Una delle questioni dogmaticamente più rilevanti dell’intera tematica qui affrontata riguarda la distinzione tra i concetti che connotano giuri-dicamente le fattispecie del lavoro subordinato, da un lato, e delle col-laborazioni etero-organizzate dall’altro, vale a dire il distinguo tra il po-tere direttivo tipico del datore di lavoro e il popo-tere di organizzare le modalità di esecuzione della prestazione in capo al committente ex
arti-colo 2, comma 1. Una distinzione più volte contestata da una parte del-la dottrina, eppure necessaria se non si vuole evitare il confronto con i
dati del diritto positivo e con i canoni dell’ermeneutica legislativa posti dall’articolo 12 delle preleggi, vale a dire «il significato proprio delle parole» e l’«intenzione del legislatore».
duttivo di effetti. Infatti, quella tesi conduce necessariamente all’interpretazione dell’art. 2, comma 1, fatta propria dal Tribunale di Torino, che attribuisce alla norma un campo di applicazione più ristretto rispetto a quello dell’art. 2094 c.c. (ciò in
quan-to l’art. 2094 c.c. non richiede necessariamente l’etero-determinazione “anche” degli aspetti spazio-temporali della prestazione); in tal modo, tuttavia, la norma sarebbe del tutto improduttiva di effetti (perché l’etero-organizzazione, delineando un campo di applicazione più ristretto rispetto a quello della subordinazione, non avrebbe alcun significato pratico-applicativo) e quindi senza un “senso” concreto; onde l’interpretazione della parola “anche” qui criticata finisce per contrastare con il cano-ne ermecano-neutico che impocano-ne di dare alle norme un senso produttivo di effetti, al pari di quanto l’art. 1367 c.c. prescrive per il contratto (come correttamente afferma la Cas-sazione, punto 17 della sentenza).
La Corte di Cassazione, pur nell’ambito di osservazioni molto stringate e sostanzialmente “elusive” del nodo teorico posto dal tessuto normati-vo in esame, si riferisce al potere di etero-organizzazione di cui all’articolo 2, comma 1, come prerogativa autonoma e distinta dal pote-re di etero-dipote-rezione, confermando, nella sostanza, quelle visioni dottri-nali che distinguono tale posizione giuridica soggettiva del committente dal tipico “potere direttivo” del datore di lavoro. Invero, il potere diret-tivo non solo consente l’organizzazione della prestazione nel contesto produttivo, ma, essendo un potere di conformazione, contribuisce alla determinazione dell’oggetto dell’obbligazione lavorativa, di volta in
volta modulabile in ragione delle esigenze gestionali dell’impresa (da non confondersi, ovviamente, con lo ius variandi quale potere di
modi-ficazione dell’oggetto dell’obbligazione) (18). Questa specificità del po-tere direttivo consente di distinguerlo dal popo-tere di organizzazione di cui all’articolo 2, comma 1, in quanto incidente sulle modalità di esecu-zione della prestaesecu-zione, laddove il potere tipico del datore di lavoro
«precisa di volta in volta, nel corso dello svolgimento del rapporto, il contenuto della prestazione convenuta» (19) e quindi si pone su un pia-no ulteriore rispetto alle modalità di esecuzione della prestazione e «al grado di specificazione delle prestazioni già insito nella descrizione
(18) M. MAGNANI, Subordinazione, eterorganizzazione e autonomia tra ambiguità normative e operazioni creative della dottrina, in DRI, 2020, n. 1, p. 112, si chiede se
quella indicata nel testo non sia una «discutibile definizione del potere direttivo come potere di determinazione dell’oggetto del contratto, in cui si perde ogni confine rispet-to al c.d. jus variandi». La risposta non può che essere negativa. Infatti, da un punto di
vista dogmatico, il potere di conformazione è logicamente inconfondibile con lo jus variandi: il primo individua e precisa il contenuto della prestazione lavorativa
nell’ambito di un perimetro ampio e in qualche misura generico, ma pur sempre
defi-nito dal contratto (le mansioni contrattualmente esigibili), mentre il secondo è un po-tere di imporre al prestatore compiti eccedenti il contenuto delle mansioni contrat-tualmente stabilite; questa linea di confine è precisata da G. GIUGNI, Mansioni e qua-lifica nel rapporto di lavoro, Jovene, 1963, pp. 104 e 229, secondo il quale «il campo
dello jus variandi comincia dove il potere direttivo finisce» (p. 252). Quindi, mentre
l’esercizio dello jus variandi realizza una vicenda modificativa del contenuto della
prestazione oggetto del contratto, il potere direttivo va ricondotto alla categoria degli
svolgimenti interni, i quali per un verso non determinano alcun mutamento
dell’identità strutturale della situazione giuridica e, dall’altro, conducono questa ad un ulteriore sviluppo: cfr. A. FALZEA, Efficacia giuridica, in A. FALZEA, Voci di teoria generale del diritto, Giuffrè, 1970, p. 336 e, con riferimento alla categoria della
“spe-cificazione”, p. 342.
delle mansioni, cosicché […] si suole affermare renda specifico il face-re, originariamente in qualche misura generico, dedotto in
obbligazio-ne» (20).
Questa valenza conformativa-specificativa del potere direttivo, che nel-la nostra tradizione giuridica risale alnel-la teoria contrattualistica degli an-ni Sessanta (21), trova conferma nella concezione gius-economica dell’impresa secondo la quale i contratti di lavoro subordinato, per loro natura “incompleti”, prevedono “zone di accettazione” entro le quali gli ordini vengono eseguiti senza resistenza, consentendo di evitare la con-tinua rinegoziazione dei termini del contratto (ed i relativi “costi di transazione”) in funzione di un processo decisionale sequenziale ed adattabile (22). Questo sincretismo metodologico tra dottrina giuslavori-stica di ispirazione contrattualigiuslavori-stica e teoria economica conferma, in so-stanza, la strutturale appartenenza della fattispecie di subordinazione ad una radice comune, quella del potere di direzione e alla sua funzione di continua “riduzione al presente” dei termini del contratto rispetto alle condizioni organizzative in cui la prestazione di lavoro viene resa e in-dirizzata ai fini produttivi (23).
Sino all’entrata in vigore dell’articolo 2, comma 1, il dibattito dottrinale sulla natura e morfologia del potere direttivo è stato caratterizzato da una dialettica tra visioni tradizionalmente centrate sulla presenza di or-dini e direttive, e interpretazioni evolutive, volte a superare quel dato – ritenuto non più conforme alla realtà dell’impresa post-fordista – a fa-vore di concezioni più elastiche di “direzione”, sino a far coincidere questa prerogativa con un più ampio potere di “organizzazione” della prestazione, non necessariamente espresso mediante ordini e direttive specifiche. Tali tentativi di “dilatazione” della nozione di potere diretti-vo erano già stati colti in tempi non sospetti, a fronte dei cambiamenti tecnologici dell’epoca post-fordista, rilevandosi «una fenomenologia della subordinazione necessariamente varia secondo le differenti fasi
(20) G. GHEZZI, La mora del creditore nel rapporto di lavoro, Giuffrè, 1965, p. 7.
(21) Oltre a Giugni e Ghezzi, citati nelle note precedenti, è d’obbligo il riferimento a M. PERSIANI, Contratto di lavoro e organizzazione, cit.
(22) Cfr. O.E. WILLIAMSON, Le istituzioni economiche del capitalismo, Franco Angeli,
1987, pp. 156 ss. e 384 ss.
(23) Sulla “riduzione al presente” secondo il modello contrattuale classico vedi I.R. MACNEIL, Contracts: Adjustments of long-term economic relations under classical, neoclassical, and relational contract law, in Northwestern University Law Review,
dello sviluppo sociale» (24). La stessa giurisprudenza, con la nozione di “subordinazione attenuata”, ha, di fatto, realizzato una modulazione morfologica del concetto di potere direttivo. In questa prospettiva lo sforzo giurisprudenziale di espandere il campo di applicazione del dirit-to del lavoro nei confronti di attività lavorative caratterizzate da specia-le autonomia decisionaspecia-le e spirito di iniziativa (come nel caso del lavo-ro giornalistico) non ha offuscato ma, al contrario, confermato la fun-zione dell’etero-direfun-zione «nella sua dimensione di intensità variabile, morfologicamente instabile, ma comunque percepibile sul piano del dover essere normativo» (25). Ciò non significa, tuttavia, che il nostro sistema giuridico del lavoro abbia conosciuto un’evoluzione giurispru-denziale tale da consentire di affermare che il potere direttivo, inteso come assoggettamento a direttive ed ordini specifici, non è più il crite-rio principale di identificazione della subordinazione, e che quest’ultima debba essere concepita come assoggettamento del lavora-tore ad un più ampio e generico potere “di organizzazione”. L’ambito della subordinazione resta contrassegnato dal potere unilaterale di con-formazione della prestazione in capo al datore di lavoro, e tale potere si distingue qualitativamente sia dalle prerogative di “istruzione” che ri-troviamo in talune fattispecie di lavoro autonomo, sia dal “coordina-mento” tipico delle collaborazioni coordinate e continuative, sia dal po-tere di etero-organizzazione di cui all’articolo 2, comma 1, il quale non possiede le caratteristiche giuridiche del potere di conformazione per-ché risulta esterno alla sfera dell’oggetto dell’obbligazione, che è pre-definita ex ante e non viene identificata di volta in volta per il tramite
del potere direttivo. La prestazione del collaboratore etero-organizzato risulta sì condizionata nella sua esecuzione, ma non per effetto dell’esercizio del potere direttivo, bensì in ragione del contesto orga-nizzativo unilateralmente amministrato dal committente ed entro il
qua-le la prestazione è destinata ad essere funzionalmente integrata: una prestazione etero-organizzata, come ha ben messo in evidenza la Corte d’Appello di Torino, esprime infatti un nesso funzionale con
l’organizzazione del committente, conformemente a quanto la giuri-sprudenza affermava (prima dell’introduzione del lavoro a progetto, e prima della fondamentale rivisitazione dell’articolo 409, n. 3, c.p.c. ad opera dell’articolo 15, legge n. 81/2017) con riferimento alle
(24) A. PERULLI, Il potere direttivo dell’imprenditore, Giuffrè, 1992, p. 347.
zioni coordinate e continuative, di cui, in sostanza, oggi, con l’eliminazione del potere unilaterale di coordinamento, il lavoro etero-organizzato dal committente ha funzionalmente preso il posto.
Con l’introduzione delle collaborazioni etero-organizzate dal commit-tente ad opera dell’articolo 2, comma 1, l’interprete che non intenda negare il diritto positivo è tenuto a prendere atto di questa necessaria distinzione, calibrando di conseguenza la propria attività ricostruttiva. È ciò che ha fatto sul piano metodologico la Cassazione nel caso Foo-dora, laddove, rigettando la tesi della “norma apparente”, ha affermato
che «i concetti giuridici, in specie se direttamente promananti dalle norme, sono convenzionali, per cui se il legislatore ne introduce di nuovi l’interprete non può che aggiornare l’esegesi a partire da essi»
(punto 17). Orbene, l’introduzione dell’etero-organizzazione di cui all’articolo 2, comma 1, come concetto di diritto positivo ulteriore e di-verso dal potere direttivo previsto dall’articolo 2094 c.c., impone ne-cessariamente un’opera di rivisitazione del concetto di etero-direzione, il quale, ammesso che abbia avuto nell’interpretazione dottrinale e nel diritto vivente una valenza “organizzativa” identica a quella espressa dall’articolo 2, comma 1, dovrà essere re-interpretato in modo tale da non esaurirlo nel dato dell’organizzazione delle modalità esecutive del-la prestazione di del-lavoro, cioè nei termini espressi dall’articolo 2, com-ma 1; e ciò per la semplice, com-ma decisiva, circostanza che quel dato è un elemento tipologico di una diversa fattispecie, irriducibile a quella
dell’articolo 2094 c.c. La distinzione tra assoggettamento ad etero-direzione e assoggettamento ad etero-organizzazione è stata infatti im-posta dal legislatore proprio con l’articolo 2, comma 1, onde l’interprete che non voglia ripararsi sotto l’inconsistente tetto di paglia della “norma apparente”, non può proporre una indistinta sovrapposi-zione tra i due termini, ovvero una loro equivalenza funzionale, o peg-gio una “surrogazione” dell’etero-organizzazione all’etero-direzione quale nuovo requisito-cardine per qualificare un rapporto come subor-dinato (26).
L’articolo 2, comma 1, quindi, non descrive una fattispecie caratteriz-zata dalla soggezione in senso tecnico al potere direttivo del commit-tente, ma si riferisce, invece, ad una più generica – e meno pervasiva –
(26) In senso critico, con particolare riferimento alla figura del dirigente, M. BIASI,
Brevi riflessioni sulla categoria dirigenziale all’indomani del Jobs Act, in q. Rivista,
facoltà di “organizzare” le modalità della prestazione, anche (ma non necessariamente) in ragione del tempo e del luogo, rendendola di fatto compatibile con il substrato materiale e con i fattori produttivi appresta-ti dal committente (ciò che la Corte d’Appello torinese descrive con il concetto di «integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazio-ne produttiva del committente»). Le esigenze organizzative, condensate nel substrato materiale della prestazione, retroagiscono sulla sfera debi-toria senza tuttavia incidere sull’oggetto dell’obbligazione, di talché la
prestazione “organizzata dal committente” è sì condizionata in relazio-ne alle modalità di accesso e di fruiziorelazio-ne dei mezzi preposti alla produ-zione, ma non è assoggettata all’altrui sfera di comando in relazione ai cambiamenti dello stato del mondo come invece accade in virtù della situazione di soggezione tipica della subordinazione. Ogniqualvolta la prestazione venga inserita all’interno di un “dispositivo organizzativo” capace di “formattare”, anche sotto il profilo spazio-temporale la pre-stazione, a prescindere dall’esercizio in concreto del potere direttivo e di conformazione della prestazione, con ordini puntuali ed assidui, tipi-ci del datore di lavoro giusta lo schema dell’articolo 2094 c.c., si realiz-za una situazione di etero-organizrealiz-zazione: si pensi all’inserimento con-tinuativo e stabile del prestatore all’interno dei locali del committente con rispetto di determinati vincoli spazio-temporali derivanti dalle compatibilità generali dell’organizzazione, all’esecuzione della presta-zione entro determinate fasce orarie imposte dal committente, all’impiego di mezzi e beni strumentali del committente che incidono sulle “modalità di esecuzione” della prestazione, alla necessità per il prestatore di seguire “istruzioni” organizzative vincolanti dettate anche tramite procedure sequenziali e algoritmi, ecc.
È vero che, come altri ha puntualmente osservato (27), che la Cassazio-ne sul caso Foodora non cita mai l’etero-direzione o il potere direttivo
e, in un ambiguo passaggio, afferma che «quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e della continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile
ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente» (corsivo mio); ma da tale passaggio non pare lecito trarre la conclusio-ne, pur dubitativa, che «sembrerebbe che la etero-organizzazione previ-sta dalla disposizione sia in qualche misura assimilabile all’art. 2094
del codice civile» (28). Se così fosse – se, cioè, la Corte avesse inteso far coincidere la etero-organizzazione con la fattispecie prevista dall’articolo 2094 c.c. –non avrebbe censurato così severamente la tesi della “norma apparente” (punti 16 e 17), la quale si fonda proprio sulla piena coincidenza concettuale tra direzione ed etero-organizzazione, né avrebbe in più punti sottolineato – come abbiamo visto – la possibile diversa qualificazione della fattispecie nei termini della subordinazione. Inoltre, il registro usato dalla Corte non è quello della coincidenza, ma della “comparabilità” tra situazioni giuridiche necessariamente diverse (altrimenti, se fossero coincidenti, non sareb-bero logicamente comparabili). Infine, come già messo in luce, la Cor-te, quando esplicita il significato dell’etero-organizzazione, parla di un “inserimento” e di una “integrazione” della prestazione con l’organizzazione di impresa (punto 32), vale a dire elementi che vanno letti alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale del concetto stesso di subordinazione: diversamente dall’originario contesto della Eingliede-rung in den Betrieb, tale per cui la subordinazione risulta dal concreto
inserimento nell’organizzazione (29), nella prospettiva contrattualistica adottata dalla giurisprudenza l’elemento dell’inserimento qualifica l’attività oggetto del contratto in quanto regolata nel suo svolgimento «non già in base ad elementi predeterminati dalle parti al fine di stabili-re il contenuto della pstabili-restazione dovuta, ma sulla base delle distabili-rettive del datore di lavoro, nell’esercizio del potere gerarchico volto a utiliz-zare, nel modo più conveniente e secondo le esigenze anche mutevoli della propria organizzazione, le prestazioni del lavoratore» (30). In que-sta prospettiva, l’inserimento della preque-stazione nell’organizzazione aziendale, richiamato dalla Cassazione in commento, in assenza del vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia, non
può dirsi espressione della subordinazione ex articolo 2094 c.c.
In conclusione, giova ribadire che mentre il potere direttivo è essen-zialmente un potere di conformazione della prestazione, il potere di or-ganizzazione risulta esterno alla sfera dell’oggetto dell’obbligazione,
(28) Così V. SPEZIALE, op. cit.
(29) Cfr. L. SPAGNUOLO VIGORITA, Subordinazione e diritto del lavoro, Morano,
1967, p. 31.
(30) Cass. 25 febbraio 1987, n. 2011, in MFI, 1987, p. 331; Cass. 8 aprile 2015, n.
che è predefinita ex ante e non identificata di volta in volta per il
trami-te del potrami-tere di direzione-conformazione della prestazione (31). Il potere di etero-organizzazione di cui all’articolo 2, comma 1, non è un potere di conformazione del comportamento dovuto, né un potere di determi-nazione del modo, del tempo e del luogo della prestazione ex articolo
2104, comma 2, c.c.: è un potere qualitativamente diverso per contenu-to e per funzione (32). La prestazione di lavoro è sì condizionata nella sua esecuzione, ma non ab interno per effetto dell’esercizio del potere
direttivo, bensì ab externo in ragione del contesto organizzativo
unila-teralmente gestito dal committente ed entro il quale la prestazione è de-stinata ad essere funzionalmente integrata: una prestazione etero-organizzata, come aveva messo in evidenza la Corte d’Appello di Tori-no, esprime infatti un nesso funzionale con l’organizzazione del com-mittente, del tutto conformemente a quanto la giurisprudenza affermava
(prima dell’introduzione del lavoro a progetto, e prima della fondamen-tale rivisitazione dell’articolo 409, n. 3, c.p.c. ad opera dell’articolo 15, legge n. 81/2017) con riferimento alle collaborazioni coordinate e con-tinuative ex articolo 409, n. 3, c.p.c., di cui, in sostanza, oggi, con
l’eliminazione del potere unilaterale di coordinamento, il lavoro etero-organizzato dal committente ha funzionalmente preso il posto.
Anche una tale conclusione ha trovato l’avvallo della Cassazione, la quale ha ricondotto l’etero-organizzazione «ad elemento di un rapporto di collaborazione funzionale con l’organizzazione del committente» onde «le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione unilateralmente disposta dal primo, opportunamente inserirsi ed
(31) Ho sostenuto questa tesi più volte nell’ambito delle mie ricerche in materia di col-laborazioni etero-organizzate, si veda ad esempio A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, Working
Pa-per “Massimo D’Antona”.IT, 2015, n. 272; a conferma, A. MARESCA, Brevi cenni sulle collaborazioni etero-organizzate, in RIDL, 2020, che afferma come
l’etero-organizzazione opera sulle prestazioni dall’esterno, onde le modalità esecutive sono
condizionate dall’organizzazione e dall’inserimento del collaboratore all’interno di essa.
(32) Sulla distinzione tra etero-direzione ed etero-organizzazione di cui al testo, cfr. adesso anche C. PISANI, op. cit., secondo il quale «alla luce della nuova formulazione
si può escludere che, per integrare la fattispecie dell’art. 2, a differenza di quella di cui all’art. 2094 cod. civ., il collaboratore debba fornire la prova di essere sottoposto all’eterorganizzazione dei tempi di svolgimento delle varie attività dedotte in contrat-to e quindi, nella sostanza, al potere di conformazione, che quindi funge da criterio di distinzione tra eterodirezione e eterorganizzazione» (corsivo mio).
grarsi con la sua organizzazione di impresa» (punto 32). A consimili conclusioni era giunta, nel medesimo caso dei riders di Foodora, la
Corte d’Appello torinese, che diversamente dal Tribunale ha seguito un percorso interpretativo svincolato dall’erroneo presupposto secondo cui il potere di organizzazione ex articolo 2, comma 1, ed il potere direttivo ex articolo 2094 c.c., pur avendo il medesimo oggetto (le modalità di
esecuzione della prestazione), si distinguono in ragione della (necessa-ria) determinazione del tempo e del luogo in capo al primo e non al se-condo, rilevando invece le diversità strutturali e funzionali che rivesto-no queste due diverse prerogative soggettive (rispettivamente del com-mittente e del datore di lavoro). La novella che ha espunto dall’articolo 2, comma 1, il riferimento ai tempi e al luogo non fa quindi che con-fermare ex post il percorso ricostruttivo intrapreso da una parte della
dottrina (33), facendo venir meno un elemento definitorio (il riferimento ai tempi e al luogo) che, di fatto, se non correttamente inteso, poteva vanificare lo scopo della legge (così come lo aveva vanificato il Tribu-nale di Torino nel caso Foodora).
Ora è chiaro che la fattispecie del lavoro autonomo etero-organizzato (circa le modalità di esecuzione della prestazione) si differenzia dalla fattispecie del lavoro subordinato (soggezione al potere di scelta della prestazione nonché alle disposizioni impartite dal datore di lavoro per la disciplina e l’esecuzione del lavoro), sia per la diversa funzione del potere (che non risponde ad esigenze di conformazione della