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Diritto delleRelazioniIndustriali

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Academic year: 2021

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Diritto delle

Relazioni

Industriali

Rivista trimestrale già diretta da

MARCO BIAGI

Pubblicazione T

rimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n° 46) arti

colo 1, comma 1, DCB (V

ARESE)

Diritto e politiche del lavoro tra due crisi RiceRche Innovazioni tecnologiche e organizzazione del lavoro tra autonomia e subordinazione RiceRche L’evoluzione delle relazioni industriali tra conflitto e partecipazione GiuRispRudenzaitaliana Corte di Cassazione 24 gennaio 2020, n. 1663: opinioni a confronto La conciliazione come diritto soggettivo Decadenze del collegato lavoro e licenziamento del dirigente

Responsabilità solidale e divieto di subappalto Impossibilità sopravvenuta della prestazione e giusta causa “Fatto contestato” e “contestazione del fatto” Esposizione a campi elettromagnetici, nesso di causalità e tutele del lavoro leGislazione, pRassiamministRativeecontRattazionecollettiva Diritto alla privacy dell’emergenza osseRvatoRiointeRnazionaleecompaRato

Covid-19 e lavoro: il punto di vista dell’ILO

N. 2/XXX - 2020

In questo numero

Diritto delle Relazioni Industriali

2

2020

Diritto delle Relazioni Industriali fa parte della International Association of Labour Law Journals

(2)

Direzione

Tiziano Treu, Mariella Magnani, Michele Tiraboschi (direttore responsabile) Comitato scientifico

Gian Guido Balandi, Francesco Basenghi, Mario Biagioli, Andrea Bollani, Roberta Bortone, Alessandro Boscati, Umberto Carabelli, Bruno Caruso, Laura Castelvetri, Giuliano Cazzola, Gian Primo Cella, Maurizio Del Conte, Riccardo Del Punta, Raffaele De Luca Tamajo, Pietro Ichino, Vito Sandro Leccese, Fiorella Lunardon, Arturo Maresca, Luigi Mariucci, Oronzo Mazzotta, Luigi Montuschi, Gaetano Natullo, Luca Nogler, Angelo Pandolfo, Roberto Pedersini, Marcello Pedrazzoli, Giuseppe Pellacani, Adalberto Perulli, Giampiero Proia, Mario Ricciardi, Mario Rusciano, Giuseppe Santoro-Passarelli, Franco Scarpelli, Paolo Sestito, Luciano Spagnuolo Vigorita, Patrizia Tullini, Armando Tursi, Pier Antonio Varesi, Gaetano Zilio Grandi, Carlo Zoli, Lorenzo Zoppoli.

Comitato editoriale internazionale

Antonio Baylos Grau (Castilla la Mancha), Janice Bellace (Pennsylvania), Jesús Cruz Villalón (Siviglia), Simon Deakin (Cambridge), Anthony Forsyth (Melbourne), Julio Grisolia (Buenos Aires), Thomas Haipeter (Duisburg), Patrice Jalette (Montreal), José João Abrantes (Lisbona), Maarten Keune (Amsterdam), Csilla Kolonnay Lehoczky (Budapest), Lourdes Mella Méndez (Santiago de Compostela), Antonio Ojeda Avilés (Siviglia), Shinya Ouchi (Tokyo), Miguel Rodriguez-Pinêro y Bravo-Ferrer (Madrid), Juan Raso Delgue (Montevideo), Malcolm Sargeant (Londra), Manfred Weiss (Francoforte).

Redazione

Paolo Tomassetti (redattore capo), Luca Calcaterra, Guido Canavesi, Lilli Viviana Casano, Matteo Corti, Emanuele Dagnino, Francesca De Michiel, Maria Del Frate, Michele Faioli, Marco Ferraresi (coordinatore Osservatorio giurisprudenza italiana, coordinatore Pavia), Cristina Inversi, Giuseppe Ludovico, Laura Magni (coordinatore Modena), Pietro Manzella (revisore linguistico), Marco Marzani, Emmanuele Massagli, Giuseppe Mautone, Mariagrazia Militello, Michele Murgo, Giovanni Battista Panizza, Veronica Papa, Flavia Pasquini, Pierluigi Rausei, Raffaello Santagata, Silvia Spattini, Michele Squeglia.

Comitato dei revisori

Francesco Basenghi, Vincenzo Bavaro, Mario Biagioli, Marina Brollo, Bruno Caruso, Maurizio Del Conte, Riccardo Del Punta, Vincenzo Ferrante, Luigi Fiorillo, Donata Gottardi, Stefano Giubboni, Pietro Ichino, Vito Sandro Leccese, Fiorella Lunardon, Marco Marazza, Arturo Maresca, Oronzo Mazzotta, Luca Nogler, Marco Novella, Antonella Occhino, Pasquale Passalacqua, Marcello Pedrazzoli, Adalberto Perulli, Giampiero Proia, Roberto Romei, Giuseppe Santoro-Passarelli, Patrizia Tullini, Armando Tursi, Antonio Vallebona, Pier Antonio Varesi, Gaetano Zilio Grandi, Carlo Zoli, Antonello Zoppoli, Lorenzo Zoppoli.

ADAPT – Centro Studi Internazionali e Comparati del Dipartimento di Economia Marco Biagi Diritto Economia Ambiente Lavoro – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Viale Berengario, 51 – 41100 Modena (Italy) – Tel. +39 059 2056742; Fax +39 059 2056043. Indirizzo e-mail: dri@unimore.it

Dipartimento di Studi Giuridici – Università degli Studi di Pavia

Corso Strada Nuova, 65 – 27100 Pavia (Italy) – Tel. +39 0382 984013; Fax +39 0382 27202. Indirizzo e-mail: dri@unipv.it

Diritto delle Relazioni Industriali si impegna a procedere alla selezione qualitativa dei materiali pubblicati sulla base di un metodo di valutazione formalizzata e anonima di cui è responsabile il Comitato dei revisori. Tale sistema di valutazione è coordinato dalla dire-zione che si avvale anche del Comitato scientifico e del Comitato editoriale internazionale.

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I contributi pubblicati in questa rivista potranno essere riprodotti dall’Editore su altre, proprie pubblica-zioni, in qualunque forma

Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 1 del 4 gennaio 1991 R.O.C. n. 6569 (già RNS n. 23 vol. 1 foglio 177 del 2/7/1982)

Direttore responsabile: Michele Tiraboschi

Rivista associata all’Unione della Stampa Periodica Italiana

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(3)

Diritto delle Relazioni Industriali

Numero 2/XXX - 2020. Giuffrè Francis Lefebvre, Milano

TIZIANO TREU Diritto e politiche del lavoro tra due crisi ... 235

Ricerche: Innovazioni tecnologiche e organizzazione del lavoro tra

auto-nomia e subordinazione

ADALBERTO PERULLI Collaborazioni etero-organizzate, coordinate e

continuative e subordinazione: come “orientarsi nel pensiero” ... 267

LORENZO ZOPPOLI,PASQUALE MONDA Innovazioni tecnologiche e

la-voro nelle pubbliche amministrazioni ... 312

ORSOLA RAZZOLINI I confini tra subordinazione, collaborazioni

etero-organizzate e lavoro autonomo coordinato: una rilettura ... 345

MATTEO TURRIN Lavoro agile e contratti di lavoro non standard:

elementi di criticità ... 381

Ricerche: L’evoluzione delle relazioni industriali tra conflitto e

partecipa-zione

GIUSEPPE SANTORO-PASSARELLI La Commissione di garanzia ... 407

RAFFAELLO SANTAGATA DE CASTRO Sistema tedesco di

codetermina-zione e trasformazioni dell’impresa nel contesto globale: un modello di ispirazione per Lamborghini ... 421

TIZIANO TREU Regole e procedure nelle relazioni industriali: retaggi

(4)

Osservatorio di giurisprudenza italiana

La sentenza della Corte di Cassazione 24 gennaio 2020, n. 1663: opinioni a confronto

MARIA TERESA CARINCI Il lavoro etero-organizzato secondo Cass. n.

1663/2020: verso un nuovo sistema dei contratti in cui è dedotta un’attività di lavoro ... 488

GIAMPIERO PROIA Le “collaborazioni organizzate” dal committente:

punti fermi (pochi) e incertezze (tante) ... 499

GIUSEPPE SANTORO-PASSARELLI L’interpretazione dell’art. 2, comma

1, del d.lgs. n. 81/2015 e i riders nella sentenza della Cassazione n. 1663/2020 ... 512

Giurisprudenza di merito e legittimità

FEDERICA DE LUCA Verso una dimensione antropocentrica del

lavo-ro: la conciliazione come diritto soggettivo (nota a Trib. Firenze 22

ottobre 2019) ... 519

WANDA FALCO Non si applicano le decadenze del collegato lavoro

all’impugnazione del licenziamento del dirigente privo di “giustifica-tezza” (nota a Cass. 8 gennaio 2020, n. 148, e Cass. 13 gennaio 2020,

n. 395) ... 527

TOMMASO MASERATI Natura e perimetro della responsabilità solidale

in caso di violazione di divieto di subappalto (nota a Cass. 25 ottobre

2019, n. 27382) ... 533 CARLO PISANI Impossibilità sopravvenuta della prestazione e giusta

causa (nota a Cass. 9 maggio 2019, n. 12373) ... 540

CARLO PISANI “Insussistenza del fatto contestato” diventa

“insussi-stenza della contestazione del fatto”: giochi di parole per passare dall’indennità ex sesto comma alla reintegra ex quarto comma (nota a

Cass. 24 febbraio 2020, n. 4879) ... 546 MICHELE TIRABOSCHI Esposizione a campi elettromagnetici prodotti

(5)

Osservatorio di legislazione, prassi amministrative e contrattazione

FRANCESCO PERRONE Questioni di conformità del diritto alla privacy

dell’emergenza con il diritto dell’Unione europea ... 581

Osservatorio internazionale e comparato

(6)
(7)

Appalto e subappalto

− Appalto - Responsabilità solidale - Art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 - Divie-to di subappalDivie-to - Obbligazione contributiva - Colpa [533] (Cass. 25 ottobre

2019, n. 27382, con nota diT.MASERATI).

Conciliazione vita e lavoro

− Genitorialità - Lavoratrice madre - Discriminazione indiretta - Orario di lavoro - Flessibilità [519] (Trib. Firenze 22 ottobre 2019, con nota diF.DE LUCA).

Controlli e tecnologie

− Art. 17-bis, d.l. n. 18/2020, convertito dalla l. n. 27/2020 [581] (con nota diF. PERRONE).

− Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il conte-nimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro 14 marzo 2020 [581] (con nota diF.PERRONE).

Infortuni e malattie professionali

− Esposizione a campi elettromagnetici - Uso del telefono cellulare - Eziologia multifattoriale - Nesso di causalità - Probabilità qualificata - Malattia professio-nale - Rendita Inail [555] (App. Torino 13 gennaio 2020, n. 904, con nota diM. TIRABOSCHI).

− Esposizione a campi elettromagnetici - Uso del telefono cellulare - Eziologia multifattoriale - Nesso di causalità - Probabilità qualificata - Malattia professio-nale - Rendita Inail [555] (Trib. Ivrea 30 marzo 2017, n. 96, con nota diM.T I-RABOSCHI).

− Esposizione a campi elettromagnetici - Uso del telefono cellulare - Eziologia multifattoriale - Nesso di causalità - Probabilità qualificata - Malattia professio-nale - Rendita Inail [555] (Trib. Firenze 24 giugno 2017, n. 391, con nota diM. TIRABOSCHI).

− Esposizione a campi elettromagnetici - Consulente tecnico (ruolo del) - Tumore - Nesso di causalità - Probabilità qualificata [556] (Trib. Milano 31 luglio 2018, n.

958, con nota diM.TIRABOSCHI).

− Esposizione a campi elettromagnetici - Nesso di causalità - Metodo PC - Radia-zioni ionizzanti - Neoplasia [556] (Trib. Cremona 10 aprile 2015, n. 39, con nota

(8)

− Esposizione a campi elettromagnetici - Nesso causale - Attività professionale - Sufficiente probabilità [556] (Trib. amministrativo di Cergy-Pontois (Francia),

17 gennaio 2019, n. 1608265, con nota diM.TIRABOSCHI).

− Esposizione a campi elettromagnetici - Onere della prova - Contatto qualificato - Forza eziopatogenetica - Conclusioni del consulente tecnico di ufficio, [557]

(Cass. 11 luglio 2019, n. 18701, con nota diM.TIRABOSCHI).

− Esposizione a campi elettromagnetici - Radiazioni non ionizzanti - Nesso causale - Storia clinica del lavoratore - Probabilità [557] (Trib. Verona 7 giugno 2017, n.

293, con nota diM.TIRABOSCHI).

− Esposizione a campi elettromagnetici - Nesso di causalità - Principio dell’equivalenza - Art. 41 c.p. - Occasione di lavoro [557] (Trib. Monza 13

mar-zo 2019, n. 56, con nota diM.TIRABOSCHI).

Lavoro autonomo

− Collaborazioni eterorganizzate - Riders - Disciplina del lavoro subordinato -

Ap-plicazione integrale [487] (Cass. 24 gennaio 2020, n. 1663, con opinioni a

con-fronto diM.T.CARINCI,G.PROIA,G.SANTORO-PASSARELLI).

Licenziamento

− Dirigente - Licenziamento - Ingiustificatezza - Impugnazione - Termine di deca-denza ex art. 32 collegato lavoro - Applicazione - Esclusione [526] (Cass. 8

gen-naio 2020, n. 148, con nota diW.FALCO).

− Dirigente - Licenziamento - Ingiustificatezza - Impugnazione - Termine di deca-denza ex art. 32 collegato lavoro - Applicazione - Esclusione [526] (Cass. 13

gennaio 2020, n. 395, con nota diW.FALCO).

− Estinzione del rapporto - Licenziamento individuale - Sopravvenuta inidoneità fisica - Giustificato motivo oggettivo - Utilizzabilità in altre mansioni-diritto la preavviso - Sussiste [540] (Cass. 9 maggio 2019, n. 12373, con nota diC.P ISA-NI).

− Licenziamento disciplinare - Contestazione di addebiti differenti da quelli risul-tanti dalla lettera di licenziamento - Tutela reintegratoria ex art. 18, quarto

com-ma, l. n. 300/1970 - Applicabilità [546] (Cass. 24 febbraio 2020, n. 4879, con

no-ta diC.PISANI).

Quadro internazionale e comparato

− ILO, COVID-19 and world of work: Impacts and responses, ILO note, 18 marzo

2020 [599] (con nota diF.MARINELLI).

− ILO, ILO Monitor 2nd edition: COVID-19 and the world of work. Updated

esti-mates and analysis, 7 aprile 2020 [599] (con nota diF.MARINELLI).

− ILO, Social Protection Monitor. Social protection responses to the COVID-19 crisis around the world, 6 aprile 2020 [599] (con nota diF.MARINELLI).

− ILO, ILO Standards and COVID-19 (coronavirus). FAQ, 23 marzo 2020 [599]

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Diritto delle Relazioni Industriali

Numero 2/XXX - 2020. Giuffrè Francis Lefebvre, Milano

Innovazioni tecnologiche e organizzazione

del lavoro tra autonomia e subordinazione

Collaborazioni etero-organizzate, coordinate e continuative e subordinazione: come “orientarsi nel pensiero”

Adalberto Perulli

Sommario: 1. Premessa: la giurisprudenza tra uso pratico e uso teoretico delle

catego-rie normative. – 2. La tesi della norma elusiva e rimediale. – 3. Una ridda di

con-cetti senza “filo conduttore”. – 4. L’inconsistenza giuridica del concetto “norma

di disciplina”. – 5. L’organizzazione “anche” con riferimento ai tempi e al luogo

di lavoro. – 6. Segue: etero-organizzazione versus potere direttivo. – 7.

Etero-organizzazione versus coordinamento. – 8. Non esiste un “terzo genere”? – 9. La

disciplina “ontologicamente incompatibile”: un pertugio verso una applicazione selettiva delle tutele?

1. Premessa: la giurisprudenza tra uso pratico e uso teoretico delle categorie normative

In un saggio dei Gesammelte Schriften (1786), Immanuel Kant afferma

che «il bisogno della ragione può essere visto da una duplice

prospetti-va: in primo luogo nel suo uso teoretico, in secondo luogo nel suo uso

pratico» (1). Se in quello scritto filosofico la posta in gioco è il bisogno

della ragione nel suo uso pratico di prescrizione delle leggi morali, nel campo dell’interpretazione giuridica l’idea di “orientarsi nel pensiero” dovrebbe condurre ad attribuire senso e significato ai concetti normativi sulla base di criteri e regole applicative che spostano l’analisi sul piano della prassi giurisprudenziale senza perdere di vista il necessario rac-cordo con le categorie e con il pensiero sistematico (2). Il tema

* Professore ordinario di Diritto del lavoro, Università degli Studi Ca’ Foscari di Venezia. Il saggio è destinato agli Scritti in onore di Oronzo Mazzotta.

(1) I. KANT, Che cosa significa orientarsi nel pensiero, Adelphi, 1996, p. 54.

(2) Cfr. L. MENGONI, nella presentazione della monografia di R. ALEXY, Teoria

(10)

lo-vo della subordinazione, dell’autonomia e delle c.d. “categorie inter-medie” rappresenta un terreno elettivo per elaborare un pensiero teore-tico proiettato nel suo uso prateore-tico, e la giurisprudenza, chiamata a deci-dere sul caso concreto, rappresenta un attore essenziale nel rapporto tra “discorso ideale” e “discorso reale”, tra dogmatica e piano concreto-applicativo. Tuttavia non sempre le pronunce giurisprudenziali rag-giungono lo scopo di andare oltre la decisione per proiettarsi sul piano

del discorso ricostruttivo, preferendo dar voce ad un approccio “atomi-stico”, che risolve il caso ma non guarda al sistema. È quanto accaduto con l’attesa sentenza della Cassazione sul caso dei riders di Foodora

(3). Chi si aspettava un pronunciamento denso di indicazioni per “orien-tarsi nel pensiero” sulle categorie normative interessate dalla pronuncia, ed in particolare sull’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2015 nei suoi complessi raccordi sistematici con le sfere della su-bordinazione e dell’autonomia, sarà rimasto deluso (4). Dopo che il

ca-so Foodora, aprendo una nuova frontiera del diritto del lavoro all’epoca

delle piattaforme digitali, aveva rilanciato la valenza operativa di una norma tanto dibattuta teoricamente quanto irrilevante sul piano applica-tivo, ci si attendeva dalla Cassazione una sentenza di diverso spessore dogmatico. È giunto invece un arresto debole ed interlocutorio, che apre più questioni di quelle che intende risolvere. I passaggi più signifi-cativi della pronuncia appaiono problematici e rimangono sospesi, mentre le tante questioni tecniche vengono accuratamente evitate, tanto nel loro profilo teoretico quanto dal punto di vista pratico, come se

gica Leibniz ammonisce che un metodo, anche bellissimo, non sarà apprezzato nel suo pieno valore se non se ne vedrà l’uso in esempi». Lo stesso Kant, nello scritto ci-tato, afferma che «per quanto in alto noi collochiamo i nostri concetti […] essi riman-gono pur sempre legati a rappresentazioni figurate, destinate propriamente a rendere atti all’uso empirico i concetti altrimenti non desunti dall’esperienza» (p. 45).

(3) Cass. 24 gennaio 2020, n. 1663.

(4) Così si esprime C. PISANI, Le leggi “mal fatte” sulle collaborazioni e la

Cassazio-ne: aumenta l’incertezza sull’ambito di applicazione della disciplina del lavoro su-bordinato, in MGL, 2020, n. 1, laddove giustamente osserva che «Proprio in relazione

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quello della Corte fosse al tempo stesso un gettare e distogliere lo sguardo da un proscenio, relativo al continuum

subordinazio-ne/autonomia, divenuto tanto più complesso quanto meno razionalmen-te inrazionalmen-telligibile e razionalmenrazionalmen-te ricostruibile.

Ciò che è mancato non è la conferma (o meno) della pronuncia con cui la Corte d’Appello di Torino, capovolgendo il ragionamento del Tribu-nale, escludeva la tesi, invero insostenibile, della “norma apparente”, quanto un più approfondito vaglio delle questioni di diritto che, in api-cibus, interessano il dibattito dottrinale sulla natura della norma, sulla

sua collocazione nello scacchiere tipologico, sulle necessarie distinzio-ni con le fattispecie contermidistinzio-ni (subordinazione ex articolo 2094 c.c. e

collaborazioni coordinate e continuative ex articolo 409, n. 3, c.p.c.),

sino alla questione del significato da attribuire alla prevista estensione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai casi riconducibili all’articolo 2, comma 1.

Su tutte queste rilevanti questioni la Corte ha sostanzialmente mancato di prendere una posizione argomentata e strutturata, tale comunque da far apprezzare uno sforzo ermeneutico volto in una direzione piuttosto che in un’altra. Non stiamo parlando della subordinazione o meno dei

riders, profilo non affrontabile in mancanza di ricorso incidentale sul

(12)

2. La tesi della norma elusiva e rimediale

Sono noti i diversi orientamenti della dottrina a fronte dell’innovazione sistematica introdotta dell’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2015, e non si intende qui ripercorrerli. Giova piuttosto confron-tarsi con il discorso condotto dalla Corte di Cassazione, la quale, dopo aver succintamente richiamato le diverse tesi “accademiche”, ha so-stanzialmente evitato di confrontarsi con esse, adottando una specie di scorciatoia concettuale ed affidandosi alla qualificazione della norma come “anti-elusiva” e “rimediale”.

Tale opzione, a detta della Corte, sarebbe giustificata da una contestua-lizzazione dell’articolo 2, comma 1, nell’ambito delle complessive ri-forme introdotte con il decreto legislativo n. 81/2015 in materia di tipo-logie contrattuali, che avrebbero prodotto effetti potenzialmente elusivi della disciplina in materia di lavoro subordinato. In tal prospettiva, in-fatti, l’abrogazione del contratto di lavoro a progetto e la contestuale ri-espansione delle collaborazioni coordinate e continuative ex articolo

409, n. 3, c.p.c., mediante il ripristino di una più ampia “tipologia con-trattuale”, avrebbe comportato un nuovo rischio di abusi, onde si ren-deva necessario «limitare le possibili conseguenze negative, preveden-do comunque l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro su-bordinato a forme di collaborazione, continuativa e personale, realizza-te con l’ingerenza funzionale dell’organizzazione predisposta unilarealizza-te- unilate-ralmente da chi commissiona la prestazione» (punto 23).

Una volta identificata la ratio anti-fraudolenta e rimediale della norma,

l’articolo 2 viene concepito come una “norma di disciplina”, onde non avrebbe più senso decisivo «interrogarsi sul se tali forme di

collabora-zione […] siano collocabili nel campo della subordinacollabora-zione ovvero dell’autonomia» (punto 25). L’affermazione della Corte lascia alquanto interdetti, sia per l’impiego di termini inconsueti e giuridicamente di-scutibili (in particolare quello di “norma di disciplina”, sulla cui incon-sistenza dogmatica poi diremo), sia per l’affermazione, invero assai problematica nell’ambito di un sistema ancora ordinato per tipi contrat-tuali, sulla perdita di senso della qualificazione dei rapporti

nell’ambito, appunto, delle diverse fattispecie negoziali che compongo-no l’alfabeto contrattuale del compongo-nostro diritto contrattuale (5).

(5) La perdita di senso evocata dalla Corte potrebbe avere un diverso significato se il

(13)

Analizziamo più da vicino i due concetti chiave di questa ricostruzione. Secondo la Corte in un’ottica “di prevenzione”, il legislatore avrebbe inteso scoraggiare «l’abuso di schermi contrattuali che a ciò si potreb-bero prestare», selezionando «taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i la-voratori». In ogni caso il legislatore avrebbe poi «stabilito che quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continui-tà della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disci-plina del lavoro subordinato» (punto 26).

In sostanza la Corte individua nella disposizione in esame una scelta di politica legislativa «volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezio-ne di cui gode il lavoro subordinato […] al fiprotezio-ne di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di “debolezza” economica, ope-ranti in una “zona grigia” tra autonomia e subordinazione, ma conside-rati meritevoli comunque di una tutela omogenea» (punto 27). La Corte evoca quindi una serie di concetti alquanto ambigui (“debolezza eco-nomica”, “zona grigia”, prestatore “comparabile con un dipendente”) che andrebbero (quantomeno) meglio precisati e spiegati, per mettere in connessione il dato teorico di riferimento (la norma nella sua dimensio-ne dogmatica, intesa quest’ultima come struttura di senso valoriale) (6),

la ratio legis e la sua proiezione applicativa. Tuttavia, come ora

vedre-mo, proprio su questi temi la Corte preferisce distogliere lo sguardo, ed affidarsi a veloci cenni allusivi, precludendosi di fatto ogni discorso ri-costruttivo dotato di un serio apparato logico-dogmatico.

normativi diversi dalla subordinazione e dall’autonomia, e quindi si fosse svincolato dai referenti tipologici (fattispecie) cui le tutele sono collegate, come potrebbe acca-dere, ad esempio, laddove venisse adottato il criterio della natura personale della pre-stazione (per questa prospettazione teorica cfr. V. DE STEFANO,N.COUNTOURIS, New

Trade Union Strategies for New Forms of Employment, ETUC, Brussels, 2019). Più

in generale, sulla tendenza espansiva del sistema e sull’estensione selettiva delle tute-le al di là del recinto della subordinazione, sia consentito il rinvio a A. PERULLI, Oltre la subordinazione, in corso di pubblicazione nella Collana Il nuovo diritto del lavoro,

a cura di L. FIORILLO,A.PERULLI, Giappichelli, 2020.

(6) L. MENGONI, Ancora sul metodo giuridico, in ID., Diritto e valori, Il Mulino, 1985,

(14)

3. Una ridda di concetti senza “filo conduttore”

Il discorso condotto dalla Corte appare molto problematico per l’impiego di cinque “concetti” che vengono con molta disinvoltura im-piegati e “mescolati” fra loro nella (invero stringatissima) motivazione. I concetti sono i seguenti: “norma antielusiva”, “ottica rimediale”, de-bolezza economica, norma di disciplina, “zona grigia”. Questi concetti sono incoerenti fra loro e il loro impiego, senza l’accortezza di indivi-duare un fil rouge unificante, rischia di creare più confusione che

“orientamento nel pensiero”.

Partiamo dalle nozioni di norma antielusiva e di norma rimediale, che sono – com’è intuitivo – tra loro strettamente correlati. Una norma “an-tielusiva” è un disposto volto a contrastare atti diretti ad aggirare obbli-ghi o divieti previsti dall’ordinamento; nel nostro caso l’impiego di tale concetto non può avere altro significato che indicare una norma finaliz-zata ad evitare il fraudolento aggiramento/disapplicazione della disci-plina, imperativa ed indisponibile, propria della fattispecie di subordi-nazione (articolo 2094 c.c.). Quindi, se l’articolo 2, comma 1, fosse davvero una norma antielusiva, l’elusione contrastata dal disposto con-sisterebbe necessariamente nella disapplicazione, da parte del commit-tente, della disciplina del rapporto di lavoro subordinato a fronte di una fattispecie dissimulata di subordinazione. Questa conclusione è

stret-tamente necessaria sotto il profilo logico-giuridico. Infatti, salvo incor-rere in una vistosa contraddizione logica, non si potrebbe definire elu-sione fraudolenta la disapplicazione della disciplina tipica del rapporto

di lavoro subordinato nei confronti di una fattispecie concreta che non è

riconducibile a subordinazione. In sostanza, se l’articolo 2, comma 1, fosse una norma antielusiva (e rimediale) sarebbe finalizzata a contra-stare un fenomeno di elusione della normativa di subordinazione. Ma

se così fosse, bisognerebbe ulteriormente dedurne che l’articolo 2 è una norma rimediale che opera qualora si realizzi una fraudolenta disappli-cazione della disciplina di subordinazione in casi concreti caratterizzati da indici tipici e significativi di subordinazione. Altrimenti ragionando,

(15)

conden-do, ma non certo sul piano del discorso di diritto positivo, de iure con-dito. Nel caso di specie, comunque, questo presunto aggiramento

elusi-vo della subordinazione cui la norma dovrebbe rimediare semplicemen-te non è consemplicemen-templato nell’enunciato dell’articolo 2, comma 1, che, al contrario, descrive una “situazione giuridica” (in vista dell’effetto) si-curamente diversa dalla subordinazione (uso il termine “situazione giu-ridica” per rispettare, per ora, il pensiero della Corte, che non ravvisa nell’articolo 2 una norma di fattispecie). Che tale “situazione giuridica” non sia di subordinazione, ma riguardi un ambito di fattispecie esterne al tipo contrattuale di cui all’articolo 2094 c.c., si può ricavare da una serie di elementi, che la dottrina ha già messo in evidenza nell’interpretazione del disposto, e che non intendo qui discutere. Mi limito ad osservare, su questo delicato fronte esegetico, che una corretta postura ricostruttiva, rispettosa del dettato normativo e della sua ratio,

non può che distinguere le diverse fattispecie in esame (lavoro subordi-nato e collaborazione etero-organizzata) cogliendo (mediante l’uso del-la dogmatica) le differenze qualitative del potere di organizzazione di

cui all’articolo 2 rispetto al potere direttivo del datore di lavoro di cui agli articoli 2094 c.c. e 2104 c.c., esattamente negli stessi termini in cui, in altri tempi, si apprezzava la differenza qualitativa (e non

sempli-cemente quantitativa) tra la coordinazione che caratterizza i rapporti connotati da subordinazione e la coordinazione tipica delle collabora-zioni parasubordinate. Solo questa via, basata sul necessario distinguo tra fattispecie di subordinazione e prestazione di lavoro etero-organizzata dal committente, consente di rispettare i criteri interpretati-vi imposti dall’ordinamento, vale a dire la lettera e l’intenzione del le-gislatore: la lettera, perché l’articolo 2, comma 1, si fonda sul concetto di “organizzazione” della modalità esecutiva della prestazione e non su quello di “dipendenza” e di “direzione” contemplato dall’articolo 2094 c.c.; la ratio, perché il disposto non aveva la finalità di restringere il

(16)

La Corte, pur non entrando in questo dibattito teorico, svolge una serie di affermazioni da cui si deduce in modo inequivoco che l’articolo 2, comma 1, non è una norma che si riferisce ad una situazione di subor-dinazione in senso tecnico-giuridico. Difatti la Corte afferma che: 1) non possono escludersi situazioni in cui l’integrale applicazione della disciplina della subordinazione sia “ontologicamente incompatibile” con le fattispecie da regolare ex articolo 2 «che per definizione non

so-no comprese nell’ambito dell’art. 2094 c.c.» (punto 41); 2) il giudice può accertare in concreto la sussistenza di una «vera e propria subordi-nazione (nella specie esclusa da entrambi i gradi di merito con statui-zione non impugnata dai lavoratori») (punto 42); 3) a prescindere dalla possibilità di applicare l’articolo 2, non viene meno la possibilità per il giudice di accertare «l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza in materia» (punto 43); 4) a fronte degli «indici fattuali ritenuti significativi (personalità, conti-nuità, etero-organizzazione) e sufficienti a giustificare l’applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato», il giudice è esonerato da ulteriori indagini relative alla identificazione di altre fat-tispecie (punto 24). Tutti questi passaggi argomentativi convergono su un punto focale decisivo, e cioè che la norma dell’articolo 2 si riferisce ad una “situazione giuridica” non riconducibile a subordinazione. Orbene, se la norma in esame non riflette, nella sua struttura concettua-le, una situazione riconducibile alla fattispecie di subordinazione, non può essere definita come norma antielusiva volta a “rimediare” alla vio-lazione/disapplicazione degli effetti imputabili alla fattispecie delineata dall’articolo 2094 c.c. Bisogna quindi necessariamente concludere che l’articolo 2 non è – contrariamente a quanto ritiene la Corte – una nor-ma antielusiva e rimediale (7).

Per comprendere appieno questa conclusione, giova riferirsi ad una norma avente effettivamente valenza rimediale e antielusiva, vale a dire l’abrogato articolo 69 del decreto legislativo n. 276/2003 in materia di lavoro a progetto. In quel caso, a fronte della mancanza di uno specifi-co progetto, l’ordinamento disponeva la specifi-conversione del relativo specifi- con-tratto in un rapporto di lavoro subordinato (comma 1), e così nel caso in cui il rapporto instaurato ai sensi dell’articolo 61 (lavoro a progetto) avesse configurato un rapporto di lavoro subordinato (comma 2). Il

(7) Cfr. R. PESSI, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act,

(17)

supposto logico di tale norma consisteva nel fatto che, una volta verifi-cata la mancanza del progetto specifico, la prestazione cessava di essere di lavoro autonomo e veniva riqualificata nei termini della subordina-zione. La struttura della norma era chiaramente antielusiva, nella misu-ra in cui il committente, attmisu-raverso un contmisu-ratto di lavoro formalmente autonomo (a progetto) dissimulava in realtà un rapporto di lavoro su-bordinato, con l’intento di eludere l’applicazione della relativa discipli-na di legge. Nulla di tutto ciò avviene nella previsione dell’articolo 2, comma 1, che, diversamente dall’articolo 69 del decreto legislativo n. 276/2003, contempla un’ipotesi di estensione delle tutele del rapporto

di lavoro ad una diversa fattispecie, come denota la formulazione

se-mantica per cui tale disciplina si applica “anche” alle collaborazioni etero-organizzate, e non dispone una conversione sanzionatoria del rapporto (8).

Del resto, già ad una semplice interpretazione letterale, la struttura dell’articolo 2 dimostra di essere completamente diversa da una norma antielusiva e rimediale. La disposizione in esame, infatti, ha la normale struttura di una “norma di fattispecie”: descrive normativamente una

fattispecie astratta caratterizzata da una serie di elementi tipici (che la

Corte, del tutto impropriamente, chiama “indici fattuali”, confondendo così il piano del dover essere normativo con quello dell’essere fenome-nico) diversi da quelli della subordinazione (e che siano diversi lo rico-nosce inequivocabilmente la Corte nei quattro passaggi argomentativi sopra ricordati), a cui sono correlati determinati effetti, consistenti nell’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Che la norma non sia antielusiva si ricava, inoltre, da un ulteriore rife-rimento della Corte ad un concetto diverso e irriducibile a quello della

(8) Diverso ragionamento, che non ha nulla a che vedere con l’asserita natura

antielu-siva della norma, riguarda l’effetto che l’art. 2, comma 1, può avere, sul piano

(18)

subordinazione, cioè la “debolezza economica”, la quale viene ritenuta dalla Cassazione come la giustificazione dell’estensione ai lavoratori etero-organizzati della disciplina di subordinazione (punto 27 e punto 60, laddove la Corte avvalla l’equiparazione dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, quanto a disciplina applicabile, ai lavoratori subordinati «nell’ottica di una tutela di una posizione lavorativa più de-bole, per l’evidente asimmetria tra committente e lavoratore»). Ma, come detto, la debolezza economica non è certo un concetto normativo riconducibile alla subordinazione. Non è un elemento legale-tipico ex

articolo 2094 c.c., né fa parte degli indici sussidiari impiegati in giuri-sprudenza per qualificare il rapporto di lavoro. A ben vedere, diversa-mente dalla “dipendenza economica” che è comunque entrata nel mon-do dei concetti giuridici esprimenmon-do una precisa condizione del

debito-re vis à vis un contraente che abusa della sua posizione di supremazia

contrattuale (9), la “debolezza economica” non è neppure un concetto “normativo”, ma semplicemente un elemento valutativo generalissimo, di natura meramente descrittiva e sociologica, esposto a soggettivismo e quindi a discordanti giudizi di valore, a cui non possono certo ricolle-garsi direttamente (o anche solo indirettamente) effetti giuridici,

tanto-meno quelli previsti dall’articolo 2, che, come si è visto, si fonda su elementi di fattispecie del tutto autonomi e peculiari: in particolare sul dato normativo della etero-organizzazione, da distinguersi

necessaria-mente – pena l’adesione alle tesi della “norma apparente”, che la Corte invece rigetta – dall’indice tipico della subordinazione, vale a dire l’assoggettamento ad etero-direzione (10).

Sorprende quindi che la Corte di Cassazione si lasci prendere la mano da ragionamenti del tutto inconsistenti sul piano giuridico-formale. Ma a prescindere dall’inopportunità di impiegare nel ragionamento giuridi-co termini di tale vaghezza e ingiuridi-consistenza normativa, giova in ogni ca-so rilevare come il riferimento operato dalla Corte alla tutela di presta-tori ritenuti in condizione di “debolezza economica” significa fare rife-rimento ad una categoria di lavoratori ulteriore e diversa rispetto al

(9) Mi permetto di rinviare a A. PERULLI, Il jobs act degli autonomi: nuove (e vecchie)

tutele per il lavoro autonomo non imprenditoriale, in RIDL, 2017, n. 2, 173. Si veda

anche, dello stesso Autore, Un Jobs Act per il lavoro autonomo: verso una nuova di-sciplina della dipendenza economica?, Working Paper CSDLE “Massimo

D’Antona”.IT, 2015, n. 235.

(10) Sui concetti di cui al testo rimane imprescindibile (e sempre illuminante) il rinvio

(19)

nus dei lavoratori subordinati, i cui elementi tipici, necessari e

suffi-cienti per l’effetto, sono descritti dall’articolo 2 (così come oggi par-zialmente novellati con la legge n. 128/2019).

4. L’inconsistenza giuridica del concetto “norma di disciplina”

Se, come abbiamo visto, l’articolo 2 descrive una fattispecie caratteriz-zata da elementi tipici al ricorrere dei quali si producono determinati effetti giuridici, è errato qualificarla come una “norma di disciplina” (punti 25 e 39). Peraltro, l’enunciato “norma di disciplina” è tautologi-co e, sul piano giuriditautologi-co-normativo, esprime un vero e proprio non sen-so (11). Una “disciplina” è per definizione un “complesso di norme” ri-ferite ad un istituto, che si declina nell’ambito di determinati settori dell’ordinamento giuridico. Una norma non può essere “di” disciplina, perché è essa stessa, nel suo contenuto regolamentare, una “disciplina”; ma questa regolamentazione, prevista in astratto dalla norma, diventa applicabile solo al ricorrere di determinate condizioni, che chiamiamo appunto condizioni o “requisiti di fattispecie”. Come abbiamo già rile-vato, l’articolo 2 è una norma che descrive una fattispecie astratta, ca-ratterizzata da alcuni elementi tipici (rectius, sovra-tipici, nel senso

spiegato retro): una prestazione di lavoro, continuativa, prevalente-mente personale, organizzata dal committente. Come si può sostenere

che questa norma, contenente queste condizioni di applicabilità, non descriva una fattispecie? Su questo punto il ragionamento della Corte risulta davvero incomprensibile.

Nel caso dell’articolo 2, comma 1, i rammentati requisiti di fattispecie sono elementi tipologici in presenza dei quali una fattispecie concreta viene sussunta nell’ambito della fattispecie astratta (sovra-tipica), in vi-sta dell’effetto. Come insegna la migliore dottrina, è attraverso la fatti-specie che si contribuisce, per il medium del metodo sussuntivo, ad

«individuare la sezione di realtà sociale determinata dalla norma come

(11) A. PERULLI, Una sentenza interlocutoria, in Lavoro Diritti Europa, 2020, n. 1; M.

PERSIANI, Note sulla vicenda giudiziaria dei riders, ivi, p. 4, il quale opportunamente

(20)

proprio ambito operativo, e quindi i problemi ai quali la norma intende rispondere» (12). Del resto, la stessa Corte riconosce che tali elementi di fattispecie sono «sufficienti a giustificare l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato» (punto 24). Se ne deve dedurre che laddove questi elementi di fattispecie non ricorrono, nessuna “discipli-na” troverà applicazione ex articolo 2. È ovviamente fatta salva

l’applicabilità della disciplina del rapporto di lavoro subordinato in ra-gione dell’accertamento della sussistenza di una fattispecie di subordi-nazione, ma in tal caso la disciplina non si applica in ragione del ricor-rere degli elementi di fattispecie descritti dall’articolo 2, bensì di quelli previsti dall’articolo 2094 c.c.

Da cosa nasce, allora, questo fuorviante impiego della nozione di “norma di disciplina”? Nell’ambito del vivace dibattito dottrinale sull’articolo 2 (che la Corte conosce, e succintamente richiama al punto 11), una dottrina ha impiegato questo concetto (norma di disciplina) af-fermando, tuttavia, che «dall’esterno, l’etero-organizzazione svolge una funzione di ulteriore supporto all’identificazione della fattispecie (lavo-ro subordinato), operando una sorta di “scivolo” che riconduce all’ambito effettuale della stessa le forme contrattuali di confine» (13). Questa problematica affermazione (come si può “dall’esterno” contri-buire all’identificazione della fattispecie di subordinazione?) consente di apprezzare l’inconsistenza giuridica della formula “norma di disci-plina”: se la norma contribuisce all’identificazione della fattispecie del lavoro subordinato, non può che essere, essa stessa, una norma di fatti-specie (id est, nell’interpretazione differenziante qui sostenuta, un

enunciato linguistico che concorre alla definizione della fattispecie del lavoro etero-organizzato).

Sotto diverso profilo, l’impiego del termine “norma di disciplina” po-trebbe invece enfatizzare un diverso (ed opposto) postulato, e cioè che

il disposto in esame non è riferibile alla fattispecie di subordinazione,

non è una norma riconducibile tipologicamente alla “fattispecie” di su-bordinazione, e non ne determina neppure una sua rielaborazione in termini evolutivi (14). In questa prospettiva si può sostenere che la fatti-specie in esame, ipoteticamente identificabile in un sotto-tipo di lavoro

(12) L. MENGONI, La questione della subordinazione in due trattazioni recenti, in

RIDL, 1986, I, p. 15.

(13) R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, Giuffrè, 2015, p. 372.

(21)

autonomo, facendo generico riferimento a “rapporti di lavoro” intercor-renti con un altrettanto generico soggetto denominato “committente” (e non datore di lavoro) può trovare applicazione indistintamente ed estensivamente a qualsiasi tipologia contrattuale avente ad oggetto un

facere lavorativo che, in ipotesi, realizzi le condizioni prestatorie ivi

contemplate: qualificandosi, di tal guisa, come una norma sovra-tipica

(al pari dell’articolo 409, n. 3, c.p.c.). Seguendo questa linea di pensie-ro, è lecito sostenere che il referente social-tipico di tale ampia catego-ria di prestatori vada rintracciato nella “zona grigia” tra subordinazione ed autonomia, sotto la forma delle collaborazioni parasubordinate (a progetto, a “partita IVA”), qualificabili – prima dell’entrata in vigore dell’articolo 2, comma 1 – come altrettanti contratti di lavoro autonomo ed oggi, se rientranti nello schema normativo dell’etero-organizzazione, assoggettati alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato, pur man-tenendo la loro natura autonoma.

Questo, invero, è il duplice senso con cui è stata usata in dottrina la formula “norma di disciplina”. Trarre da questo impiego dottrinale del concetto di “norma di disciplina” la conclusione che il disposto in esa-me «non crea una nuova fattispecie» (punto 39) rappresenta un salto logico, privo di ogni fondamento giuridico. A meno che la Corte, in questo oscuro passaggio, non avesse inteso affermare – seguendo il se-condo dei possibili usi indicati del termine “norma di disciplina” – che il disposto in esame non crea una nuova fattispecie di subordinazione,

vale a dire non sia una norma che introduce una nuova ipotesi di lavoro subordinato distinta rispetto a quanto previsto dall’articolo 2094. Se questo fosse l’intento della Corte la critica qui mossa perderebbe rilie-vo, e l’affermazione sarebbe pienamente condivisibile.

Non si comprende, peraltro, come una norma “non” di fattispecie possa appartenere ed inquadrarsi – come si esprime la Corte in un passaggio finale della sentenza – «nel complessivo riordino e riassetto normativo delle tipologie contrattuali esistenti» (punto 59). Se l’articolo 2 è

si-stematicamente collocato nell’ambito delle «tipologie contrattuali esi-stenti» (affermazione sulla quale non si può che concordare con la Cor-te), è evidente che si tratta di una norma di fattispecie: la nuova fatti-specie astratta del lavoro etero-organizzato dal committente. Questa fat-tispecie, quindi, vive nell’ordinamento, ha un suo proprio campo di ap-plicazione, ed è proprio in virtù della sua giuridica esistenza che i ri-ders possono, oggi, fruire delle tutele del lavoro subordinato (almeno

(22)

dalla Francia all’Australia, l’attività dei ciclo-fattorini non venga quali-ficata nei termini propri della subordinazione ex articolo 2094 c.c.).

5. L’organizzazione “anche” con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro

La Corte affronta il problema del significato da attribuire all’etero-organizzazione «anche con riferimento ai tempi e ai luogo di lavoro». L’intervenuta soppressione delle parole «anche con riferimento ai tem-pi e al luogo di lavoro» ad opera della legge n. 128/2019 ha fortemente ridimensionato l’importanza pratica della questione, senza far perdere ad essa un rilievo sistematico complessivo in ordine alla corretta rico-struzione e collocazione dell’articolo 2, comma 1, nell’ambito del no-stro sistema di diritto positivo. Vale rilevare come la nuova formula-zione adottata dal legislatore è in sintonia con l’interpretaformula-zione che era stata formulata in dottrina, e che è stata adesso accolta dalla Corte, se-condo la quale l’articolo 2 ha una portata ampliativa (e non meramente

confermativa, o addirittura restrittiva) del campo di applicazione delle tutele giuslavoristiche, attraverso una tecnica di assimilazione di figure lavorative autonome al prototipo del lavoro subordinato (15). Soppri-mendo il riferimento ai tempi e al luogo di lavoro si elimina in radice quel possibile fraintendimento che aveva condotto una parte della dot-trina a ritenere che le prestazioni etero-organizzate di cui all’articolo 2, comma 1, ritagliassero un ambito applicativo della disciplina del lavoro subordinato addirittura più ristretto rispetto a quello della fattispecie di

subordinazione, fornendo in tal modo una ricostruzione paradossale della norma, contraria alla propria ratio legis. In quella prospettiva, e

partendo dal presupposto che il potere di organizzazione del commit-tente ex articolo 2, comma 1, avesse il medesimo oggetto del potere

di-rettivo, cioè le modalità di esecuzione della prestazione, è stata sostenu-ta la tesi della «maggiore intensità ed incisività del potere di organizza-zione» del committente in quanto riferito espressamente al tempo e al luogo dell’attività, mentre un tale riferimento non sarebbe contemplato dalla lettera dell’articolo 2094 c.c., che riguarda esclusivamente il

(15) A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni

or-ganizzate dal committente, Working Paper CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2015, n.

(23)

ro svolto “alle dipendenze” e “sotto la direzione” (16). Una conseguenza applicativa di tale assunto era stata tratta, in particolare, dal Tribunale di Torino nel caso Foodora, laddove si opinava che il requisito oggi

soppresso avrebbe richiesto che il lavoratore «sia pur sempre sottoposto al potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro e non è suffi-ciente che tale potere si estrinsechi soltanto con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro perché deve al contrario riguardare anche i tempi e il luogo di lavoro», giungendo così alla paradossale conclusione che il campo di applicazione dell’articolo 2 fosse meno esteso di quello dell’articolo 2094 c.c. L’errore di questa postura interpretativa risiede-va, a monte, nella pretesa identificazione tra l’etero-organizzazione dell’articolo 2, comma 1, e l’etero-direzione dell’articolo 2094 c.c., laddove i due concetti, debitamente distinti, consentono di interpretare l’ormai abrogato riferimento dell’articolo 2, comma 1, («anche con ri-ferimento ai tempi e al luogo di lavoro») non già come esercizio del po-tere direttivo in materia di orario di lavoro e di luogo di lavoro, bensì come prerogativa di organizzazione (eventualmente, ma non

necessa-riamente, anche) spazio-temporale della prestazione. Ne consegue che,

sempre con riferimento all’originaria versione dell’articolo 2, comma 1, il potere di etero-organizzazione del committente poteva prescindere dalla determinazione spazio-temporale: in questo senso andava infatti correttamente interpretato l’anche, come particella che indica una

pos-sibilità, un’eventualità, non una necessità dell’etero-organizzazione

spazio-temporale (17); e ciò perché – diversamente dal potere direttivo –

(16) G. SANTORO-PASSARELLI, Lavoro eterorganizzato, coordinato, agile e il

telelavo-ro: un puzzle non facile da comporre in un’impresa in via di trasformazione, Working

Paper CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2017, n. 327, p. 6.

(17) Tale uso e significato del termine è espressamente contemplato in Treccani,

Vo-cabolario on line, voce “anche”, 1.c: «per accennare possibilità, eventualità». Contra,

V. SPEZIALE, Prime osservazioni alla sentenza della Cassazione n. 1663 del 2020 sui

riders, in Lavoro Diritti Europa, 2020, n. 1, il quale ritiene che la lettura proposta si

scontra «con la formulazione linguistica della disposizione». In realtà, tuttavia, non mi pare che l’enunciato linguistico in esame debba essere interpretato unicamente nel senso indicato da Speziale, e cioè che l’organizzazione non deve riguardare soltanto il

tempo e il luogo ma “anche” qualcosa d’altro: l’attribuzione di tale “senso” al

(24)

impro-l’etero-organizzazione non è un potere di conformazione della presta-zione, né attiene all’obbligo di lavorare in condizione di subordinazione (cfr. articolo 2014 c.c.). Questa interpretazione ha oggi l’avvallo della Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che «se è vero che la congiun-zione “anche” potrebbe alludere alla necessità che l’etero-organizzazione coinvolga i tempi e modi della prestazione, non ritiene tuttavia la Corte che dalla presenza nel testo di tale congiunzione si debba far discendere tale inevitabile conseguenza» (punto 34). Come dire che il riferimento ai tempi e al luogo di lavoro esprime solo «una possibile estrinsecazione del potere di etero-organizzazione, con la pa-rola “anche” che assume valore esemplificativo» (punto 35).

6. Segue: etero-organizzazione versus potere direttivo

Una delle questioni dogmaticamente più rilevanti dell’intera tematica qui affrontata riguarda la distinzione tra i concetti che connotano giuri-dicamente le fattispecie del lavoro subordinato, da un lato, e delle col-laborazioni etero-organizzate dall’altro, vale a dire il distinguo tra il po-tere direttivo tipico del datore di lavoro e il popo-tere di organizzare le modalità di esecuzione della prestazione in capo al committente ex

arti-colo 2, comma 1. Una distinzione più volte contestata da una parte del-la dottrina, eppure necessaria se non si vuole evitare il confronto con i

dati del diritto positivo e con i canoni dell’ermeneutica legislativa posti dall’articolo 12 delle preleggi, vale a dire «il significato proprio delle parole» e l’«intenzione del legislatore».

duttivo di effetti. Infatti, quella tesi conduce necessariamente all’interpretazione dell’art. 2, comma 1, fatta propria dal Tribunale di Torino, che attribuisce alla norma un campo di applicazione più ristretto rispetto a quello dell’art. 2094 c.c. (ciò in

(25)

La Corte di Cassazione, pur nell’ambito di osservazioni molto stringate e sostanzialmente “elusive” del nodo teorico posto dal tessuto normati-vo in esame, si riferisce al potere di etero-organizzazione di cui all’articolo 2, comma 1, come prerogativa autonoma e distinta dal pote-re di etero-dipote-rezione, confermando, nella sostanza, quelle visioni dottri-nali che distinguono tale posizione giuridica soggettiva del committente dal tipico “potere direttivo” del datore di lavoro. Invero, il potere diret-tivo non solo consente l’organizzazione della prestazione nel contesto produttivo, ma, essendo un potere di conformazione, contribuisce alla determinazione dell’oggetto dell’obbligazione lavorativa, di volta in

volta modulabile in ragione delle esigenze gestionali dell’impresa (da non confondersi, ovviamente, con lo ius variandi quale potere di

modi-ficazione dell’oggetto dell’obbligazione) (18). Questa specificità del po-tere direttivo consente di distinguerlo dal popo-tere di organizzazione di cui all’articolo 2, comma 1, in quanto incidente sulle modalità di esecu-zione della prestaesecu-zione, laddove il potere tipico del datore di lavoro

«precisa di volta in volta, nel corso dello svolgimento del rapporto, il contenuto della prestazione convenuta» (19) e quindi si pone su un pia-no ulteriore rispetto alle modalità di esecuzione della prestazione e «al grado di specificazione delle prestazioni già insito nella descrizione

(18) M. MAGNANI, Subordinazione, eterorganizzazione e autonomia tra ambiguità

normative e operazioni creative della dottrina, in DRI, 2020, n. 1, p. 112, si chiede se

quella indicata nel testo non sia una «discutibile definizione del potere direttivo come potere di determinazione dell’oggetto del contratto, in cui si perde ogni confine rispet-to al c.d. jus variandi». La risposta non può che essere negativa. Infatti, da un punto di

vista dogmatico, il potere di conformazione è logicamente inconfondibile con lo jus variandi: il primo individua e precisa il contenuto della prestazione lavorativa

nell’ambito di un perimetro ampio e in qualche misura generico, ma pur sempre

defi-nito dal contratto (le mansioni contrattualmente esigibili), mentre il secondo è un po-tere di imporre al prestatore compiti eccedenti il contenuto delle mansioni contrat-tualmente stabilite; questa linea di confine è precisata da G. GIUGNI, Mansioni e

qua-lifica nel rapporto di lavoro, Jovene, 1963, pp. 104 e 229, secondo il quale «il campo

dello jus variandi comincia dove il potere direttivo finisce» (p. 252). Quindi, mentre

l’esercizio dello jus variandi realizza una vicenda modificativa del contenuto della

prestazione oggetto del contratto, il potere direttivo va ricondotto alla categoria degli

svolgimenti interni, i quali per un verso non determinano alcun mutamento

dell’identità strutturale della situazione giuridica e, dall’altro, conducono questa ad un ulteriore sviluppo: cfr. A. FALZEA, Efficacia giuridica, in A. FALZEA, Voci di teoria

generale del diritto, Giuffrè, 1970, p. 336 e, con riferimento alla categoria della

“spe-cificazione”, p. 342.

(26)

delle mansioni, cosicché […] si suole affermare renda specifico il face-re, originariamente in qualche misura generico, dedotto in

obbligazio-ne» (20).

Questa valenza conformativa-specificativa del potere direttivo, che nel-la nostra tradizione giuridica risale alnel-la teoria contrattualistica degli an-ni Sessanta (21), trova conferma nella concezione gius-economica dell’impresa secondo la quale i contratti di lavoro subordinato, per loro natura “incompleti”, prevedono “zone di accettazione” entro le quali gli ordini vengono eseguiti senza resistenza, consentendo di evitare la con-tinua rinegoziazione dei termini del contratto (ed i relativi “costi di transazione”) in funzione di un processo decisionale sequenziale ed adattabile (22). Questo sincretismo metodologico tra dottrina giuslavori-stica di ispirazione contrattualigiuslavori-stica e teoria economica conferma, in so-stanza, la strutturale appartenenza della fattispecie di subordinazione ad una radice comune, quella del potere di direzione e alla sua funzione di continua “riduzione al presente” dei termini del contratto rispetto alle condizioni organizzative in cui la prestazione di lavoro viene resa e in-dirizzata ai fini produttivi (23).

Sino all’entrata in vigore dell’articolo 2, comma 1, il dibattito dottrinale sulla natura e morfologia del potere direttivo è stato caratterizzato da una dialettica tra visioni tradizionalmente centrate sulla presenza di or-dini e direttive, e interpretazioni evolutive, volte a superare quel dato – ritenuto non più conforme alla realtà dell’impresa post-fordista – a fa-vore di concezioni più elastiche di “direzione”, sino a far coincidere questa prerogativa con un più ampio potere di “organizzazione” della prestazione, non necessariamente espresso mediante ordini e direttive specifiche. Tali tentativi di “dilatazione” della nozione di potere diretti-vo erano già stati colti in tempi non sospetti, a fronte dei cambiamenti tecnologici dell’epoca post-fordista, rilevandosi «una fenomenologia della subordinazione necessariamente varia secondo le differenti fasi

(20) G. GHEZZI, La mora del creditore nel rapporto di lavoro, Giuffrè, 1965, p. 7.

(21) Oltre a Giugni e Ghezzi, citati nelle note precedenti, è d’obbligo il riferimento a

M. PERSIANI, Contratto di lavoro e organizzazione, cit.

(22) Cfr. O.E. WILLIAMSON, Le istituzioni economiche del capitalismo, Franco Angeli,

1987, pp. 156 ss. e 384 ss.

(23) Sulla “riduzione al presente” secondo il modello contrattuale classico vedi I.R.

MACNEIL, Contracts: Adjustments of long-term economic relations under classical,

neoclassical, and relational contract law, in Northwestern University Law Review,

(27)

dello sviluppo sociale» (24). La stessa giurisprudenza, con la nozione di “subordinazione attenuata”, ha, di fatto, realizzato una modulazione morfologica del concetto di potere direttivo. In questa prospettiva lo sforzo giurisprudenziale di espandere il campo di applicazione del dirit-to del lavoro nei confronti di attività lavorative caratterizzate da specia-le autonomia decisionaspecia-le e spirito di iniziativa (come nel caso del lavo-ro giornalistico) non ha offuscato ma, al contrario, confermato la fun-zione dell’etero-direfun-zione «nella sua dimensione di intensità variabile, morfologicamente instabile, ma comunque percepibile sul piano del dover essere normativo» (25). Ciò non significa, tuttavia, che il nostro sistema giuridico del lavoro abbia conosciuto un’evoluzione giurispru-denziale tale da consentire di affermare che il potere direttivo, inteso come assoggettamento a direttive ed ordini specifici, non è più il crite-rio principale di identificazione della subordinazione, e che quest’ultima debba essere concepita come assoggettamento del lavora-tore ad un più ampio e generico potere “di organizzazione”. L’ambito della subordinazione resta contrassegnato dal potere unilaterale di con-formazione della prestazione in capo al datore di lavoro, e tale potere si distingue qualitativamente sia dalle prerogative di “istruzione” che ri-troviamo in talune fattispecie di lavoro autonomo, sia dal “coordina-mento” tipico delle collaborazioni coordinate e continuative, sia dal po-tere di etero-organizzazione di cui all’articolo 2, comma 1, il quale non possiede le caratteristiche giuridiche del potere di conformazione per-ché risulta esterno alla sfera dell’oggetto dell’obbligazione, che è pre-definita ex ante e non viene identificata di volta in volta per il tramite

del potere direttivo. La prestazione del collaboratore etero-organizzato risulta sì condizionata nella sua esecuzione, ma non per effetto dell’esercizio del potere direttivo, bensì in ragione del contesto orga-nizzativo unilateralmente amministrato dal committente ed entro il

qua-le la prestazione è destinata ad essere funzionalmente integrata: una prestazione etero-organizzata, come ha ben messo in evidenza la Corte d’Appello di Torino, esprime infatti un nesso funzionale con

l’organizzazione del committente, conformemente a quanto la giuri-sprudenza affermava (prima dell’introduzione del lavoro a progetto, e prima della fondamentale rivisitazione dell’articolo 409, n. 3, c.p.c. ad opera dell’articolo 15, legge n. 81/2017) con riferimento alle

(24) A. PERULLI, Il potere direttivo dell’imprenditore, Giuffrè, 1992, p. 347.

(28)

zioni coordinate e continuative, di cui, in sostanza, oggi, con l’eliminazione del potere unilaterale di coordinamento, il lavoro etero-organizzato dal committente ha funzionalmente preso il posto.

Con l’introduzione delle collaborazioni etero-organizzate dal commit-tente ad opera dell’articolo 2, comma 1, l’interprete che non intenda negare il diritto positivo è tenuto a prendere atto di questa necessaria distinzione, calibrando di conseguenza la propria attività ricostruttiva. È ciò che ha fatto sul piano metodologico la Cassazione nel caso Foo-dora, laddove, rigettando la tesi della “norma apparente”, ha affermato

che «i concetti giuridici, in specie se direttamente promananti dalle norme, sono convenzionali, per cui se il legislatore ne introduce di nuovi l’interprete non può che aggiornare l’esegesi a partire da essi»

(punto 17). Orbene, l’introduzione dell’etero-organizzazione di cui all’articolo 2, comma 1, come concetto di diritto positivo ulteriore e di-verso dal potere direttivo previsto dall’articolo 2094 c.c., impone ne-cessariamente un’opera di rivisitazione del concetto di etero-direzione, il quale, ammesso che abbia avuto nell’interpretazione dottrinale e nel diritto vivente una valenza “organizzativa” identica a quella espressa dall’articolo 2, comma 1, dovrà essere re-interpretato in modo tale da non esaurirlo nel dato dell’organizzazione delle modalità esecutive del-la prestazione di del-lavoro, cioè nei termini espressi dall’articolo 2, com-ma 1; e ciò per la semplice, com-ma decisiva, circostanza che quel dato è un elemento tipologico di una diversa fattispecie, irriducibile a quella

dell’articolo 2094 c.c. La distinzione tra assoggettamento ad etero-direzione e assoggettamento ad etero-organizzazione è stata infatti im-posta dal legislatore proprio con l’articolo 2, comma 1, onde l’interprete che non voglia ripararsi sotto l’inconsistente tetto di paglia della “norma apparente”, non può proporre una indistinta sovrapposi-zione tra i due termini, ovvero una loro equivalenza funzionale, o peg-gio una “surrogazione” dell’etero-organizzazione all’etero-direzione quale nuovo requisito-cardine per qualificare un rapporto come subor-dinato (26).

L’articolo 2, comma 1, quindi, non descrive una fattispecie caratteriz-zata dalla soggezione in senso tecnico al potere direttivo del commit-tente, ma si riferisce, invece, ad una più generica – e meno pervasiva –

(26) In senso critico, con particolare riferimento alla figura del dirigente, M. BIASI,

Brevi riflessioni sulla categoria dirigenziale all’indomani del Jobs Act, in q. Rivista,

(29)

facoltà di “organizzare” le modalità della prestazione, anche (ma non necessariamente) in ragione del tempo e del luogo, rendendola di fatto compatibile con il substrato materiale e con i fattori produttivi appresta-ti dal committente (ciò che la Corte d’Appello torinese descrive con il concetto di «integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazio-ne produttiva del committente»). Le esigenze organizzative, condensate nel substrato materiale della prestazione, retroagiscono sulla sfera debi-toria senza tuttavia incidere sull’oggetto dell’obbligazione, di talché la

prestazione “organizzata dal committente” è sì condizionata in relazio-ne alle modalità di accesso e di fruiziorelazio-ne dei mezzi preposti alla produ-zione, ma non è assoggettata all’altrui sfera di comando in relazione ai cambiamenti dello stato del mondo come invece accade in virtù della situazione di soggezione tipica della subordinazione. Ogniqualvolta la prestazione venga inserita all’interno di un “dispositivo organizzativo” capace di “formattare”, anche sotto il profilo spazio-temporale la pre-stazione, a prescindere dall’esercizio in concreto del potere direttivo e di conformazione della prestazione, con ordini puntuali ed assidui, tipi-ci del datore di lavoro giusta lo schema dell’articolo 2094 c.c., si realiz-za una situazione di etero-organizrealiz-zazione: si pensi all’inserimento con-tinuativo e stabile del prestatore all’interno dei locali del committente con rispetto di determinati vincoli spazio-temporali derivanti dalle compatibilità generali dell’organizzazione, all’esecuzione della presta-zione entro determinate fasce orarie imposte dal committente, all’impiego di mezzi e beni strumentali del committente che incidono sulle “modalità di esecuzione” della prestazione, alla necessità per il prestatore di seguire “istruzioni” organizzative vincolanti dettate anche tramite procedure sequenziali e algoritmi, ecc.

È vero che, come altri ha puntualmente osservato (27), che la Cassazio-ne sul caso Foodora non cita mai l’etero-direzione o il potere direttivo

e, in un ambiguo passaggio, afferma che «quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e della continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile

ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente» (corsivo mio); ma da tale passaggio non pare lecito trarre la conclusio-ne, pur dubitativa, che «sembrerebbe che la etero-organizzazione previ-sta dalla disposizione sia in qualche misura assimilabile all’art. 2094

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