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Fascino dell’arcaico e analisi critica

Appena giunta nel Mezzogiorno, la viaggiatrice ha «l’impressione esaltante di arrivare alla fine dell’universo»53

, di trovarsi in una sorta di realtà parallela, in cui il tempo sembra essersi fermato, impedendo l’invasione della civiltà moderna. Attratta dal fascino dell’arcaico e del primitivo, arde dal desiderio di trovare e scorgere, nel paesaggio e nei monumenti, le tracce di un passato mitico, abitato da eroi e divinità, che le sembra «sia là, sotto la polvere, pronto a rivivere al minimo richiamo»54. L’immersione in questo illo tempore genera in lei la sensazione «di vivere in un eterno presente»55, «in una dimensione extra-temporale»56, si sente, inoltre, quasi stordita dal turbinio di emozioni che le provoca la riscoperta di una civiltà così antica. In particolare, le viscere delle grotte di Palinuro risvegliano in lei «”civilizzata” del XX secolo, lo stesso orrore sacro, che dovevano far nascere tremila anni fa, all’epoca delle sibille greche»57

; mentre di fronte alla sola colonna rimasta del tempio di Hera Lacinia, «unica vestigia d’una città scomparsa», ha l’impressione che lo spirito che ha animato l’universo greco-italiota non sia ancora morto»58; il paesaggio naturale, che sembra conservare «una selvaggia

51 Ivi, p. 254. 52 Ivi, p. 37 53 Ivi, p. 42. 54 Ivi, p. 221. 55 Ivi, p. 192. 56 Ivi, p. 207. 57 Ivi, p. 44. 58 Ivi, p. 209.

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grandezza pagana»59 e rivelare «dietro le apparenze sensibili la presenza silenziosa della divinità»60, invece, le induce una sorta di «timore indefinibile»61. Varie volte la viaggiatrice esalta il prestigio, la virtù e lo splendore della civiltà greco-bizantina, che sembra non aver lasciato tracce evidenti, ma allo stesso tempo è affascinata dalla società d’origine contadina, che «ha mantenuto da più di tre millenni le sue tradizioni, le sue leggende, le sue canzoni, i suoi costumi e persino la struttura dell’habitat»62

. Si abbandona spesso al «caldo tepore» di un’esistenza semplice, scandita dal ritmo dei lavori agricoli e dal calendario delle feste popolari e religiose, basata ancora su valori antichi tra cui la famiglia, la religione, l’onore.

Nonostante ciò Brandon Albini «non è mai una turista svagata per quanto colta, superficialmente innamorata dell’arcaico o dell’estetica bizantina»63, è, infatti, lei stessa ad evidenziare, in un contributo per il convegno “Lo sguardo da vicino. Cultura folklorica, società aristocratica e vicenda regionale nell’opera di Raffaele Lombardi Satriani”, la prospettiva assunta, durante il suo viaggio in Calabria: «la vita in parte primitiva, i valori arcaici ancora intatti, mi affascinarono. Il che non mi impedì tuttavia di analizzare lucidamente le condizioni della riforma agraria, le sue remore e i suoi limiti dovuti all’intento di conservazione sociale della legge Segni contro la violenza ribelle delle masse contadine, cominciata nel 1943 e culminata nel 1950 nell’episodio sanguinoso di Melissa»64

.

Dotata di uno spirito critico molto forte, la giornalista non si limita a registrare il punto di vista, nei confronti della riforma, dei governativi e degli organizzatori, ma anche quello dei contadini, che si sentano assoggettati dai funzionari, che sminuendo la loro esperienza secolare, impongono loro tipi di coltivazioni e concimi, sottoponendoli per di più ad una vigilanza rigida e autoritaria. Albini, scopre, infatti, l’altra faccia della medaglia, «questa burocrazia dell’Opera Sila che dovrebbe in teoria “aiutare i contadini proprietari e poi sparire” ha in realtà 59 Ivi, p. 45. 60 Ivi, p. 192. 61 Ivi, p. 45. 62 Ivi p. 28 63

S. INGLESE, Introduzione, in M. BRANDON ALBINI, Calabria, op. cit. p. 12.

64Gli atti del convegno, svoltosi nell’ottobre del 1986 a Rende, in Calabria, non sono stati pubblicati, ma il contributo di Albini è ora reperibile in M. BRANDON ALBINI, Una lombarda

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una base ben solida»65, poiché percepisce da tale attività ingenti onorari. A ciò si aggiunge l’amara constatazione delle difficoltà che ogni giorno la popolazione meridionale è costretta ad affrontare, delle paradossali condizioni di arretratezza di queste città sperdute tra le montagne, in cui i magazzini, i bar splendenti e gli immobili nuovi fiammanti sono solo il simbolo esteriore di una modernizzazione artificiale.

Non c’è circolazione di ricchezze, né attività industriale e commerciale, dietro questa bella facciata; c’è solo il tesoro immobile di chi vive di rendita o la piccola liquidazione del funzionario, convertiti in titoli o in gruzzolo66.

Tuttavia, mentre i baroni, fanno di tutto per mantenere inalterata la situazione esistente, per preservare i propri interessi, la borghesia è consapevole che solo l’investimento di capitali del Nord e la creazione di un industria moderna potrebbe portare ad un cambiamento radicale, ma fino a quel momento il Sud è costretto a rimanere sottovalutato e isolato dal resto dell’Italia.

La stessa viaggiatrice afferma inconsciamente, durante una conversazione con la signora B., che parlerà della Calabria risalendo in Italia, un lapsus significativo, rivelatore dei pregiudizi di “italiana del Nord”, derivati dal suo retroterra culturale, che lei stessa ammette di possedere nell’introduzione.

Noi giovani della borghesia del Nord, avevamo sul Sud pregiudizi e idee preconcette, quasi istintive; giustificate solo dall’ignoranza della realtà e dal conformismo semplicistico con cui la scuola ci presentava la storia nazionale: Il Centro e il Nord ne avevano fatto tutta la grandezza, mentre il Sud ne assumeva tutte le debolezze67.

Per questo motivo, prova verso il Mezzogiorno e i suoi contadini una sorta di “complesso” di colpa dal quale vorrebbe riscattarsi, cercando di abbattere quei falsi miti, da cui lei stessa è stata abbagliata, consapevole del fatto che «capire

65 M. BRANDON ALBINI, Calabria, op. cit., p. 202. 66 Ivi, p. 263.

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significa amare»68, perché solo in questo modo si può scoprire la vera natura del Sud, la sua essenza più profonda.

Uno dei pregiudizi più radicati è quello che vuole la Calabria, e il Sud in generale, come un paese infestato dai briganti, che la viaggiatrice contribuisce a far cadere, affermando come in tutte le epoche si tende a bollare «col nome di “terroristi” e “banditi” gli uomini che si sollevano contro l’ingiustizia»69

. La giornalista dimostra una profonda conoscenza del brigantaggio, illustrando le diverse fasi del fenomeno, che «dalla metà del XVII secolo diventò l’espressione individuale della rivolta contadina contro la spoliazione continua, secolare, dei loro diritti comunitari»70, rivelando così il motivo per cui la popolazione locale nutrisse più simpatia che paura verso questi fuorilegge.

Questo spirito di rivolta è ancora vivo nell’animo calabrese, ma, molte volte, è inibito da una sorta di disperata rassegnazione e un certo fatalismo, che Albini non riesce ad accettare. Dimostra, inoltre, un’affettuosa benevolenza verso la popolazione del luogo, verso questi “buoni selvaggi” vestiti di stracci e spesso a piedi nudi, di cui ammira la purezza, la lealtà, il coraggio, l’attaccamento alla terra, che li fa sentire spaesati dappertutto, alla famiglia e alle tradizioni. Tuttavia questo non le impedisce di esprimere la sua disapprovazione verso l’atteggiamento sospettoso, e spesso indiscreto, nei sui confronti, la condizione subalterna delle donne, l’inconsapevole accettazione di modelli di vita arcaici, l’assenza di un progetto sociale, a cui però si contrappone, nonostante tutto, la fiducia nell’avvenire, che si configura come una flebile fiamma nel cuore dei calabresi, pronta ad accendersi di fronte ad ogni minima speranza.

È proprio il contatto con questa umanità semplice e l’immersione in questo mondo, «lontano dalle civiltà brutali e rumorose delle grandi città»71, a generare nella viaggiatrice un profondo amore per l’Italia e soprattutto per il Mezzogiorno, che non rappresenta solo «l’evasione, la scoperta e l’esaltante magia del sole»72

, ma una sorta di eden dove «l’uomo può togliersi la scorza utilitaristica e meschina che sembra rivestire ogni cittadino del XX secolo» e «dimenticare il tempo che 68 Ivi, p. 26. 69 Ivi, p. 132. 70 Ivi, p. 134. 71 Ivi, p. 31. 72 Ivi, p. 25.

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passa, in una armonia che sembra ignorare la vecchiaia e la morte, come se per miracolo, rivivesse una vita anteriore di cui avrebbe custodito una pungente nostalgia»73.