1) si applicano ai soli marchi registrati tutte le norme che presuppongono la
registrazione e, quindi, pressoché tutti gli istituti di cui agli artt. 147 ss. (dedicati
all’acquisto e al mantenimento dei diritti di proprietà industriale e alle relative
procedure)
169;
2) quanto ai modi di acquisto dei diritti sul marchio di fatto, l’art. 12 c.p.i. (in combinato
disposto con l’art. 2 c.p.i.) pone la differenza tra marchio di fatto dotato di «notorietà
non puramente locale» (o generale), al quale solo è conferita efficacia invalidante nei
confronti del successivo segno registrato
170, e marchio di fatto munito di «notorietà
puramente locale»
171;
3) ai marchi di fatto non è riferibile l’istituto della nullità, la quale, costituendo una
nozione giuridico-formale, presuppone la registrazione, la cui natura, ai sensi dell’art. 2,
co. 5 c.p.i., è di accertamento costitutivo
172.
167
Cfr. cap. IV, par. 4, cap. VI, par. 2 e cap. VII, par. 2. 168
Sul punto si veda CASABURI, Concorrenza sleale, marchi di fatto e altri diritti di proprietà
industriale non titolati nel c.p.i., cit., p. 393 ss.
169
Così CASABURI, op. ult. cit., p. 399. 170
Sul punto VANZETTI, I segni distintivi non registrati nel progetto di «Codice», cit., p. 102 ss. rileva che «la notorietà, il valore di mercato non bastano a dar luogo alla tutela, ove la conoscenza del segno da parte del pubblico non sia accompagnata dalla consapevolezza del pubblico stesso che si tratti di un marchio, vale a dire di un segno che distingue i prodotti provenienti da un determinato imprenditore da quelli di provenienza diversa», individuando, così, il fondamento della tutela del marchio non registrato nella possibilità di confusione sull’origine.
171
In tal senso sempre CASABURI, op. cit., p. 400, il quale ritiene che «la notorietà puramente locale deve […] circoscriversi a marchi la cui conoscenza non abbia superato limiti territoriali effettivamente ristretti, anche come potenzialità espansive: già la conoscenza (che non è rinomanza) regionale consente di escludere una valutazione in termini di uso meramente locale».
172
197
Invece, per quanto concerne le norme del c.p.i. sui marchi registrati applicabili anche
a quelli di fatto, può constatarsi che:
1) i marchi di fatto con notorietà non puramente locale (al pari di quelli aventi notorietà
puramente locale, i quali, però, non sono in grado di invalidare i contrassegni
posteriormente registrati) costituiscono, quali diritti di proprietà industriale non titolati,
istituti omogenei ai marchi registrati, essendo sostanzialmente identica la normativa
applicabile
173;
2) un marchio di fatto è tutelabile quando presenti tutti i requisiti richiesti per i marchi
registrati, il che si traduce nella sicura applicabilità degli artt. 12 (sulla novità), 13 (sulla
capacità distintiva) e 14 (sulla liceità)
174;
3) mentre sotto il profilo costitutivo i presupposti sono differenti (l’uso e la conseguente
notorietà per il marchio di fatto; la registrazione per quello registrato), dal punto di vista
della fattispecie estintiva possono trovare applicazione (seppur non interamente) le
norme sull’estinzione del diritto sul marchio registrato per non uso, sulla
volgarizzazione del segno e sul sopravvenuto contrasto con la legge, l’ordine pubblico o
il buon costume
175;
173
In proposito CASABURI, op. cit., p. 400, osserva che «il Codice, riconoscendo ai marchi di fatto (ed in generale ai diritti non titolati) una tutela più ampia che nella normativa abrogata, ha preso atto del carattere tutt’altro che marginale dei marchi di fatto. Questi non sono solo patrimonio (prezioso) delle imprese medio/piccole, restie alla registrazione, ma anche un potente strumento di innovazione e sviluppo. È, infatti, proprio la “sperimentazione”, l’uso come marchio di fatto, che consente il “rodaggio” di nuove forme di comunicazione, che solo in un secondo momento […] possono accedere alla registrazione. […] Si tratta di uno strumento di grande utilità operativa, per la semplicità di adozione (l’uso), e per l’estrema duttilità che ne consente il continuo adeguamento alle esigenze del mercato e dell’impresa di riferimento. Il “fascino” del marchio di fatto è che aderisce alla realtà e ne segue […] l’evoluzione. La registrazione come marchio, pur offrendo un fondamentale vantaggio in termini di certezza, può allora rivelarsi, in molti casi, come inutile, o troppo precoce».
174
CASABURI, op. cit., p. 400, ritiene che l’applicazione della normativa citata sia integrale e, pertanto, «troveranno applicazione, per i marchi di fatto, anche le norme in materia di secondary meaning (art. 13, co. 3 c.p.i.), e, quindi, di rafforzamento della capacità distintiva». Inoltre, aggiunge l’Autore, «in difetto dei requisiti per la registrazione – allorché la eventuale registrazione sarebbe stata affetta da nullità (assoluta) – il giudice […] dovrà negare […] la tutela. D’altronde un marchio di fatto privo di capacità distintiva è un “non marchio”, un segno privo della capacità comunicativa che deve caratterizzare i marchi, registrati o meno».
175
198
4) anche ai marchi di fatto sono applicabili gli artt. 7-10 c.p.i., che delineano i possibili
“supporti” e riferimenti semantici e materiali di quello strumento di comunicazione che
è il marchio
176;
5) nonostante la questione non sia pacifica né in dottrina, né in giurisprudenza, può, in
parte, ritenersi superata la tradizionale ostilità all’applicazione, al marchio di fatto,
dell’istituto della convalidazione di cui all’art. 28 c.p.i.
177;
6) il trasferimento del marchio di fatto avviene per atto inter vivos o mortis causa in
modo non dissimile da quanto avviene per il marchio registrato (pur con la
“cartolarizzazione” del diritto che consegue alla sola registrazione)
178;
7) quanto al contenuto del diritto, in netta controtendenza rispetto alla dottrina
maggioritaria
179, Casaburi ritiene che il marchio di fatto dotato di notorietà non
puramente locale sia assoggettato alla disciplina di cui agli artt. 20 (diritti conferiti dalla
registrazione) e 21 (limitazioni del diritto di marchio) c.p.i.
180.
176
Così CASABURI, op. cit., p. 400-401. 177
In proposito SCUFFI-FRANZOSI-FITTANTE, Il codice della proprietà industriale, cit., p. 178, ritiene che «non si dovrà forse parlare di convalida, ma di inopponibilità del marchio anteriore, perché il pericolo di confusione è venuto meno. Il favor, che la legge dà al marchio registrato, […] rende più esigente la prova di un reale quinquennio di uso effettivo da parte del secondo soggetto. Mentre il marchio registrato ha una sfera naturale d’uso, rappresentata dal territorio nazionale, il marchio di fatto non ha una naturale sfera d’uso. Dunque, mentre la tolleranza dell’uso, da parte del titolare del marchio (o segno) anteriore, del marchio registrato successivo equivale ad una tolleranza sull’intero territorio nazionale, la tolleranza di un marchio di fatto successivo non vale necessariamente come tolleranza sull’intero territorio nazionale […], la tolleranza, da parte del titolare del segno anteriore, di un marchio di fatto, vale come tolleranza, ma solo nello spazio in cui il marchio di fatto è stato speso. Dunque, la convalida del marchio di fatto […] è legata all’uso cui esso è stato assoggettato nel quinquennio». Contra di recente cfr. Corte di Giustizia, 22.9.2011, C-482/09, Budejovicky Budvar, la quale, ritenendo che una delle condizioni perché decorra il termine quinquennale necessario ai fini della convalidazione è «la registrazione del marchio posteriore nello Stato membro interessato», sembra riservare l’istituto di cui all’art. 28 c.p.i. al solo marchio registrato.
178
Così RICOLFI, op. cit., p. 167. 179
Fra i tanti v. VANZETTI-DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, cit., p. 317 ss.; RICOLFI, I
segni distintivi, cit., p. 187 ss.; e CARTELLA, Il marchio di fatto nel Codice della Proprietà Industriale, cit., p. 127 ss.
180
In questo senso CASABURI, op. cit., p. 401, il quale deduce che «il marchio di fatto non puramente locale anteriore, come toglie la novità alla registrazione altrui successiva, così deve godere dello stesso grado di tutela anti-contraffattoria riconosciuta ai marchi registrati».
199
Un’ultima notazione merita l’opinione dottrinale di Auteri
181, il quale, valorizzando
il nesso funzionale tra uso e registrazione
182, attribuisce all’utilizzazione del
contrassegno la qualifica di elemento costitutivo della fattispecie del marchio
registrato
183, unitamente alla dichiarazione del privato resa all’atto del deposito ed alla
pubblicità cui essa è sottoposta
184: quindi, la nascita del diritto sul marchio registrato
viene ricollegata ad una «fattispecie a formazione complessa» risultante da tre elementi,
e cioè dalla dichiarazione del privato, dalla pubblicità di essa e dall’uso effettivo del
segno
185.
181
Cfr. AUTERI, Territorialità del diritto di marchio e circolazione di prodotti «originali», cit., p. 152 ss., il quale elabora questa sua posizione nell’ambito di una indagine avente, come fine ultimo, quello di valutare la liceità delle cd. importazioni parallele e quello di individuare il titolare del diritto di marchio nell’ordinamento italiano.
182
Così AUTERI, op. ult. cit., p. 164-165, il quale ritiene che «se si prescindesse dall’uso che segue la registrazione, bisognerebbe riconoscere che l’unico elemento su cui la tutela si fonda è la volontà del richiedente di appropriarsi del segno»: infatti, non pare che la semplice volontà di fare proprio il segno possa rappresentare un adeguato fondamento per la costituzione di diritti di esclusiva, dovendo, invece, ricercare quest’ultimo nella funzione distintiva del marchio, «mettendo in evidenza il nesso funzionale esistente fra registrazione e uso successivo».
183
In questo senso AUTERI, op. cit., p. 183, il quale afferma che «l’elemento decisivo per la determinazione della titolarità del diritto di marchio non è la registrazione, ma l’uso […] come fatto costitutivo del diritto».
184
AUTERI, op. cit., p. 158-159 e p. 181-182, distingue l’ipotesi in cui l’uso preceda la registrazione, nel qual caso «l’uso comporta già di per sé la nascita del diritto o, quanto meno, quando abbia dato luogo a notorietà non puramente locale del segno, ne consente la registrazione soltanto a favore del beneficiario della tutela fondata sull’uso. […] Il titolare del diritto sul marchio registrato non potrà essere persona diversa da chi aveva usato il marchio», da quella in cui la registrazione precede l’uso, evenienza nella quale «l’uso non contribuisce alla determinazione del beneficiario della tutela […]; la fattispecie costitutiva del diritto al marchio si perfeziona con l’adempimento delle formalità di deposito, e, di conseguenza, l’uso rileva come atto di esercizio di un diritto già esistente: condizione […] di conservazione del diritto (art. 42 l.m.), ma non elemento della fattispecie costitutiva. Il titolare del diritto viene individuato, quindi, sulla base delle risultanze del brevetto». Sicché, l’Autore rileva che «si profila una profonda differenza tra la fattispecie costitutiva del marchio registrato e quella del marchio di fatto. Mentre quest’ultima consta […] di un atto reale, […] nel caso di acquisto del diritto mediante registrazione non preceduta dall’uso, sarebbe inevitabile attribuire rilievo decisivo alla volontà manifestata nel brevetto o nella cd. dichiarazione di protezione», la quale «acquista valore […] in quanto seguita dalla pubblicità che rende conoscibile alla generalità l’adozione del segno. Gli effetti costitutivi si riallacciano, quindi, alla conoscibilità legale del deposito di un marchio conforme ai requisiti posti dalla legge».
185
Così AUTERI, op. cit., p. 182, il quale sostiene che «l’aver negato carattere negoziale al cd. brevetto e l’avere spostato l’attenzione sulla pubblicità, cui il deposito viene sottoposto, consente di […] armonizzare la registrazione con l’uso che […] fa parte della fattispecie costitutiva del marchio: non è alla volontà della P.A. e neppure a quella del privato che la legge riconnette la nascita del diritto, bensì ad una fattispecie complessa risultante dalla dichiarazione del privato e dalla pubblicità cui essa è sottoposta e
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