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“Diminuisce la copertura della pensione in rapporto all‟ultimo stipendio” Metodo di calcolo applicato

VII. LE ILLUSIONI DEI FUTURI PENSIONAT

VII.I I FALSI MIT

La riforma Maroni-Tremonti, attuata dal Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, ha introdotto la possibilità di trasferimento del trattamento di fine rapporto nelle forme di previdenza integrativa.

Precisando che tale manovra ha escluso i dipendenti pubblici e ha interessato solamente il Tfr “maturando”, cioè fatto salvo quello maturato fino al 2006, ha posto i lavoratori, all‟inizio del 2007 di fronte ad una scelta molto difficile.

Il dilemma si traduce nell‟alternativa che riguarda il Tfr tra liquidazione o versamento alle forme di previdenza complementare.

Due sono le distorsioni denunciate a riguardo: innanzitutto la disparità di trattamento tra chi sceglie di tenere il Tfr e chi invece, destinandolo alla previdenza aggiuntiva, compie una scelta che il legislatore ha posto come irreversibile; la seconda si riferisce alla regola del silenzio-assenso, che prevede il tacito conferimento alle forme previdenziali nel caso in cui il lavoratore non esprima la sua preferenza. Tali fattori contribuiscono a creare in sostanza maggiori sperequazioni tra i lavoratori stessi. Si è visto, però, nei capitoli precedenti, come l‟adesione alla previdenza complementare assuma ex lege il carattere di libertà e volontarietà. Tale connotato potrebbe forse risultare in distonia con la lunga propaganda politica effettuata dai mass-media, finalizzata a convincere gli italiani a dirottare il loro accantonamento Tfr futuro nella previdenza integrativa.

Al contrario, il compito delle varie parti sociali dovrebbe essere quello di assumersi l‟impegno di informare adeguatamente i cittadini, circa la previdenza pubblica tanto quanto quella integrativa, per consentire loro una scelta consapevole ed autonoma, investendo in tale obiettivo le loro energie.

Sicuramente, in considerazione dell‟alone grigio che ruota attorno alla copertura di un sistema previdenziale italiano in conclamata situazione di crisi finanziaria, è evidente la necessità, che non può più essere posticipata, della costruzione di risparmi per la fase della vecchiaia. Ma allo stesso tempo il singolo lavoratore deve essere in grado di poter accumulare tali risorse nella maniera che ritiene migliore, anche all‟interno delle proposte di investimento previdenziali, che appunto di diramano in diverse tipologie. C‟è chi sostiene che la manovra del Tfr sia stata accompagnata da una laterale azione insistente a favore di fondi pensione e polizze vita previdenziali, nell‟unica direzione di esaltarne i benefici attraverso: confronti fuorvianti (avendo come sostanziale riferimento gli anni di euforia delle borse), eccessiva enfatizzazione dei vantaggi fiscali (senza magari evidenziare anche i costi di gestione ed amministrazione delle varie soluzioni), non considerazione del pericolo di perdita del valore di acquisto nel lungo termine dovuto all‟inflazione (dovuto alla lunga carriera lavorativa), omissione dell‟eventualità di crac finanziari subiti dagli investimenti (se i fondi pensione difficilmente falliscono però possono registrare delle perdite consistenti in tali casi). Ultimamente il termine “previdenziale” è stato usato in maniera molto frequente, anche relativamente a tipologie d‟investimento connotate in via principale da altre caratteristiche, come le polizze vita.

Osservando le differenze, poi, del fondo pensione rispetto ad un normale fondo comune d‟investimento si identificano due aspetti: la possibilità di riscatto del montante accumulato solo al raggiungimento dell‟età pensionabile (salvo le eccezioni previste dalla disciplina) e una liquidazione finale per almeno il 50% in rendita vitalizia. Il primo vincolo è prettamente temporale e non previdenziale, mentre la rendita vitalizia è essenzialmente di tipo assicurativo-previdenziale, ma prevede un successivo conferimento dal parte del fondo ad una compagnia assicurativa.

In alcuni casi, cioè nell‟ipotesi di licenziamento di un lavoratore che abbia aderito con il proprio Tfr ad una forma di previdenza complementare, la liquidazione del capitale non avviene immediatamente, come si sarebbe verificato in assenza di tale scelta di destinazione, ma solo dopo quattro anni di disoccupazione. Chiaramente la situazione di un lavoratore che si ritrova alle spalle molti anni di anzianità contributiva ha un accento di gravità minore, in quanto comunque gli viene garantita la liquidazione del Tfr maturato fino al 2006.

La preferenza implicita del regolatore a sostegno della previdenza integrativa si evince anche dal fatto che la scelta relativa al Tfr delineata a gennaio del 2007 non si è conclusa entro il termine dei 6 mesi previsto, ma deve essere ribadita ogni qualvolta il lavoratore cambi il suo posto di lavoro.

Altro elemento di disparità con il Tfr consiste nell‟imposizione di un vincolo temporale

“al buio”, come qualcuno lo definisce161, ovvero la possibilità di riscatto del capitale al

raggiungimento di un‟età pensionabile, che viene definita dalla normativa vigente, la quale è indubbiamente in continuo cambiamento e che quindi con difficoltà può essere definita con esattezza per il futuro. Il Tfr invece viene liquidato quando viene cessata l‟attività lavorativa, che in qualche soluzione può essere antecedente al verificarsi dei requisiti di pensione.

Si potrebbe fare una critica alle intenzioni del legislatore che, dall‟angolatura opposta, nello stabilire un vincolo quantitativo, ha comunque lasciato nelle mani del singolo individuo la possibilità di gestire per le proprie finalità un 50% massimo del capitale accumulato, non garantendo dunque che tali risorse vengano effettivamente utilizzate a fini previdenziali, come invece desiderato. Bisogna riconoscere che solo tale aspetto ha preferito riconoscere un ambito di libertà, se pur limitato, ai soggetti.

Si aggiunge che gli accordi per la regolamentazione dei fondi negoziali spesso appaiono agli occhi del lavoratore come un‟operazione pre-confezionata, in quanto

contrattata e conclusa da altri, senza molto spazio di manovra personale, all‟interno del quale, ad esempio, non può essere scelta dal singolo aderente la compagnia di assicurazione a cui affidare la rendita vitalizia; libertà che invece spetta a chi opta per tenere il proprio Tfr in azienda.

Inoltre, un aspetto che riguarda un po‟ tutte le forme di previdenza complementari, per quanto propongano varie soluzioni d‟investimento, l‟offerta rimane pur sempre limitata e tale limitazione rappresenta ancora una volta un paletto per la libertà individuale.

Infatti aderire ad una di queste soluzioni previdenziali integrative corrisponde esattamente all‟affidare la gestione dei propri risparmi ad un soggetto esterno, ovvero alla perdita di controllo decisionale ed informativo a riguardo.

La Covip è intervenuta, relativamente all‟aspetto dell‟informazione, per garantire appunto maggior trasparenza, in un settore che per molti anni ne ha dimostrata ben poca.

Tra i vari, anche Confindustria sollecita il dirottamento del Tfr ai fondi negoziali, nei quali la composizione è costituita in pari proporzioni da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro; l‟ingerenza di quest‟ultimi, però, non viene compresa pienamente, in quanto l‟organismo afferisce alla gestione a risparmi che sono esclusivamente dei lavoratori. E‟ noto, d‟altro canto, come le fonti di diritto del lavoro intervengano nella contrattazione della prestazione d‟opera lavorativa in quanto tra le due parti chiamate in causa, datore di lavoro e lavoratore, sostengono interessi totalmente contrapposti. La distorsione che ne può nascere è dunque quella di possibili comportamenti non virtuosi dei rappresentanti della componente datoriale, che spingano i fondi all‟acquisto di azioni e/o obbligazioni delle loro aziende.

Anche per i sindacati stessi, l‟adesione dei propri iscritti alla previdenza complementare risulta vantaggiosa, non solo in termini di convenienza politica, ma anche per la remunerazione economica che ricevono amministrando tali fondi.

Emerge inoltre un‟esaltazione del privato a danno del pubblico, se si ragiona che di fatto l‟adesione al fondo istituito dallo Stato (Fondinps), non può derivare da una libera scelta del lavoratore, ma solo nel caso del mantenimento del Tfr in azienda costituita da più di 50 dipendenti. Oppure rimane una soluzione residuale, quasi di ripiego, quando in aziende di dimensioni minori manchi il fondo negoziale e ci si trovi in assenza di ulteriori accordi nazionali, regionali, aziendali.

La libertà sembra definitivamente compromessa nella regola del “tutto o niente” per quanto concerne l‟adesione con il Tfr ad una forma complementare, quando invece a coloro che si sono iscritti fino al 28/04/1993 era data la possibilità di un conferimento dello stesso Tfr anche solo parziale.

Futuristico, poi, il comma 9 art. 12 della Legge n. 124/93 che ha istituito la previdenza complementare che prevede perfino degli “abbuoni accantonati a seguito di acquisti effettuati tramite moneta elettronica o altro mezzo di pagamento presso i centri vendita convenzionati”.