Come già evidenziato, oltre a celebrare la nazione inglese, nella sua Gibilterra Salvata Pindemonte intende anche onorare le gesta del famoso governatore della rocca, George Augustus Elliot, primo barone di Heatfield e generale sotto il cui comando gli inglesi riuscirono a sconfiggere l’alleanza nemica. Tuttavia, nonostante l’inserimento nell’edizione veneziana di alcune pagine relative alla vita di Elliot, il lettore potrebbe non riconoscere in quella figura il principale protagonista dell’opera: ritengo infatti che la lettura del testo porti piuttosto ad identificare Ercole come uno dei personaggi centrali del poema. La figura del semidio è significativamente presente nel testo e il suo intervento nella battaglia, i rimandi alle famose fatiche e le vicende relative ai miti che lo riguardano si snodano in tutta l’opera, occupando sia l’apertura che la chiusura del lavoro pindemontiano. Nella Gibilterra Salvata la figura di Elliot è ad ogni modo celebrata, anche se le gesta eroiche che portarono alla vittoria inglese sembrano essere maggiormente riconducibili alla figura dell’ammiraglio Richard Howe, suggerendo quindi, a mio avviso, l’opportunità di riconoscere in quest’ultimo e in Ercole i due principali protagonisti dell’opera. Tuttavia, come ci ricorda Montanari, sappiamo che il generale Elliot rimase entusiasta del poema pindemontiano, nonostante la posizione di secondo piano che la sua figura occupa nel testo:
Così al vecchio Helliot, il quale, per servirmi d’una frase dell’abate Roberti su questo proposito, non intendea la lingua italiana come intendeva la guerra, riuscì assai caro che un aiutante di Angelo Emo supremo capitano della veneta armata, voglio dire il coltissimo cavalier Parma, traferitosi in Gibilterra qualche anno dopo, potesse le difficoltà appianargli d’un componimento, di cui l’Helliot non poco si compiacea, e fargliene le bellezze recondite assaporare.211
Sicuramente l’interesse nei confronti degli eventi che si stavano svolgendo a Gibilterra fu il riflesso della fascinazione che Pindemonte provava in quegli anni verso il mondo inglese, ma non solo: la storia della rocca si inserisce infatti all’interno del più famoso e complesso quadro della guerra d’indipendenza americana. L’impero britannico era all’epoca impegnato nel Nuovo Mondo dove le sempre più frequenti rivolte, causate in ultima istanza dal rifiuto dell’Inghilterra di riconoscere una rappresentanza delle colonie
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in Parlamento, furono la causa scatenante della storica guerra. La grande eco degli eventi che si consumarono oltreoceano giunse in tutta Europa e, considerato il tema trattato da Pindemonte nel suo poema, non sorprende la presenza all’interno della Gibilterra Salvata di un accenno alla guerra d’indipendenza e alle tredici colonie protagoniste di quella storia:
Intanto godi, che se quattro e nove Province in terra, il volle Iddio, perdesti, Di nuovi mondi in ciel, non che di nuove Province: acquisto glorioso or festi”.212
L’impegno che l’impero profuse nel cercare di contrastare i disordini nel Nuovo Mondo indebolì il suo potere e l’influenza che aveva all’interno dello scacchiere europeo e così, occupato nelle vicende di oltreoceano, subì gli attacchi di chi mirava alla conquista di posizioni strategiche. La battaglia descritta da Pindemonte nella Gibilterra Salvata si inserisce infatti all’interno di un più ampio conflitto che vede la coalizione franco- spagnola contro quella inglese.
La cronologia degli eventi che portarono all’indipendenza americana e a tutte le sue conseguenze, compresa la sconfitta dell’Inghilterra, non deve essere approfondita in questa sede: basti ricordare che le forze alleate contro Gibilterra, ovvero Francia, Spagna e Olanda, furono le stesse che permisero la vittoria americana coalizzandosi con le colonie. Infine, anche se la battaglia descritta dall’autore fu il capitolo finale del quadriennale conflitto e decretò de facto la fine della guerra, questa fu dichiarata conclusa definitivamente solo con la firma del 3 settembre 1783 del trattato di Parigi: accordo che non solo pose fine alla guerra anglo-spagnola ma anche, e soprattutto, alla guerra d’indipendenza americana.
Pindemonte scrisse la Gibilterra Salvata durante quel viaggio attraverso l’Italia che aveva per ultima destinazione Malta, contemporaneamente quindi ai fatti bellici narrati nel testo stesso. Considerato che i principali mezzi di informazione erano le gazzette, si può affermare con certezza che l’autore attinse dalla lettura di queste per rimanere aggiornato su ciò che accadeva a Gibilterra, presumibilmente leggendo anche in francese e in inglese,
212 Ippolito Pindemonte, Gibilterra Salvata, in Aurelio de’ Giorgi Bertola (a cura di), «Versi di Polidete
Melpomenio», Remondini, Venezia, 1784, pp.9-43, alla p.240, (vv.779-782).
Le tredici colonie erano: provincia del New Hampshire, del Massachusetts Bay, di New York, del New Jersey, della Pennsylvania, del Maryland, della Carolina del Nord, della Carolina del Sud, della Georgia e le colonie di Rhode Island e delle Piantagioni di Providence, del Connecticut, del Delaware ed infine, della Virginia.
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nonostante in quegli anni non fosse esperto nella conoscenza di quest’ultima lingua. Come accennato in precedenza, l’autore nel suo poema descrive solamente i famosi avvenimenti che si svolsero tra il settembre e l’ottobre del 1782; l’inizio della battaglia, il 13 settembre, viene descritto così in una lettera inviata dall’accampamento da un anonimo francese:
Le 13, à 7 heures du matin, les 10 batteries flottantes sont parties de Puente – Maillorca, & sont venues sur les 9 heures & demie s’embosser à 250 toises de la place, entre le Vieux & le Nouveau – Môle sous le feu de l’ennemi; c’est le manoeuvre la plus audacieuse qu’on ait jamais faite à la mer. Depuis ce moment on ne peut donner une idée du feu effroyable que sont les lignes, les prames & la montagne de Gibraltar.213
In questo famoso scontro la maggiore novità in campo militare fu quella relativa all’impiego delle batteries flottantes alle quali si fa riferimento nel brano ora citato, presentate nel poema con diversi appellativi tra cui “fluttuanti rocche nemiche” o “alte moli ondeggianti”.214 Queste nuove opere d’ingegneria erano state ideate da Jean-Claude- Éléonore Michaud d’Arçon, e il loro utilizzo durante l’assedio avrebbe dovuto essere decisivo per la vittoria ma, nonostante il loro impiego, la flotta franco-spagnola si trovò in difficoltà sin dal primo giorno e molte delle sue navi andarono distrutte.215 Questa
débâcle costituì nei fatti la premessa alla fine del conflitto; saranno poi i rifornimenti
portati dall’ammiraglio Howe che permetteranno al comandante Elliot e agli abitanti di Gibilterra di resistere all’assedio fino alla stipula del trattato di pace.
213 Journal Encyclopédique ou Universel, VII, III, De l’Imprimerie du Journal, Bouillon, 1782, pp.561-52. 214 Ippolito Pindemonte, Gibilterra Salvata, cit., p.20.
215 “In the construction of these floating castles M. d’Arçon exhausted all his ingenuity. There were ten of
them, each armed with fifteen heavy guns, and their structure was as follows: - On the larboard side they were six or seven feet thick, made of green timber, bolted and cased with cork, iron, and raw hides. Inside they were lined with a bed of wet sand, and in case they should nevertheless take fire, currents of water were poured through them by a system of pumps and channels, so that, should any red-hot shot pierce the vessel and open up any one of the ducts, the water would pour forth instantly and extinguish the flames. As an additional protection, each tower was covered with a slanting bomb-proof roof, capable of being raised or lowered at pleasure, by means of machinery, from which, it was calculated, the balls would glide harmlessly into the sea. In fact, the devices for the protection of the besiegers seem to have been more numerous and more skilful than those for the attack of the besieged. We must add that these ponderous floating batteries were masted and rigged, so as to sail like frigates.”, Cfr: Fredrick George Stephens,
Gibraltar and its Sieges. With a Description of its Natural Features, Thomas Nelsons and Sons, London,
65 2. La materia del poema
Il poema si apre con la classica invocazione alla musa e descrivendo in seguito l’operare frenetico degli accampamenti si qualifica subito come una narrazione di argomento bellico. Dopo aver presentato Ercole e la sua richiesta a Giove di poter correre in aiuto agli inglesi, l’autore rievoca i momenti decisivi del conflitto e il salvifico intervento dell’ammiraglio Howe che riuscì a scongiurare un’inevitabile sconfitta. Infine, il poema si conclude con una descrizione dell’Olimpo e dei suoi abitanti che, parteggiando per una fazione o per l’altra “sdegno e letizia al cor ne risentiro”; gli ultimi versi dell’opera sono affidati alla voce della musa Calliope che, esortata a lodare la vittoria di Albione da Mercurio, canta il suo famoso inno all’Inghilterra.216
Pindemonte, come sappiamo, dette alle stampe due versioni della Gibilterra Salvata che differiscono solamente per qualche verso e per l’aggiunta delle pagine relative alla vita del generale Elliot. In questo capitolo è stato trascritto il poema nella sua redazione veneziana del 1783 inserita all’interno della raccolta Versi di Polidete Melpomenio di Bertola, poiché sia la traduzione inglese, sia l’edizione dell’opera posseduta da John Strange, fanno tutte riferimento ad essa. Oltre che al poema, corredato da un’appendice di immagini, è di seguito trascritta anche la dedica a John Strange; invece, non sono riportate le pagine relative alla vita del generale per la cui lettura si rimanda all’edizione veneziana dell’opera.217
Nell’allestimento del testo della Gibilterra Salvata si è optato per una trascrizione conservativa, adattando a criteri moderni unicamente l’uso della punteggiatura e delle maiuscole, inoltre, sono stati mantenuti i commenti originali di Pindemonte a piè di pagina, anch’essi ammodernati nella punteggiatura e nell’uso delle maiuscole.
Lo scopo del commento, riportato in chiusura di capitolo, è quello di fornire al lettore una cronologia dei momenti salienti della battaglia e di chiarire alcune vicende mitologiche evocate nel testo. Nonostante le più evidenti differenze tra le due versioni dell’opera siano quelle riguardanti l’uso della punteggiatura, nella seconda edizione del poema sono presenti anche versi interamente modificati, ad esempio alcuni relativi all’inno di Calliope: mentre quelli dell’ultima ottava dell’edizione veneziana riflettono il tono di un
216 Ippolito Pindemonte, Gibilterra Salvata, cit., p.37.
217 La versione del poema nell’edizione veneziana reperibile online è quella apparsa in Versi di Polidete Melpomenio, raccolta dove non vennero inserite né le pagine relative alla vita di Elliot né la dedica a
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monito, gli stessi versi nella prima versione rimandano, più poeticamente, all’eterna contrapposizione tra arte e natura. Inoltre, per dare la possibilità al lettore di avere uno sguardo completo sull’opera trattata in questa tesi, è stata allestita un’apposita appendice, in cui si dà conto sinotticamente delle maggiori differenze tra le due redazioni della
Gibilterra Salvata.
Di seguito, prima della trascrizione del poema, si fornisce una proposta di segmentazione dell’opera per aiutare il lettore a orientarsi:
vv. 1-106: in questa prima parte del poema vengono trattati gli avvenimenti che vedono
protagonista Calpe, la rocca di Gibilterra. Seguendo le convenzioni del genere epico, l’opera si apre con la protasi invocante la Musa, la quale a sua volta consiglia all’autore di celebrare le gesta di un eroe vivente. A partire dal dodicesimo verso inizia poi la descrizione di Calpe, altura spagnola dello stretto di Gibilterra che, secondo la tradizione, era una delle due colonne d’Ercole insieme ad Abila collocata invece sulle coste africane del Marocco. Dopo aver descritto la frenesia della preparazione alla battaglia che si respira negli accampamenti, l’autore ricorda eventi legati a quella terra, ad esempio la teoria elaborata da Buffon secondo la quale Gibilterra fu divisa da Ceuta a causa di un terremoto. La presentazione della figura del futuro Carlo X è poi seguita dall’inserimento di un richiamo biblico all’Arca e uno mitologico al cavallo di Troia. Sin da questi primi versi spesseggia la presenza di riferimenti alla tradizione classica e alla materia mitologica: si accenna a Delo e al parto di Latona, ma anche ad Achille, alla musa Clio, a Nestore e Adrasto.
vv. 107-190: da questo momento in poi entra in scena Ercole, uno dei maggiori
protagonisti del poema. L’eroe, vedendo ciò che sta succedendo sul suolo di Gibilterra, decide di presentarsi davanti al padre Giove chiedendogli di poter scendere sulla terra per liberare la rocca e il popolo inglese dall’assedio degli alleati. Per convincere il re degli dei, il semidio – chiamato nel poema spesso anche Tirinzio o Alcide – accenna a Calpe e ricorda al padre come questa sia stata il suo luogo prediletto quando cercava ristoro dalle fatiche e che nessuno, come gli inglesi, aveva mai onorato meglio il suo nome. Giove approva la richiesta del figlio, che quindi, spostandosi rapidamente su Abila, si mette a sedere sulla sua vetta per osservare meglio dall’alto l’evolversi degli eventi.
vv. 191-227: si riprende, a partire da questo punto, la descrizione degli accampamenti e
viene presentata per la prima volta, al verso 202, la figura del generale Elliot che da buon comandante vigila e dà ordini.
67 vv. 228-259: questa sezione segna un importante spartiacque nel poema, poiché a partire
dal verso 228 si dà inizio alla descrizione della battaglia finale per la presa di Gibilterra, iniziata la notte del 12 settembre 1782. In questa breve sezione Pindemonte, tramite il
topos del sogno, fa dialogare il generale con il defunto Edward Cornwallis, governatore
della rocca prima di Elliot che, mettendolo in guardia, profetizza gli avvenimenti del giorno seguente.
vv. 260-365: questa porzione di testo si incentra sulla battaglia, descrivendone in parte lo
svolgimento e tratteggiando vividamente la furia dello scontro e l’ardore delle due fazioni. Tra gli avvenimenti tristemente noti di quel giorno, viene riportato ad esempio l’episodio relativo agli incendi che divamparono in molte delle navi degli alleati a causa delle palle di cannone infuocate lanciate dagli inglesi. Inoltre in questi versi si accenna anche a vari elementi naturali quali ad esempio il vulcano islandese Hekla, il nostrano Etna o i fiumi Anasse e Beti, richiami non a caso inseriti dall’autore in un’opera dedicata ad un importante naturalista.
vv. 366-413: in questa sezione viene descritta la condizione in cui si ritrova la baia di
Gibilterra dopo la fine dello scontro. La scena descritta dall’autore che, per sottolinearne la cupezza inserisce metafore attinte dall’immaginario infernale, è stata ricordata anche da chi, presente sul campo, assistette di persona a quello spettacolo, reso più tetro dalla notte scesa sul luogo della battaglia. Come nella sezione precedente anche qui i riferimenti allo scontro sono molti e viene inoltre ricordata la vicenda che vide gli alleati prendere la decisione di dar fuoco alle proprie navi per far sì che queste non cadessero in mano degli inglesi. Infine, Pindemonte ricorda la persona di d’Arçon che, dopo la disfatta, si nascose come un toro che “dal rival sia vinto”.
vv. 414-457: questi versi fanno di nuovo da cornice ad una sezione mitologica i cui
protagonisti sono il principe di Nassau e Nettuno. Dopo aver accennato ai personaggi marini quali Ninfe, Nereidi e fiumi personificati, viene collocato a quest’altezza l’episodio che vede il principe di Nassau cadere in acqua durante la battaglia. Salvato dalle Nereidi e portato al cospetto di Nettuno, egli s’intrattiene con il re dei mari che, venuto a conoscenza degli eventi terrestri e per questo sempre più mosso dal disprezzo verso gli inglesi, “gente sempre aborrita”, chiama in aiuto Eolo per inviare supporto alla fazione alleata dei franco-spagnoli.
vv. 458-500: in questa porzione di testo la voce narrante si distacca dagli avvenimenti
direttamente incentrati sulla battaglia e rivolge lo sguardo a ciò che sta accadendo lontano dallo stretto: non casualmente. Negli stessi giorni dello scontro era partita dall’Inghilterra
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la flotta guidata dall’ammiraglio Howe con a bordo il terzo carico di rifornimenti destinati a Gibilterra. Le provviste, necessarie per la sopravvivenza degli assediati, tardarono però ad arrivare a causa di una forte tempesta che scaraventò le navi della flotta sulle coste irlandesi.
vv. 501-569: Ercole è ancora una volta il protagonista di questi versi. L’eroe, vedendo la
difficoltà in cui versa la sua amata Inghilterra, decide di scendere in campo per aiutarla: emergendo dalla nuvola nella quale si era nascosto si scontra con due dei figli di Eolo, Austro e Borea, i quali, nonostante la loro possanza, perdono lo scontro con l’eroe e inducono gli altri fratelli a scappare cercando riparo.
vv. 570-669: dopo l’intermezzo incentrato sullo scontro di Ercole con gli Euri, il focus
del poema si raccoglie nuovamente intorno alla flotta guidata da Howe. Pindemonte accenna all’evento storico che vide l’ammiraglio veleggiare all’altezza di Lisbona, chiamata nel poema “la città di Ulisse”, intorno al 9 ottobre 1782. La flotta, ormai vicina all’ingresso dello stretto, viene assalita da una tempesta che nel poema, personificata, prende il nome di Uragano. Questi, invano, cerca di ostruire il passaggio all’ammiraglio che alla fine, sotto lo sguardo incredulo degli alleati, riesce a varcare lo stretto e a dirigersi verso la rocca, alla quale porta finalmente i vitali rifornimenti.
vv. 670-696: la flotta guidata da Howe si rimette per mare continuando il viaggio. I
franco-spagnoli preparano le navi e inseguono l’ammiraglio ma, nonostante il fuoco nemico, questi decide di non rispondere e sceglie invece di proseguire verso la madrepatria, non volendo mettere a rischio inutile i suoi uomini, visto che la sua missione è ormai terminata. Qui finisce il racconto della battaglia e la parte storica del poema.
vv. 697-730: dal verso 697 a quello finale, il poema descrive l’epilogo mitologico della
vicenda narrata: Ercole torna ad essere il protagonista e viene descritto il suo ritorno dalla moglie Ebe sull’Olimpo. Qui gli dei, spettatori di quello che era accaduto in terra, conversano sulla guerra, dividendosi tra chi ha parteggiato per la fazione degli alleati e chi per quella inglese. Per accrescere la gloria della vecchia Albione e per far sì che “fatta ne sia memoria in Pindo”, il re degli dei si rivolge al figlio Febo e questi, accennando alla musa Calliope “gran tessitrice di ghirlande eterne”, le ordina di cantare.
vv. 731-826: quest’ultima parte, strutturata in ottave e idealmente affidata alla voce di
Calliope, è la più famosa del poema. La musa elogia l’Inghilterra e la sua vittoria narrando con dei toni profetici il futuro roseo che la aspetta, lodandone le capacità nell’arte bellica e in quella del commercio. In queste ottave si fa anche riferimento alla guerra d’Indipendenza americana e alla perdita, da parte inglese, delle tredici colonie; inoltre la
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musa accenna ad alcune famose scoperte riconducibili ad importanti personalità inglesi: dalla scoperta dell’Australia grazie all’esploratore James Cook, alla rilevazione delle stelle doppie, osservate per la prima volta a Greenwich grazie anche agli studi dell’astronomo Nevil Maskelyne. Gli ultimi quattro versi del poema, come già ricordato, sono stati molto modificati: nell’ultima edizione il carattere è decisamente più prosaico, come se l’autore avesse voluto mettere in guardia sui possibili danni che possono derivare dall’agiatezza:
Felici, e ancor per molta età, se i grati Troppo grati piacer, se il guasto e insano Costume, e di lung’ozio infausta calma Tutto il vigor non vi torrà de l’alma.
mentre, nell’edizione precedente, con toni più poetici, richiama invece alle arti, alla Natura e al Cielo:
L’arti belle ammirar, ma consigliati A l’arti utili più chinar la mano. Quelle pinger Natura, e queste il velo Fanno di torle, e ponno ancor sul Cielo.