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3. L’applicazione del lean thinking nelle terapie per la Sclerosi Multipla

3.4. Il contesto di riferimento

3.4.1. Le fasi della malattia e il fabbisogno del paziente

La Sclerosi Multipla è una patologia caratterizzata da un alto grado di variabilità ed imprevedibilità; queste caratteristiche ne rendono complessa la gestione e comportano che le figure, professionali e non, necessarie al supporto del malato nelle sue diverse fasi di vita siano numerose e con competenze e ruoli differenti.

Le fasi di cui si compone il percorso di presa in carico del paziente sono tre: 1. diagnosi;

2. presa in carico nel Centro SM (post-diagnosi, follow-up, terapia); 3. continuità assistenziale.

La diagnosi di Sclerosi Multipla avviene, solitamente, a seguito di un accesso del paziente in Pronto Soccorso o di una prima visita neurologica, motivati da sintomi motori o sensitivi.

Ad oggi, essa avviene in modo abbastanza rapido, grazie ad una serie di accertamenti che vengono prescritti dal neurologo: oltre alla sua valutazione clinica, il paziente deve sottoporsi all’analisi del liquor cerebrospinale, alle indagini elettrofisiologiche (potenziali evocati) e ad una risonanza magnetica encefalica e spinale, che permette di evidenziare la presenza delle tipiche placche a carico del sistema nervoso e di individuare l’eventuale presenza di una acutizzazione della malattia.

Una volta accertata la diagnosi di SM grazie al confronto tra i vari esami effettuati, il neurologo ha il compito di comunicarla al paziente.

La comunicazione della diagnosi è una fase complessa, che può costituire uno shock per il paziente neodiagnosticato e che, se non affrontata con le corrette modalità, può rischiare di condizionare il futuro rapporto paziente-malattia e paziente-medico.

Le modalità e i tempi di comunicazione della diagnosi sono da valutare attentamente, paziente per paziente, anche con la collaborazione di uno psicologo.

Nella fase di diagnosi e successiva comunicazione di essa la figura di riferimento per il paziente è, quindi, il neurologo, coadiuvato dall’infermiere specializzato e dallo psicologo, che devono svolgere funzione di supporto al paziente: il primo deve essere in grado di risolvere i dubbi del paziente riguardo la malattia, dedicandogli tutto il tempo necessario affinché esso arrivi ad avere un quadro chiaro e completo della situazione (ruolo complementare a quello del neurologo); il secondo si occuperà, invece, dell’assistenza psicologica del paziente, sia nel momento della diagnosi che nell’avanzare della malattia. Queste figure, infatti, saranno cruciali anche nella fase di follow-up, durante la quale avviene un inquadramento della situazione del paziente, spesso anche insieme ai suoi familiari, seguito dalla scelta della terapia più idonea.

La scelta della terapia avviene su proposta del neurologo e in condivisione con il paziente, tenendo in considerazione una serie di elementi come la forma della malattia e il grado di aggressività, il meccanismo di funzionamento del farmaco, l’eventuale possibilità di effetti avversi e la sua efficacia, misurata sulla base di tre parametri: il numero di ricadute, l’attività della malattia (comparsa di nuove lesioni) e l’avanzamento della disabilità del paziente; oltre a questi fattori prettamente clinici, nella scelta condivisa della terapia vengono considerate anche le preferenze del paziente, dettate dal suo stile di vita e dalle esigenze ad esso correlate.

L’aperto dialogo fra medico e paziente è fondamentale per la compliance del paziente, che risulta fortemente basata sul rapporto di fiducia che i professionisti, nello specifico medico e infermiere, riescono ad instaurare con lo stesso. Perché ciò accada sono necessari:

- collaborazione e continuità verbale tra medici e infermieri che sono formati anche sulla base dei protocolli di comportamento;

- sensibilità, professionalità ed empatia del medico/infermiere;

- conduzione da parte dell’infermiere verso il percorso psicologico, che può essere necessario in ogni fase della malattia.

A queste figure primarie si aggiungono, in ambito sanitario, una serie di altri professionisti essenziali a far fronte ai disturbi associati alla malattia (fisioterapista, oculista, urologo, andrologo, ginecologo, logopedista, assistente sociale), biologi e radiologi che si occupano della diagnostica e il personale amministrativo (AISM, 2001), necessari all’approccio multidisciplinare che richiede la malattia in ogni sua fase.

Quando, poi, il paziente passa da critico a cronico, cambia il setting di carico assistenziale ad esso necessario: spesso il decorso della malattia porta il paziente a concludere il percorso di cura con i farmaci modificanti della malattia e a proseguire il trattamento con farmaci sintomatici, riabilitazione, ausili, etc. In questa fase non è più fondamentale la figura del neurologo, la cui presenza è costante ma qui integrata con le altre figure sanitarie che hanno in carico il paziente cronico.

È, ora, fondamentale il ruolo della territorialità e dell’assistenza socio-sanitaria competente: medico di base, fisioterapista, AISM, dovrebbero fornire importanti servizi in grado di alleggerire il carico di lavoro dei Centri di riferimento ed andare incontro alle esigenze del paziente.

Il ruolo dell’assistenza socio-sanitaria territoriale è tanto più fondamentale quanto le condizioni e la disabilità del paziente si aggravano. Quando il paziente non è più in grado di spostarsi o ha difficoltà serie nel farlo, infatti, sono le figure sanitarie che si recano dal paziente e che hanno le competenze per trattarlo e per sottoporlo alle cure palliative necessarie in questa fase.

La figura che dovrebbe essere in grado di garantire al paziente la continuità assistenziale dal primo accesso al follow-up domiciliare è quella del case manager.

Il case manager è solitamente un infermiere specializzato che ha acquisito, tramite un percorso formativo specifico, competenze ed esperienza in ambito gestionale ed organizzativo. Il suo ruolo, infatti, è quello di facilitare e coordinare i servizi sociali e sanitari erogati da una determinata struttura ed integrarli con quelli offerti dal territorio; lo scopo è quello di creare un percorso assistenziale centrato sulle esigenze del target di pazienti e continuo, dal primo accesso, alla dimissione fino ad arrivare all’assistenza domiciliare.

Nella figura del case manager devono fondersi competenze organizzative e competenze cliniche: da una parte, egli deve essere in grado di comprendere le dinamiche organizzative relative ai modelli gestionali, ai piani e ai protocolli di assistenza e di identificare le risorse, anche finanziarie, necessarie alla relativa gestione; dall’altra deve

conoscere in modo approfondito la popolazione di pazienti di riferimento, deve saper comprendere le diagnosi cliniche e conoscere le prestazioni mediche e terapeutiche. La profonda conoscenza del target di pazienti permette al case manager di individuare tempestivamente esigenze ed eventuali problemi del paziente, per riuscire a risolverli, in collaborazione con il resto del team interdisciplinare, e per creare un percorso assistenziale che sia il più possibile personalizzato.

Le funzioni che spettano, almeno in linea teorica, al case manager sono molteplici e afferenti alla gestione di tre dimensioni: allocazione delle ricorse, organizzazione e formazione.

Riguardo l’allocazione delle risorse, il case manager deve assicurarsi che, nel periodo di trattamento del paziente, esse siano impiegate in modo adeguato, evitando ridondanze o frammentazione delle attività e garantendo la massima efficienza ed efficacia nel consumo di risorse.

Dal punto di vista organizzativo, al case manager spettano:

- la gestione e la pianificazione dell’assistenza, in linea con le esigenze del paziente e dei suoi familiari;

- la determinazione, in collaborazione con il team interdisciplinare, della necessità, degli obiettivi e della durata della degenza;

- la valutazione della qualità e dell’appropriatezza dell’assistenza fornita al paziente; - la gestione della continuità assistenziale tra differenti setting clinici e garanzia di

accessibilità alle informazioni sul paziente a chiunque se ne occupi;

- l’identificazione di un percorso di assistenza al paziente personalizzato e specialistico.

Nella sua dimensione di educatore, il case manager, deve:

- occuparsi della formazione dell’equipe assistenziale, valutandone i bisogni e assistendo il personale infermieristico nell’adozione dei protocolli e dei piani di lavoro;

- rispondere alle necessità informative del paziente e della sua famiglia, relativamente alla malattia, alla sua gestione e alla gestione dei trattamenti terapeutici, educando il paziente a riguardo ove necessario.

Occorre sottolineare, a riguardo, che il paziente colpito dalla malattia non è l’unico su cui la gestione della stessa ricade; come affermato nel Barometro della Sclerosi Multipla 2017 “il 43% delle persone con SM dichiara di ricevere ogni giorno assistenza informale da

familiari e conviventi nello svolgimento delle attività quotidiane, cui si aggiunge una quota del 20% in caso di bisogno (es. in presenza di un attacco). Oltre il 95% dei caregiver ha dedicato, negli ultimi 3 mesi, tempo libero per assistere la persona con SM, soprattutto per svolgere attività di assistenza personale (78%) e di compagnia o sorveglianza (61%), mediamente per circa 8 ore al giorno; circa il 5% dei familiari che si prende cura di una persona con SM è stato costretto all’abbandono o alla riduzione della sua attività lavorativa” (AISM, 2017: p.13).

I caregiver, termine inglese che identifica chi si occupa dell’assistenza diretta della persona malata, possono essere familiari, amici o persone specificamente incaricate e, ricoprendo un ruolo essenziale nella vita del malato, prendono parte in prima persona alla gestione della malattia.

Il case manager deve essere di supporto a queste figure, al fine di garantire anche al caregiver i propri spazi sociali, lavorativi e familiari; il caregiver deve poter contare su una figura di riferimento come quella del case manager, poiché la malattia non finisca per inficiare sulla propria vita e perché garantire il benessere a coloro che si prendono cura della persona malata è il primo passo per garantire un approccio sereno del paziente alla malattia.

L’introduzione della figura del case manager nelle realtà ospedaliere è uno degli elementi che più efficacemente rispondono al rispetto del principio di centralità della persona così come definito nel Paragrafo 3.2.1.: l’empowerment del paziente e la tutela del suo stesso interesse (advocacy) costituiscono i presupposti per la funzione tutoriale che egli è chiamato a svolgere.