il prestatore di lavo-ro di determinare il contenuto del contratto (39). È questa, del resto, la

(36) G. SANTORO-PASSARELLI, Le categorie del diritto del lavoro “riformate”, in q. Rivista, 2016, n. 1, p. 16, nota 23, e già ID., Il lavoro parasubordinato, Giuffrè, 1979,

p. 67.

(37) L’individualità attiene alle clausole o agli elementi di clausola costituenti il con-tenuto dell’accordo, presi in considerazione singolarmente e nel significato che assu-mono nel complessivo tenore del contratto. La nozione di trattativa individuale sui singoli elementi di clausola del contratto attiene anche alla consapevolezza che le par-ti devono maturare in merito agli eventuali elemenpar-ti di vessatorietà che possono con-notare l’accordo e che però esse sono disposte ad accettare.

(38) La serietà ha riguardo al comportamento che le parti assumono per conseguire il risultato cui la trattativa è diretta: i parametri di valutazione di tale condotta sono gli artt. 1337 e 1375 c.c., che prescrivono, tanto nelle trattative quanto nell’esecuzione del contratto, una condotta secondo buona fede.

(39) Cass. 20 marzo 2010, ordinanza n. 6802; il passaggio più importante della elabo-razione dottrinale e giurisprudenziale in materia è offerto nel passaggio in cui la Corte afferma che «Come anche in dottrina osservato, con specifico riferimento al disposto normativo dell’art. 1469 ter, 4º co., c.c. (nel sottolinearsi la diversità al riguardo della soluzione adottata dall’ordinamento italiano rispetto a quella posta dalla dir. 93/13/CEE), non è infatti l’assenza di trattativa a rilevare quale presupposto di appli-cazione della disciplina di tutela del consumatore in argomento, ma al contrario è lo svolgimento della trattativa ad atteggiarsi quale oggettivo presupposto di esclusione della relativa applicazione. Non è allora il consumatore a dover provare il fatto nega-tivo della mancanza di negoziazione, ma è invece il professionista che intenda far va-lere la disapplicazione, nel singolo caso concreto, della disciplina di tutela del consu-matore a dover dare la prova del fatto positivo del prodromico svolgimento di una

logica dell’articolo 2224 c.c., che colloca rigorosamente la fase dell’esecuzione del contratto di lavoro autonomo nell’esclusivo alveo di una programmazione negoziale intervenuta tra le parti (fermo il ri-spetto delle regole dell’arte) a tutela dell’effettiva autonomia del presta-tore. Sarà inidonea, sotto questo profilo, ai fini della prova dell’effettiva trattativa intercorsa tra le parti, la mera approvazione per iscritto della clausola sul coordinamento da parte del lavoratore, difettando il men-zionato requisito dell’effettività che deve caratterizzare una trattativa privata in vista di un «comune accordo fra le parti». Inoltre, similmente a quanto previsto nella ripartizione degli oneri probatori in materia di tutela del consumatore, non sarà il lavoratore a dover provare il fatto negativo della mancanza di negoziazione della clausola sul coordina-mento, ma sarà il committente, che intenda contestare la domanda del prestatore e far valere la natura autonoma del rapporto, a dover fornire la prova del fatto positivo del prodromico svolgimento di una trattativa, dotata dei caratteri essenziali suoi propri, quale fatto impeditivo della riqualificazione del rapporto nei termini della subordinazione (o dell’etero-organizzazione).

Potrà essere di ausilio, nell’accertamento in esame, anche il riferimento all’articolo 1362, comma 2, c.c., che impone di valutare, ai fini di stabi-lire la comune intenzione delle parti, il comportamento complessivo delle stesse, anche posteriore alla conclusione del contratto. Infatti, proprio i comportamenti tenuti dai contraenti nella fase di esecuzione della collaborazione coordinata e continuativa possono lasciar desume-re il fatto dell’effettiva negoziazione della clausola sul coordinamento ovvero, al contrario, la sua sostanziale imposizione da parte del com-mittente. Come dire che se il patto contrattuale relativo al coordinamen-to è stacoordinamen-to regolarmente e puntualmente eseguicoordinamen-to senza contestazioni per un apprezzabile periodo di tempo, e se, al contempo, l’esecuzione della prestazione “coordinata” si è svolta nel pieno rispetto dell’autonomia organizzativa del collaboratore, se ne potrà desumere che il patto in og-getto sia stato frutto di una libera negoziazione e non di una imposizio-ne, e che la fattispecie sia, di conseguenza, una genuina forma di colla-borazione autonoma. Al contrario, se nel corso dello svolgimento della prestazione siano sorte tra le parti contestazioni relativamente alle con-crete modalità del coordinamento (perché ad esempio il committente si

trattativa dotata dei caratteri essenziali suoi propri, quale fatto impeditivo della relati-va applicazione».

è discostato dalle modalità stabilite di comune accordo tra le parti), ov-vero se detto coordinamento abbia inciso, limitandola o condizionando-la, sull’autonomia organizzativa del prestatore, si dovrà porre in dubbio la natura autonoma della fattispecie, la quale potrà essere ricondotta al lavoro etero-organizzato o subordinato.

Tale impostazione rigorosamente consensuale-sostanzialistica vale a maggior ragione oggi, dopo che l’arresto della Cassazione ha incardina-to il distinguo tra etero-organizzazione e coordinamenincardina-to sull’accordo fra le parti, con l’ulteriore specificazione che, diversamente da quanto accade mediante l’esercizio del potere di etero-organizzazione, il coor-dinamento viene predeterminato dall’accordo in modo definitivo ed immodificabile sino ad un successivo accordo modificativo (40). Se in-fatti fosse possibile, per il committente, acquisire ex ante attraverso

l’originario accordo fra le parti una flessibilità nell’adattamento del rapporto contrattuale ai successivi “stati del mondo”, si sovvertirebbe la logica che informa il novellato articolo 409, n. 3, c.p.c., nella parte in cui – proprio al fine di evitare l’unilateralismo del creditore sub specie

di dichiarazioni specificative o determinative – consegna all’accordo fra le parti ogni aspetto del coordinamento, nessuno escluso.

Questa conclusione dottrinale, oggi confermata dalla Suprema Corte, non è controvertibile sulla base di interpretazioni volte a consentire di “reintrodurre” un potere unilaterale di coordinamento, vuoi attraverso una equiparazione tra coordinamento ed organizzazione, vuoi limitando tale prerogativa del committente alla sola specificazione del risultato convenuto e non anche alle modalità esecutive dell’attività funzionali all’adempimento (41). Sotto questo profilo, la sentenza della Corte, ri-chiamando il valore del criterio consensualistico in contrapposizione

(40) A. MARESCA, op. cit. Non si comprende, quindi, la posizione di chi ritiene «assai

poco convincente l’assunto giusto il quale il coordinamento avrebbe natura consen-suale ma il consenso, e non si capisce proprio il perché, dovrebbe esprimersi in occa-sione di ogni adattamento del programma negoziale senza poter riguardare, in modo programmatico, ex ante, le future modalità di adempimento della prestazione» (così

M. MARAZZA, In difesa del lavoro autonomo (dopo la legge n. 128 del 2019), in

cor-so di pubblicazione in RIDL, 2020): è ovvio infatti che il principio consensualistico,

realizzandosi attraverso uno specifico accordo fra le parti, richiede, secondo la norma-le logica contrattuanorma-le, l’immodificabilità di quanto dalnorma-le parti stabilito, sino a che una

nuova negoziazione non intercorra per adattare il rapporto contrattuale ad un diverso

stato del mondo.

all’“imposizione” eteronoma, sembra davvero mettere un punto fermo

sul discrimen tra etero-organizzazione e coordinamento, sconfessando

le tesi dottrinali che ora passeremo in rassegna critica.

La prima delle cennate prospettazioni dottrinali, che si colloca in una logica ricostruttiva del tutto speculare a quella che identifica l’etero-organizzazione con la subordinazione, sostiene la sussunzione dell’etero-organizzazione nell’ambito del coordinamento (42). Afferma-re che l’etero-organizzazione delle collaborazioni ex articolo 2, comma

1, coincide con il coordinamento dell’articolo 409, n. 3, c.p.c., rende

indistinte due fattispecie che, invece, hanno struttura ed effetti alterna-tivi fra loro; né vale sostenere che le prestazioni etero-organizzate ex

articolo 2, comma 1, si materializzano quando nell’accordo sulle moda-lità del coordinamento previsto nel novellato articolo 409, n. 3, c.p.c., le parti concordemente attribuiscono al committente un potere di etero-organizzazione. Questo modus procedendi non appare coerente con

l’interpretazione letterale della legge nella misura in cui l’articolo 2, comma 1, impiega il termine “organizzazione”, mentre l’articolo 409, n. 3, c.p.c., quello di “coordinamento”: se il legislatore avesse inteso accomunare le due fattispecie non avrebbe impiegato termini diversi, ma avrebbe utilizzato il medesimo concetto. L’interpretazione in esame non sembra neppure rispettosa del canone teleologico, che viene addi-rittura capovolto posto che la ratio legis dell’articolo 15, legge n.

81/2017, consiste propriamente nell’eliminare ogni dubbio circa la sus-sistenza di una prerogativa unilaterale (un potere) di coordinamento in

capo al committente, rendendo tale coordinamento un elemento con-sensuale del contratto e collocandolo nell’alveo di un programma nego-ziale effettivamente stabilito di comune accordo fra le parti, e non

cer-to nel consentire che quel medesimo potere venga surrettiziamente as-segnato al committente sub specie di “potere di organizzazione”, per di

più nell’ambito di una fattispecie legale diversa da quella indicata

(42) Tesi sostenuta in particolare da U. CARABELLI, Collaborazioni e lavoro occasio-nale tra autonomia e subordinazione, in U. CARABELLI,L.FASSINA (a cura di), Il la-voro autonomo e il lala-voro agile alla luce della legge n. 81/2017, Cgil, 2018, pp. 41

ss., e ripresa da C. SPINELLI, La qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dei fattorini di Foodora tra autonomia e subordinazione, nota a Trib. Torino 7 maggio

dall’articolo 409, n. 3, c.p.c. (id est quella dell’articolo 2, comma 1)

(43).

In questo nuovo quadro normativo si apre, quindi, uno spazio della dogmatica per identificare concettualmente una prestazione di lavoro etero-organizzata, non etero-diretta (nel senso di assoggettata a direttive intrinseche allo svolgimento dell’attività, puntuali e continue ex articolo

2094 c.c.), né coordinata (nel senso che il collaboratore segue le moda-lità di coordinamento definite di comune accordo), ma assoggettata ad una organizzazione, anche spazio-temporale. Tale etero-organizzazione si distingue dal coordinamento perché quest’ultimo ha cessato di essere (interpretabile come) una prerogativa unilaterale, esprimendo null’altro che una modalità consensuale di programmazio-ne della prestazioprogrammazio-ne, in aderenza a quanto previsto in geprogrammazio-nerale per il la-voro autonomo dall’articolo 2224 c.c.

Un’altra tesi suggerisce la perdurante sussistenza, nell’ambito della fat-tispecie di cui all’articolo 409, n. 3, c.p.c., di un potere di

coordinamen-to sub specie di “specificazione” del risultato convenuto: un potere di

coordinamento che «esiste, ma, a differenza di quanto normalmente si riscontra nelle prestazioni d’opera continuative, si tratta di un elemento che richiede sempre il necessario accordo tra le parti giacché, in man-canza di consenso, si configura la diversa fattispecie della eteroorga-nizzazione».

Questa speculazione dottrinale elaborata «in difesa del lavoro autono-mo» (44) non può essere accolta, sia per le ragioni appena espresse (la

(43) Questa tesi è ora condivisa da A. MARESCA, op. cit., secondo il quale «nelle

col-laborazioni coordinate l’oggetto dell’accordo non potrà essere l’attribuzione al com-mittente delle prerogative previste dall’art. 2, co.1, se così fosse infatti verrebbe meno la possibilità del collaboratore di organizzare “autonomamente l’attività lavorativa”». (44) Il titolo del contributo allude ad una «difesa del lavoro autonomo» sul presuppo-sto che l’interpretazione qui sostenuta avrebbe un effetto di forte riduzione dell’operatività delle collaborazioni coordinate e continuative. Premesso che le colla-borazioni coordinate e continuative non esauriscono l’intero universo del “lavoro au-tonomo”, e quindi la “difesa” in esame non si riferisce al lavoro autonomo ma solo ad una sua piccola porzione, giova ricordare che l’interprete deve prendere atto della vo-lontà del legislatore di “difendere” le collaborazioni genuine in modo diverso, consi-stente nell’assicurare la loro collocazione nell’alveo di una programmazione negozia-le in cui l’autonomia prestatoria viene preservata da intrusioni organizzative che, nella prassi applicativa dell’istituto delle collaborazioni (anche vigente il contratto di lavoro a progetto), hanno denotato una propensione dei committenti ad abusare della fatti-specie, proprio giocando sull’ambiguità del coordinamento. Difendere il lavoro

auto-novella dell’articolo 409, n. 3, c.p.c. non contempla un accordo delle parti al fine di attribuire al committente un potere di coordinamento “convenzionale”, ma, al contrario, prevede un accordo delle parti per escludere che il committente si arroghi un coordinamento unilaterale della prestazione), sia perché è fondata su un assunto non congruente sul piano del diritto positivo, e cioè che «l’attribuzione di un potere di coordinamento (o specificazione) della prestazione in capo al commit-tente può ritenersi elemento naturale, quasi ineliminabile, di un qualsia-si schema negoziale nel quale viene dedotta una prestazione d’opera continuativa» (45).

La tesi in esame, costruita sulla valorizzazione estensiva a tutte le loca-tiones operis del potere di istruzione previsto in alcune fattispecie

tipi-che di lavoro autonomo (mandato, articolo 1711 c.c., agenzia articolo 1746 c.c., spedizione, articolo 1736 c.c.), non tiene conto che il legisla-tore riconosce solo per determinate e tassative tipologie nominate di contratto una simile prerogativa creditoria, mentre la disciplina genera-le del lavoro autonomo (che raccoglie il distillato normativo dell’antico

ceppo della locatio operis) non contempla affatto un potere di

“istru-zione” del committente (tantomeno un potere di coordinamento). La prestazione d’opera è disciplinata dagli articoli 2222 e ss. c.c., seguen-do un paradigma tipico molto semplice e lineare, che non prevede in alcun modo prerogative eteronome di ingerenza o controllo del

com-mittente sull’esecuzione del contratto, neppure sotto il limitato profilo di “istruzioni” impartite al prestatore nell’esecuzione della ope-ra/servizio. Difatti, l’articolo 2224 c.c., relativo all’esecuzione dell’opera, indica quale unico parametro eteronomo da rispettare le “regole dell’arte”, rimettendo ogni altro profilo esecutivo alla pro-grammazione negoziale, quindi al di fuori di ogni prerogativa unilatera-le, di qualsiasi grado e intensità, del creditore (che non si riduca alle normali prerogative creditorie proprie di qualsiasi struttura obbligato-ria, ovvero al portato integrativo degli obblighi di diligenza e di

nomo, oggi, significa quindi garantire il prestatore da prerogative unilaterali del committente, tali da snaturare l’assetto degli interessi tipico dello schema generale della locatio operis, fornendogli altresì una serie di garanzie ad hoc, come il

legislato-re, molto timidamente invero, ha iniziato a fare con la l. n. 81/2017.

Nel documento Diritto delleRelazioniIndustriali (pagine 33-44)

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