Proprio questo trattamento privilegiato accordato ai marchi non registrati costituì la
ragione principale che condusse al naufragio dello schema di convenzione del 1964:
difatti, il conseguimento della piena protezione comunitaria era reso estremamente
difficoltoso dal fatto che il contrassegno europeo doveva differenziarsi da tutti i segni
tutelati dalle legislazioni nazionali, anche se non registrati o «di importanza locale», il
che strideva inesorabilmente con le esigenze di certezza giuridica sottostanti alla
costruzione del marchio europeo, ritenendosi incongruo che il titolare di un marchio non
registrato potesse inibire la registrazione di un segno simile in tutto il restante territorio
della Comunità
45. In altre parole, lo schema di convenzione del 1964 comprometteva la
sicurezza giuridica dei traffici commerciali dal momento che lasciava l’imprenditore
titolare di un marchio europeo esposto ai poteri di opposizione e impugnazione dei
preutenti
46, permettendo la simultanea costituzione di una pluralità di esclusive
nazionali o locali con efficacia territorialmente limitata in contrasto con l’obiettivo della
libera circolazione delle merci
47.
Il fallimento dello «schema di convenzione sul diritto europeo dei marchi» del 1964
comportò a livello comunitario un periodo di stagnazione legislativa, che perdurò fino
44
Cfr. AUTERI, op. cit., p. 55. 45
Osserva AUTERI, op. cit., p. 56-57, che «lo schema di convenzione assicura ai marchi non registrati una tutela […] che va al di là dell’interesse tipico di chi usa il segno senza pensare alla sua registrazione […], interesse che è […] quello di poter continuare ad usare in esclusiva il suo segno in un ambito corrispondente al raggio della sua attività […]. I poteri concessi dallo schema di convenzione del 1964 ai titolari di marchi non registrati vanno al di là del loro bisogni di tutela»; sicché, «gli amplissimi poteri attribuiti ai preutenti […] rendono più incerta la possibilità di acquistare un marchio europeo», non essendo i poteri di opposizione e impugnazione riconosciuti in capo ai titolari dei segni non registrati sorretti da un adeguato e reale interesse.
46
Tuttavia, AUTERI, op. cit., p. 53-54, rileva come, in un’ottica di bilanciamento delle prerogative dei preutenti, lo schema di convenzione del 1964 abbia previsto l’istituto della cd. incontestabilità con lo scopo di sottoporre i citati poteri di opposizione e di impugnazione a rigorosi termini di preclusione rendendo così inattaccabile il successivo marchio europeo per effetto del mancato esercizio dei diritti derivanti da segni anteriori.
47
117
alla fine degli anni ’80, quando, dopo un travagliato iter durato quasi un decennio,
venne emanata la prima Direttiva CEE n. 89/104 concernente l’armonizzazione delle
legislazioni nazionali in tema di marchi d’impresa
48.
Come già accennato precedentemente
49, la Direttiva n. 89/104 conteneva misure
volte al ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri in tema di marchi con il
dichiarato scopo di eliminare le disparità esistenti tra le varie legislazioni nazionali,
potenzialmente ostative della libera circolazione dei prodotti o nocive per la
concorrenzialità e il funzionamento del mercato comune europeo
50. Senza sostituirsi alle
normative nazionali, ma accostandosi ad esse mediante un’opera di armonizzazione (e
non di uniformazione), la Direttiva n. 89/104 comprendeva una serie di previsioni
(alcune obbligatorie, altre facoltative) concernenti le principali aree tematiche del diritto
dei marchi
51: in particolare, la portata della Direttiva interessava regole considerate
fondamentali dalle istituzioni comunitarie
52, la cui armonizzazione era ritenuta
indispensabile per il corretto funzionamento dei flussi commerciali all’interno del cd.
«mercato interno»
53.
48
Così TRITTON, Intellectual property in Europe, cit., p. 160-161. 49
Cfr. cap. II, par. 2.1. 50
In questi termini RICOLFI, op. cit., p. 14. 51
Così TRITTON, op. cit., p. 161, il quale afferma che la Direttiva n. 89/104 non priva gli Stati membri della possibilità di continuare a prevedere la protezione dei diritti sui marchi acquisiti tramite l’uso di essi, né della facoltà di fissare regole procedurali in materia di registrazione e giudizio di decadenza e nullità o in tema di oneri tributari o in merito ai rapporti intercorrenti tra la legislazione sui marchi e le altre normative come quelle concernenti la concorrenza sleale o la responsabilità civile o la tutela dei consumatori.
52
In particolare KUR, Harmonisation of Trademark Laws in Europe: Results and Open Questions, in Riv.
Dir. Ind., 1996, I, p. 229 ss., enumera le previsioni in tema di requisiti di registrabilità (art. 2),
impedimenti assoluti e relativi (artt. 3 e 4), portata dei diritti conferiti dalla registrazione (art. 5), limitazioni del diritto di marchio (artt. 6-11), trasferimento e licenza (art. 8) e cause di decadenza (art. 12).
53
In tal senso KUR, op. cit., p. 228 e TRITTON, op. cit., p. 131-132, i quali sottolineano come sia la Direttiva n. 89/104 che il Regolamento sul marchio comunitario (Reg. n. 40/94) si inseriscano a pieno titolo in un filone della legislazione comunitaria volto al rafforzamento dei pilastri del mercato comune europeo, le cui caratteristiche fondamentali vengono individuate nella previsione della libera cedibilità del marchio (senza più il vincolo della cessione di esso unitamente all’azienda o ad un ramo di essa) e nella protezione ultramerceologica, esorbitante il limite del principio di specialità, garantita ai marchi che godono di «notorietà» o, secondo la terminologia italiana, di «rinomanza».
118
Tuttavia, come già rilevava una parte della dottrina internazionale
54, questa opera
armonizzatrice peccava di una certa incompletezza dal momento che la Direttiva
lasciava irrisolte alcune questioni di cruciale importanza per il diritto dei marchi
55, tra le
quali spiccava proprio la mancata armonizzazione delle regole in materia di protezione
dei marchi non registrati. Infatti, dal momento che la Direttiva n. 89/104 non è riuscita
ad individuare una soluzione comune relativamente alla tutela del marchio non
registrato a causa della profonda diversità delle tendenze legislative nazionali sul punto,
il panorama delle legislazioni nazionali si presenta estremamente variegato
56.
Circoscrivendo l’analisi agli Stati membri della Comunità Europea all’epoca
dell’attuazione della Direttiva n. 89/104, è possibile suddividere i sistemi legislativi in
questione in due blocchi
57. Da un lato, vi sono Stati che, basati su un regime duale di
protezione dei segni distintivi, calibrano diversamente, a seconda dei casi, il grado di
tutela da accordare ai marchi non registrati rispetto a quelli registrati
58: in alcuni Paesi, è
garantita pienezza di tutela ai segni non registrati, se dotati di intrinseca distintività e
sulla base del mero uso, come in Danimarca
59, oppure a condizione che essi abbiano
raggiunto determinate percentuali di conoscenza presso il pubblico, come in
54
Cfr. soprattutto KUR, Harmonisation of Trademark Laws in Europe: Results and Open Questions, cit., p. 227 ss.
55
In particolare KUR, op. cit., p. 233-234 e p. 237 ss., rileva il persistere, tra le varie legislazioni nazionali, delle diversità normative concernenti le regole procedurali di registrazione del marchio (con specifico riferimento alla variabile ampiezza dell’esame relativo alla sussistenza di eventuali impedimenti da parte degli uffici amministrativi nazionali), nonché delle discrepanze legislative concernenti la disciplina di dettaglio relativa al trasferimento e alla licenza di marchio.
56
Per una sommaria rassegna dello stato delle varie legislazioni nazionali interessate dall’armonizzazione di cui alla Direttiva n. 89/104, v. KUR, Harmonisation of Trademark Laws in Europe: Results and Open
Questions, cit., p. 234 ss., e TRITTON, Intellectual property in Europe, cit., p. 130-131.
57
Il tema verrà ripreso e sviluppato più dettagliatamente sub cap. III, par. 3; in questa sede, ripercorrendo lo studio comparatistico di KUR, Harmonisation of Trademark Laws in Europe: Results and Open
Questions, cit., p. 234 ss., la sommaria analisi contenuta nel testo si limita alle legislazioni degli Stati
facenti parte della Comunità Europea negli anni immediatamente successivi alla stipula del Trattato di Maastricht (1992); normative che, peraltro, sono rimaste pressoché invariate nei contenuti, fatte salve le necessarie modifiche intervenute ai fini dell’adeguamento ai successivi sviluppi legislativi.
58
Sottolinea KUR, op. ult. cit., p. 235, che la maggioranza degli Stati aventi questa impostazione binaria si caratterizza per il fatto che l’enfasi della protezione dei marchi non registrati si concentra sui più generali e flessibili principi della common law (per i Paesi anglosassoni) e della concorrenza sleale (per i Paesi continentali).
59
119
Germania
60, Finlandia
61e Svezia
62; mentre, in altri Stati, come Grecia
63, Irlanda
64e
Regno Unito
65, è riconosciuta ai titolari di un marchio di fatto la possibilità di
continuare ad usare il contrassegno a livello locale, nei limiti dell’area di effettiva
utilizzazione, fruendo di una posizione giuridica tutelabile per mezzo delle norme
repressive della concorrenza sleale
66. Dall’altro lato, invece, vi sono Paesi, incardinati
su sistemi monistici e incentrati sulla prevalenza della registrazione
67, che, come
Austria
68e Spagna
69, menzionano le anteriorità costituite da marchi non registrati
unicamente come possibili motivi di invalidazione di un contrassegno successivamente
registrato; mentre altri Stati e, in particolare, Francia
70, Portogallo
71e i Paesi del
Benelux
72, negando in linea di principio qualsiasi considerazione nei riguardi dei marchi
di fatto, restringono l’area di tutela ai soli segni non registrati proteggibili alla stregua
dell’art. 6 bis CUP.
60 Cfr. § 4.2. MarkenG. 61 Cfr. § 2 V.L.M. (finlandese). 62 Cfr. § 2 V.L.M. (svedese). 63
Cfr. art. 4(3)(a) T.M.A. (greca). 64
Cfr. artt. 10(4)(a) e 15(3) T.M.A. (irlandese). 65
Cfr. art. 11 (3) T.M.A. (inglese) come riformato nel 1994. 66
Con la differenza che, mentre nel Regno Unito e in Irlanda la tutela è sostanzialmente circoscritta al cd.
tort of passing off, tipico rimedio dei Paesi della common law, in Grecia (come in Italia) vi è una più
intensa protezione dei «diritti anteriori» sotto il profilo del potere invalidante, prevedendosi che il marchio che abbia acquisito notorietà generale costituisca una anteriorità suscettibile di privare di novità il contrassegno successivamente registrato e con esso confondibile.
67
Come afferma KUR, op. cit., p. 236, si tratta di Paesi in cui la protezione dei marchi di fatto è assente (come in Francia) oppure è confinata ad ipotesi considerate eccezionali (come nei Paesi del Benelux, dove il preutente può far valere i propri diritti sul segno non registrato di cui sia titolare solo in caso di malafede del registrante) oppure è soggetta a condizioni fortemente restrittive (come in Portogallo). 68
Cfr. § 31 MarkenSchG. 69
Cfr. art. 4(3) l.m. (spagnola). 70
Cfr. artt. L. 711-4 (a) e L. 712-4 c.p.i. (francese). 71
Cfr. art. 190 c.p.i. (portoghese). 72
120
Come si evince da questa breve rassegna dello scenario europeo, risultava evidente la
lacunosità delle disposizioni della Direttiva n. 89/104 in relazione alla eterogeneità delle
soluzioni legislative adottate a livello nazionale in materia di protezione dei marchi non
registrati; sicché, già all’indomani dell’emanazione della stessa Direttiva e in vista della
prossima entrata in vigore del Regolamento sul marchio comunitario, si avvertiva nelle
istituzioni comunitarie l’esigenza di garantire un minimum di regolamentazione per le
situazioni di potenziale conflitto tra i diritti di portata locale o nazionale e i segni aventi
«rilevanza comunitaria»
73.
2.1. Il Regolamento sul marchio comunitario: la limitata rilevanza dei segni
distintivi non registrati.
Il ravvicinamento delle legislazioni nazionali, ottenuto con la Direttiva n. 89/104,
non era in grado di rimuovere l’ostacolo costituito dal principio di territorialità delle
privative industriali in virtù del quale i diritti di proprietà industriale, conferiti ai loro
titolari dalle norme interne di ciascuno Stato, sono muniti di un’efficacia circoscritta al
solo territorio nazionale
74. Per ovviare a questo inconveniente e per permettere alle
imprese di esercitare la propria attività economica sul mercato comune facendo valere
un unico titolo sovranazionale munito di una protezione uniformemente efficace in tutto
il territorio della Comunità, è stato emanato il Regolamento n. 40/94, sostituito dal
Regolamento n. 207/09 (RMC), istitutivo del cd. marchio comunitario
75.
73
In questi termini KUR, op. cit., p. 236. Già AUTERI, op. cit., p. 89, aveva avvertito la potenziale conflittualità tra questi due ordini di diritti, constatando come «in un sistema europeo dei marchi, il marchio non registrato potrebbe essere tutelato in due modi […] diversi: o attribuendo al preutente il potere di opporsi alla registrazione riguardante un marchio confondibile e/o di chiederne la dichiarazione di nullità; oppure negando al preutente tale possibilità, ma riconoscendogli […] una tutela […] limitata all’ambito (territoriale e merceologico) dell’uso antecedente».
74
In tal senso RICOLFI, I segni distintivi. Diritto interno e comunitario, cit., p. 15, e LA VILLA,
Introduzione ai marchi d’impresa, cit., p. 133-134.
75
Così SENA, Il diritto dei marchi. Marchio nazionale e marchio comunitario, cit., p. 9-10, e COLANGELO, Diritto comparato della proprietà intellettuale, cit., p. 180-181.
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