Questa particolare tipologia di neve si presenta con dei grani rotondi, con diametro superiore a 1 mm.
Nel caso in cui la neve umida raggiunga il punto di saturazione d’acqua, essa potrebbe perdere la sua coesione e si comporterebbe come un liquido denso. Questo fenomeno genera le valanghe primaverili.
Nella notte invece, il manto nevoso, a contatto con l’aria fredda si raffredda, cosicché l’acqua presente gela creando dei ponti di ghiaccio che rendono i grani saldi tra di loro. Infatti, durante la notte il manto nevoso si presenta molto duro e stabile.
Il metamorfismo da fusione, caratteristico della neve umida, è la causa della totale scomparsa del manto nevoso, mettendo fine al “ciclo vitale” del cristallo di neve, che una volta toccato il suolo diventa grano per poi trasformarsi in acqua.
I fattori che possono influenzare il metamorfismo possono essere:
Forma: a seconda che si tratti di cristalli di neve dendritici o di neve pallottolare, la forma influenza molto la resistenza nel subire trasformazione. Nel primo caso si avranno trasformazioni veloci in quanto la superficie specifica del cristallo è alta (foto sx) mentre nel secondo caso si ha una struttura relativamente stabile per cui la trasformazione è più lenta (foto dx)
Sovraccarichi: sia naturali che artificiali, come ad esempio la caduta di neve fresca, la rottura di cornicioni di neve nel primo caso, mentre nel caso di sovraccarichi artificiali l’azione viene causata dal passaggio dei gatti battipista o dagli sciatori.
Temperatura: al variare della temperatura con valori intorno a 0°C, la conformazione dei grani cambia rapidamente. In prossimità di 0°C l’arrotondamento dei grani avviene molto rapidamente.
Vento: abbiamo visto che l’azione del vento può interagire sia durante la discesa al suolo del fiocco, che una volta depositato. L’azione meccanica delle turbolenze provoca la sublimazione di una parte dei cristalli e la collisione tra di essi Le sollecitazioni meccaniche che agiscono sulle parti più fragili dei cristalli (dendriti) che non resistono ad esse e si spezzano. Maggiore sarà la forza del vento e maggiore è il numero di collisioni tra cristalli, riducendoli in finissime particelle di ghiaccio.
Classificazione dei cristalli
Il sistema di classificazione dei cristalli di neve più avanzato è quello adottato dall’IACS1, International Association of Cryospheric Sciences, che considera la morfologia dei grani di neve dopo che essi sono depositati al suolo. Questa classificazione prevede nove classi morfologiche, più un ulteriore classe relativa ai depositi in superficie e croste, che è stata ridistribuita sulle altre classi. Tale classificazione è stata poi ulteriorrmente suddivisa in sottoclassi. Alcune di queste classi, come i grani arrotondati, i grani sfaccettati, la brina superficiale, le abbiamo già trovate nel capitolo precedente che illustra i metamorfismi della neve.
1
IACS, Classificazione internazionale della neve stagionale al suolo, pp.13 e 23 https://docplayer.it/16193720-Classificazione-internazionale-della-ne- ve-stagionale-al-suolo-a-cura-del-gruppo-di-lavoro-per-la-classificazio-ne-della-neve-icsi-uccs-iacs.html
2.5
Fotografie di Alexey Kljatov
Particelle di precipitazione Neve artificiale
Particelle di precipitazione decomposte e frmmentate Grani arrotondati
Cristalli sfaccettati Brina di profondità Brina di superficie Forme fuse
Formazionidi ghiaccio
PP MM DF RG CF GH SH MF IF
Descrizione Simbolo Codice
La neve naturale è riconducibile alla classe “particelle di precipitazione” in cui vengono riportati cinque tipi di cristalli di neve facilmente identificabili e un gruppo di cristalli irregolari.
Inoltre, in questo sottogruppo, sono presenti altre due classi che sono la grandine e le sferette di ghiaccio (vedi allegato A).
Nella classificazione dei cristalli di neve occorre prestare estrema attenzione al momento esatto dell’individuazione della forma predominante dei cristalli presi in esame.
La dimensione dei cristalli di neve viene stabilita sul campo mediante la misurazione del diametro maggiore (estensione) del cristallo medio.2
2
Luisa CUNICO, Sistemi di innevamento artificiale: progettazio-ne e parametri di funzionamento, Diploma universitario in Metodologie
fisiche, Facoltà di scienze, Università di Trento, A.a 1998/1999, p.30
Le principali forme dei grani di neve nonché le più riconoscibili sono:
Neve pallottolare, è la forma di neve conosciuta da tutti ed è costituita da cristalli di neve tondeggianti che si sono formati all’interno di masse nuvolose turbolente. La loro forma è dovuta a fenomeni di brinata avvenuti a contatto con goccioline di acqua soprafusa.
Se il fenomeno dura molto, il cristallo assume l’aspetto di un fiore di mimosa color bianco.
Questa neve pallottolare può costituire un piano di slittamento che è all’origine delle valanghe.
Sferette di ghiaccio, nascono come precipitazione piovosa che, poco prima di arrivare al suolo, attraversano una massa d’aria al di sotto dello zero termico e si congelano trasformandosi appunto in sferette di ghiaccio trasparenti.
Può essere assimilata come grandine di piccole dimensioni, diametro < a 5mm.
Grandine, è una precipitazione tipicamente estiva che si sviluppa all’interno dei cumuli-nembi (nubi di tempesta) al cui interno sono presenti forti correnti ascensionali.
Queste correnti trasportano le goccioline d’acqua verso l’alto dove si trasformano in ghiaccio ed entrano in contatto con altre gocce ghiacciate, accrescendosi.
Quando la corrente non sarà più in grado di sostenere il chicco di grandine, esso cadrà al suolo.
Il diametro di un chicco di grandine può raggiungere i 5 cm Brina superficiale, a differenza degli altri cristalli che si formano nell’atmosfera, la brina si forma al suolo durante le notti fredde e in assenza di vento. Il vapore acqueo contenuto nell’aria sublima, la cristalizzazione avviene sottoforma di aghi o di foglie, a contatto con lo strato superficiale della neve che è più fredda dell’aria circostante.
Al sole, la brina scintilla.
In caso ci fossero dei limi rossi nella nube si potrebbe assistere ad una pioggia rossastra (pioggia di sangue) o giallastra (pioggia di zolfo). Le cosiddette piogge di sangue sono frequenti nelle savane tropicali ma sono fenomeni che si sono verificati anche in Sicilia e a Malta e risultano essere molto frequenti negli Stati Uniti.
Se invece, il materiale in sospensione è dovuto a polveri finissime derivanti da eruzioni vulcaniche si hanno le piogge di cenere (o vulcaniche).
I fenomeni di precipitazioni colorate a carattere nevoso sono più rari rispetto agli eventi caratterizzati da piogge colorate.
Nel 2002 a Passo Pordoi (BL) si è verificata una nevicata colorata dovuta alla presenza di sabbia proveniente dall’Algeria.
Con questo termine si intendono tutte le precipitazioni, sia di carattere piovoso che nevoso, colorate ovvero che assumono colorazioni particolari dovute alla presenza di sostanze anomale.
Questi fenomeni si verificano perché le precipitazioni sono determinate dalle condizioni di temperatura e umidità, dai venti e dalle correnti presenti durante l’evento piovoso o la nevicata. 3 Le più diffuse sono quelle contenenti sabbia (solitamente di origine sahariana) e polveri.
Questo particolare fenomeno non è per nulla raro ma, essendo di brevissima durata e con minimi quantitativi di polveri coinvolte, spesso passa del tutto inosservato.
Ogni anno in Italia arrivano dalle 100 alle 200 tonnellate di polvere e sabbia fine con diametro inferiore a 0,02 mm proveniente dal deserto del Sahara, che vengono trasportate dal vento, e di conseguenza immessi in atmosfera.4 Nel 1990 le sabbie hanno raggiunto la Svezia e si sono mescolate con la neve.
3
Scuola Silvio SAGLIO, Conoscere la neve, CAI SEM, corso di scialpinismo base, 2019 http://www.caisem.org/public/Didattica/SCIALPINISMO/neve-valanghe1.
4