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Cava dei Tirreni e l’Abbazia cavense

Il resoconto di Folliero sulla visita a Cava dei Tirreni è scritto durante il viaggio a Napoli nel 1877, ed è dedicato alla figlia Matilde e alla sua famiglia, allo scopo di suscitare il loro interesse e la loro curiosità verso luoghi «forse meno noti […] ma non meno degni di attenzione»20.

Inoltre, l’autrice, rammaricata per la lontananza della figlia, si affida allo strumento consolatorio della scrittura, che permette di condividere con le persone care i propri sentimenti e le proprie emozioni.

15 Ivi, p. 38. 16 Ivi, p. 47. 17 Ivi, pp. 47-48 . 18

E. MARVELLI, Aurelia Cimino Folliero De Luna. Giornalismo al femminile per «una forte e

morale generazione», Centro Editoriale Toscano, Firenze, 2005, p. 71.

19 A. CIMINO FOLLIERO DE LUNA, op. cit., p. 48. 20 Ivi, p. 79.

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I piaceri che gustiamo nella vita non possono dirsi completi se non sono divisi con persona amata, pure quando le circostanze ci conducano a goderli soli, possiamo in qualche modo farli partecipare ai nostri diletti mediante l’uso, divinamente consolatore della penna21

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La narrazione si apre con la lucida constatazione, da parte dell’autrice, dell’inadeguatezza di molte città italiane ad accogliere un “turismo di massa”, a causa della carenza dei mezzi di trasporto e di strutture turistiche attrezzate per offrire ospitalità e occasioni di svago. Sebbene, a suo avviso, siano molti i paesi che si configurano come mete attraenti per il clima, la posizione, i monumenti. Di contro Folliero evidenzia la diversa situazione di Svizzera e Germania, dove ogni elemento naturale o qualsiasi evento popolare viene valorizzato e messo in risalto, allo scopo di incrementare il turismo.

Partita da Napoli la viaggiatrice passa da Torre del Greco, rivede Pompei, e visita presso Nocera le rovine del Castello in Parco, giungendo poi nella città di Cava de’ Tirreni.

Dopo un breve riferimento alle attività economiche, tra cui il commercio delle tele di cotone e di lino e la coltura del tabacco, la scrittrice si concentra sulla descrizione, ricca di particolari, della città, del territorio circostante e del paesaggio. Adottando lo stile e la funzione di una guida turistica, esalta, inoltre, le bellezze naturali della Valle Cavense, la vicinanza del mare, la varietà del panorama, a cui si aggiungono le attrazioni storiche, archeologiche e monumentali.

Dimostrando un grande interesse per il folklore e le tradizioni popolari, Aurelia illustra poi il crudele “gioco dei colombi”, che si svolge presso alcune torrette bianche dette bolieri, a cui la popolazione partecipa con grande entusiasmo ed eccitazione. A ciò si aggiunge il riferimento alla leggenda del ponte progettato dal diavolo e costruito da un famoso alchimista di Salerno, che smentisce riferendosi alla fonte di Guillaume, il quale, nella sua opera intitolata La Badia Cavense, afferma che la costruzione di quel bizzarro monumento sia da attribuire all’abate Don Filippo de Haya.

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Folliero non si rivela una turista sprovveduta e impreparata, in quanto il riferimento a vari autori, che hanno redatto opere sulla città di Cava, tra cui il già menzionato abate Guillaume, Pelliccia, Troya, Adinolfi, dimostra una sua preliminare preparazione e documentazione.

Inoltre, importante risulta, per l’accrescimento delle conoscenze dell’acculturata visitatrice, l’incontro con l’illustre archeologo Michele Morcaldi, che le fa da guida nella sua visita alla famosa Abbadia della SS. Trinità, di cui ha modo di apprezzare la biblioteca, l’Archivio, la Cripta, il chiostro.

La viaggiatrice rimane colpita in particolar modo dal cimitero, che conserva le ceneri di numerosi uomini potenti. L’atmosfera lugubre e la fioca luce, che rischiara debolmente le tombe, richiamano alla sua mente alcuni versi della Tebaide di Stazio.

Un opaco riposo entro vi regna E il placido silenzio un ozioso Orror vi serba, e dell’esclusa luce Appena v’entra un tremulo barlume22

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L’escursione a Cava de’ Tirreni assume una tinta romantica, quando la visitatrice apprende la notizia che un brigante, Antonio Palumbo, si aggira tra i boschi. Tuttavia, lo scetticismo di Folliero nei riguardi di tale episodio emerge chiaramente da alcune sue affermazioni: «A metà via mi fu raccontato dalle persone che mi accompagnavano che fra le foreste di quelle montagne si aggirava un brigante […]. Mi era già stato detto qualcosa su ciò a Napoli; si era messo la solita cornice al quadro»23.

Inoltre, di particolare rilevanza, poiché mette in luce la posizione della viaggiatrice riguardo al fenomeno del brigantaggio, è la polemica intrapresa con un gruppo di turisti tedeschi, che prendono come pretesto tale episodio, per affermare che tutta l’Italia è un paese di briganti. Tale asserzione è giudicata da Folliero «incivile e bugiarda» e, come tale, merita assolutamente di essere smentita dall’unica italiana del gruppo.

22 Ivi, p. 89. 23 Ivi, p. 85.

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Il pregiudizio di un’Italia infestata dai briganti è molto diffuso tra i viaggiatori stranieri, ma in realtà «tutti narrano di storie veritiere ma immancabilmente capitate ad altri. Il sentito dire è il consueto veicolo di trasmissione, mentre l’iperbole è la figura retorica dominante. La minaccia dei briganti è una componente che rende sapido il viaggio e lo movimenta nei tratti più sonnolenti, un’emergenza in vario modo annunciata e quasi sempre differita. Non c’è viandante che non ne abbia sentito parlare e si senta in obbligo, a sua volta, di diffondere la notizia»24.

Prima di lasciare la Valle Cavense, Aurelia si lascia rapire dall’immagine fortemente poetica del sole che nasce tra i monti, illuminando con la sua luce opalescente le foreste e le case. Mentre il villaggio alla prime luci dell’alba si risveglia e tutto inizia a prendere vita, a valle «i paeselli rannicchiati o sospesi dormono ancora nel crepuscolo»25.

Questo contrasto di luci e ombre riconduce, la sensibile viaggiatrice, all’antica opposizione tra «civiltà e barbarie, poesia e scetticismo»26, e suscita nella sua mente due immagini contrapposte: quella del povero contadino che ritorna al lavoro quotidiano e quella dello «sciagurato bandito», che, perseguitato dai suoi stessi simili, è costretto a nascondersi nei più angusti anfratti.

Commossa e allietata dal meraviglioso spettacolo dell’alba, Folliero si augura che questo «ritorno di vita che allegra la natura»27, e che fa sembrare ancora più amara l’esistenza di chi è solo, possa risvegliare nel brigante la fede e il pentimento.