La Gibilterra Salvata, titolo che fa riferimento all’eroica difesa che gli inglesi opposero alle truppe degli alleati franco-spagnoli nel 1782, venne pubblicata per la prima volta nello stesso anno e dedicata da Ippolito Pindemonte all’amico John Strange. Il poemetto, in 826 endecasillabi sciolti, certamente non una delle opere più famose dell’autore, viene di solito menzionato molto brevemente nelle biografie e quasi sempre in relazione alla
Fata Morgana, pubblicata nello stesso anno ma scritta precedentemente. Il poema venne
pubblicato in due edizioni che differiscono in maniera anche molto evidente in diverse parti: la prima a Verona nel 1782 e la seconda a Venezia l’anno seguente. La Gibilterra
Salvata, utilizzando l’escamotage della trattazione di un tema bellico, altro non fa che
elogiare le doti dei britannici, esaltare la loro vittoriosa resistenza e la loro superiorità nel dominio del mare, qualificandosi quindi come un’opera chiaramente apologetica dell’Inghilterra stessa. Il poema infatti risulta estremamente interessante da un punto di vista storico, essendo ricco di dettagli che forniscono curiose informazioni sulla battaglia finale, determinante per decretare la fine del quadriennale assedio degli alleati. Il desiderio di glorificare non solo questa particolare vittoria ma in generale la nazione britannica, si riscontra anche nel fatto che nella seconda edizione del poema, oltre alla dedica a Strange, Pindemonte aggiunse anche una sezione di dodici pagine intitolata
Memorie della vita e de’ militari servigj del luogotenente-generale Giorgio Augusto Elliot, relativa alla vita del generale Elliot, importante protagonista della famosa battaglia.
Nonostante l’intento dell’autore fosse quello di celebrare la vita di un importante comandante, dalla lettura del poema la figura di Elliot non risulta poi così centrale come il lettore si aspetterebbe: il poema infatti, punteggiato di molti riferimenti mitologici, vede come soggetto principale l’eroe Ercole per ben più di metà dell’intera opera. Pindemonte definì il suo componimento come una semplice “poesia” mentre il Montanari invece come una “breve epopea”:104 e infatti l’opera, come è stato riconosciuto anche da Alessandro
104 In una lettera spedita da Pindemonte a Strange datata erroneamente in Vaglione 1° ottobre (in realtà è il
1° dicembre), l’autore fa riferimento ad un componimento che definisce “poesia” e che, a mio parere, è proprio la Gibilterra Salvata. Cfr: paragrafo su Strange.
Francesco Vaglione, Dell’amicizia d’Ippolito Pindemonte con un naturalista inglese, in «Rassegna bibliografica della letteratura italiana», 21, 3, 1913, pp.121-126, alla p.125.
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Torri, è ascrivibile al genere epico, dal momento che la presenza di riferimenti mitologici, la protasi contenente l’invocazione alla musa e l’esaltazione dell’eroe sono caratteristiche che armoniosamente inseriscono il testo all’interno di quel genere.105
In quegli anni, considerato il generale interesse verso le vicende d’oltremanica, gli eventi storici relativi alla rocca di Gibilterra dovettero suscitare molta curiosità tra i letterati italiani. Tra le conoscenze di Pindemonte infatti anche l’amica Paolina Grismondi scrisse dei versi relativi alla famosa battaglia tra franco-spagnoli e inglesi e il sonetto, intitolato
Per il Signore Elliot, riuscì anche a mettere in contatto l’autrice con il generale il quale
inviò una lettera di ringraziamento alla Grismondi tramite l’ambasciatore britannico a Livorno.106 La vicenda però più curiosa relativamente ad opere aventi come soggetto lo scontro per la presa della rocca di Gibilterra vide come protagonista il fratello di Ippolito Pindemonte, Giovanni, figura dalla vita travagliata, massone convinto e attivo rivoluzionario. Il maggiore dei due fratelli infatti (Giovanni nacque nel 1751 e Ippolito due anni dopo) scrisse nel 1782 un sonetto, nuovamente celebrando la figura del generale Elliot. 107 L’interesse scaturito da questo componimento risulta in primis dal suo anno di pubblicazione: è lo stesso in cui il più famoso fratello dette alle stampe il poema epico che, si ricorda, venne pubblicato a dicembre. Inoltre, fatto ancora più curioso, anche il componimento di Giovanni Pindemonte aveva il titolo Gibilterra Salvata. Purtroppo, informazioni relative a questo sonetto non ci sono pervenute ma verosimilmente si può supporre che la sua pubblicazione sia stata antecedente a quella del poema di Ippolito, data la tarda pubblicazione di quest’ultimo: se così fosse non si potrebbe escludere che dietro l’origine del poema su Gibilterra ci sia da ritrovare il sonetto del fratello Giovanni.108
105 Alessandro Torri, Le poesie originali di Ippolito Pindemonte, Edizione Barbera Bianchi e Comp.,
Firenze, 1858, p.450.
106 Arturo Graf, L’Anglomania e l’influsso inglese in Italia nel secolo XVIII, cit., p.153.
Paolina Secco-Suardo Grismondi, Poesie della contessa Paolina Secco-Suardo Grismondi. Tra le
pastorelle arcadi Lesbia Cidonia, Dalla Stamperia Mazzoleni, Bergamo, 1822, p.213.
Il sonetto della Grismondi è trascritto in appendice (b).
107 Arturo Graf, L’Anglomania e l’influsso inglese in Italia nel secolo XVIII, cit., p.153.
Ricordiamo inoltre che anche Giovanni Pindemonte fu un massone e sappiamo con certezza della sua aderenza all’associazione grazie ai documenti che ci sono pervenuti. Il fratello di Ippolito era probabilmente affiliato in un primo momento ad una loggia veronese di cui non si conosce il nome ma di cui siamo certi dell’esistenza poiché apparse nei Masonic Records in data 28 novembre 1772, con il numero 439. Inoltre, è presumibile che gli affiliati della loggia potessero lavorare solamente all’interno dei primi tre gradi, per questo motivo infatti si pensa che Giovanni Pindemonte entrò in seguito a far parte della loggia di Cremona S. Paolo Celeste, Cfr: Renata Targhetta, La massoneria veneta dalle origini alla chiusura delle logge (1729-
1785), cit., p.63.
Il sonetto di Giovanni Pindemonte è trascritto in appendice (c).
108 Nella medesima raccolta nella quale si trova la Gibilterra Salvata di Giovanni Pindemonte, è anche
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Come brevemente accennato, la Gibilterra Salvata non raggiunse la stessa fama di altre opere pindemontiane e questo si evince chiaramente dai molti rilievi critici poco lusinghieri che le vennero mossi:
Gibilterra Salvata […] insieme con qualche volgarizzamento di Catullo di quel tempo circa, costituisce una seconda maniera di scrivere, e non migliore, del cavalier Pindemonte. […] Di essa Girolamo Pompei dicea contristato a Silvia Verza: Ah! Lo stile d’Ippolito non è più oro, è argento: e Luigi Cerretti scriveva all’autore: Sapete ch’io non sono uso ad adularvi, sapete con quanta libertà vi parlai rispetto alla Gibilterra. Soverchio studio vi scorgi, durezza di verso, frasi quando contorte ed astruse, quando strane e ricercate, o di stile troppo grecesco, o latino. […]. Celebra con questa breve epopea gl’Inglesi […], e si giova de’ vecchi numi, come gli venne a’ giorni nostri non a torto rimproverato da un giornale letterario, che l’uso di tali numi acconsente a que’ moderni poeti, i quali cantano azioni di tempi pagani, come al Botta e al Biamonti, che un poema intrapresero sopra Camillo.109
E il Torri ricorda:
Piacque e fu lodato assai da tutti [la Fata Morgana]; ma non così avvenne dell’altro posteriormente dettato, quantunque messo a luce nel tempo stesso, col titolo di Gibilterra Salvata, […] vi appariva aumento di sapere e di criterio, ma alterazione di stile e gusto, che della poetica sono vita e salute.110
In effetti nell’opera certi versi risultano esageratamente involuti e oscuri, andando così a smascherare una ricerca forzata di stile che toglie inevitabilmente armoniosità all’opera. La Gibilterra Salvata non ebbe, anche per questo, molta fortuna e infatti, anche se modificata dall’autore in una seconda redazione, finì comunque per essere da lui stesso rifiutata.111 Dopo le edizioni del 1782 e 1783, il poema venne inserito interamente, nella sua ultima versione, nella raccolta dei Versi di Polidete Melpomenio curata dal Bertola, comprendente tutte le maggiori opere del Cavaliere pubblicate fino a quel momento e data alle stampe i primi mesi del 1784. Nonostante anni più tardi, nel 1792, si faccia ancora riferimento al poema pindemontiano nella raccolta intitolata Novelle di Polidete
scritto dal fratello maggiore, di cui abbiamo certezza grazie ai manoscritti della biblioteca di Verona, Cfr: Giovanni Pindemonte, Poesie e Lettere di Giovanni Pindemonte, in Giuseppe Biadego (a cura di), «Biblioteca di scrittori Italiani», Zanichelli, Bologna, 1883, p.162.
109 Benassù Montanari, Della vita e delle opere d’Ippolito Pindemonte, cit., p.50. 110 Alessandro Torri, Le poesie originali di Ippolito Pindemonte, cit., p.17.
111 In una lettera inviata da Pindemonte all’amica Paolina Grismondi il 5 aprile 1784, così scriveva: “Ecco
il libretto di poesie, di cui vi mando quattro esemplari, onde ne possiate far parte ai dotti amici vostri. Troverete cambiata in grandissima parte l’epistola a voi diretta, e spero che non in peggio. Infine e di questa e del resto ditemi il parer vostro, e quello de’ vostri amici con tutta sincerità. Anche nella Fata Morgana e nella Gibilterra Salvata ho fatto assai cambiamenti.”. Cfr: Giovanni Labus, Lettere di illustri letterati scritte
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Melpomenio e di Lirnesso Venosio, nemmeno una parte del poema vi viene riportata.112
L’opera invece, nella sua versione del 1782, venne ripubblicata più di una volta a Napoli: nel 1851 nella raccolta Opere di Ippolito Pindemonte e di nuovo nel 1854 in una raccolta con lo stesso titolo pubblicata presso la medesima stamperia.113