• Non ci sono risultati.

Sui fattori patologici influenzanti la spesa e su come (provare a) debellarli: la normativa contro la corruzione.

salvaguardando i livelli essenziali delle prestazioni: una sfida (ancora) possibile?

6. Sui fattori patologici influenzanti la spesa e su come (provare a) debellarli: la normativa contro la corruzione.

In un settore come quello sanitario, caratterizzato da un “inestricabile mix di complessità,

incertezze, distorsione delle informazioni scientifiche, qualità poco misurabile, conflitti di interesse, corruzione, estrema variabilità delle decisioni cliniche, manageriali e politiche”, si è (purtroppo) agevolmente

radicata, negli anni, una rete di azioni, comportamenti od omissioni che, all’interno delle Pubbliche Amministrazioni, hanno esposto ingenti quantità di risorse economiche a “condizionamenti impropri, […] sottraendo risorse preziose al SSN” (169).

Il fenomeno corruttivo è a tal punto diffuso e inabissato nelle pieghe dell’azione amministrativa, che risulta difficile darne una realistica valutazione di stima. Essendo costituito da uno “scambio occulto” – così definito da autorevole dottrina – “mediante il quale corrotto e

corruttore si appropriano congiuntamente (e nascostamente) di risorse appartenenti alla collettività” (170),

nessuno dei partecipanti ha ovviamente alcun interesse a denunciarlo. Peraltro, ciò che ha reso il fenomeno ancor più grave, difficilmente smascherabile e, dunque, altrettanto difficilmente comprimibile, è stato l’avere modellato nel tempo “informali regole di condotta” (171) che hanno

spesso trovato una sponda ideale nella discrezionalità amministrativa, grazie alla quale, per definizione, le decisioni, le attribuzioni di vantaggi selettivi e, dunque, lo spostamento di risorse pubbliche in una direzione piuttosto che in un’altra, non sono sottoponibili a regole rigide di controllo e di verifica, contribuendo a lasciare l’evento corruttivo nell’ombra (172).

Tali risultati in termini di occulto condizionamento dello spostamento di risorse

169 FONDAZIONE GIMBE, Rapporto sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale 2016-2025, 7 giugno 2016, pubblicato su “www.rapportogimbe.it”.

170 VANNUCCI A., La corruzione in Italia: cause, dimensioni, effetti, in MATTARELLA B.G.PELISSERO M.(a cura di),La

legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Giappichelli Ed., Torino, 2013, p. 28.

171Ibidem.

172 VANNUCCI A.,Il lato oscuro della discrezionalità. Appalti, Rendite e Corruzione, in COMPORTI G.D.(a cura di), Le gare

pubbliche: il futuro di un modello, Esi, Napoli, 2011, pp. 265 e ss.. Per uno studio sulla correlazione tra corruzione e

fattori che, nel tempo, ne hanno contribuito la diffusione all’interno della Pubblica Amministrazione, si v. LAMBSDORFF J.,Institutional economics of corruption and reform, Cambridge University Press, Cambridge, 2007.

117

pubbliche vengono ulteriormente amplificati laddove ai fattori sopra esaminati si aggiunga l’operare, da parte di chi quelle risorse governa e decide se e come spendere ed a chi attribuire, in conflitto di interessi. Più la normativa, rispetto a tale ultimo fenomeno, è permissiva, più viene alimentata l’invisibilità della corruzione, atteso che, in caso di conflitto di interessi, corrotto e corruttore convivono nella medesima persona, la quale è allo stesso tempo funzionario (pubblico) e portare di (propri) interessi privati.

Alla luce di tutto quanto sopra il peso della corruzione sui bilanci pubblici italiani, pur come detto difficilmente stimabile con realistica precisione, è stato quantificato all’incirca in 50-60 miliari di Euro all’anno, ciò che – come definito dal Procuratore Generale della Corte dei Conti – rappresenta “una vera e propria tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle

tasche dei cittadini” (173).

In Italia, fino a tutto il primo decennio del XXI secolo il contrasto alla corruzione è avvenuto soprattutto mediante l’esercizio dell’azione penale da parte della magistratura, essendo il nostro ordinamento sostanzialmente privo di strumenti idonei a creare “anticorpi

interni” (174), tanto al sistema politico quanto a quello amministrativo.

La prima normativa volta ad affrontare in maniera organica e complessiva la suddetta problematica – divenuta ormai endemica – della Pubblica Amministrazione in generale e, per quanto in questa sede più interessa, del Servizio Sanitario Nazionale e della spesa sanitaria pubblica ad esso correlata, in particolare, è stata la l. 6 novembre 2012, n. 190, recante “[d]isposizioni per la prevenzione e per la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica

amministrazione”.

L’obiettivo della l. n. 190/2012 è stato quello di creare un sistema non solo di sanzioni, ma anche di prevenzione del fenomeno corruttivo, che in àmbito amministrativo ha una nozione più estesa di quella strettamente penalistica. La normativa de qua, in altri termini, ha mirato a prevenire e reprimere (anche) condotte, azioni ed omissioni che, pur non penalmente rilevanti, sono comunque (o rischiano di essere) causa di illegittimità o di cattivo esercizio del

173 Si v. il Giudizio sul rendiconto generale dello Stato 2008, memoria del Procuratore Generale della Corte dei Conti, Roma (25 giugno 2009), p. 237.

174 CLARICH M.MATTARELLA B.G.,La prevenzione della corruzione, in MATTARELLA B.G.PELISSERO M.(a cura di),La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Giappichelli Ed., Torino, 2013, p. 60.

118

potere amministrativo, e conseguentemente di spreco di risorse pubbliche (175).

La legge ha anzitutto istituito, all’art. 1 comma 1, un’Autorità – l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) – specificamente dedicata a “svolgere, con modalità tali da assicurare azione

coordinata, attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione” (176). Tra le funzioni di ANAC, specificamente elencate al comma 2 dell’art. 1 l.

n. 190/2012, è significativo menzionare l’approvazione del “Piano Nazionale Anticorruzione” di cui al successivo comma 2-bis. Tale piano, di durata triennale, costituisce “atto di indirizzo” per tutte le Pubbliche Amministrazioni elencate all’art. 1 comma 2 d.lgs. n. 165/2001 (ivi comprese, dunque, le Amministrazioni sanitarie), “ai fini dell'adozione dei propri piani triennali di

prevenzione della corruzione”. Oltre ad indirizzare l’azione delle PP.AA. nell’adozione dei propri

specifici piani triennali anticorruzione, il Piano Nazionale approvato dall’ANAC (177) individua

altresì, esso stesso, “anche in relazione alla dimensione e ai diversi settori di attività degli enti, […] i

principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e contiene l'indicazione di obiettivi, tempi e modalità di adozione e attuazione delle misure di contrasto alla corruzione”. In altri termini, la funzione dell’ANAC

non è limitata ad un mero potere di vigilanza e controllo sul Piano nazionale la cui concreta attuazione, peraltro, sia poi rimessa alla discrezionalità delle singole Amministrazioni centrali e decentrate, ma si manifesta anche attraverso l’esercizio, nei confronti di queste ultime, di un vero e proprio potere autoritativo, imponendo loro “misure di contrasto alla corruzione” da adottare per prevenire e reprimere i rischi principali individuati dalla stessa Autorità. È quest’ultima, peraltro, che successivamente all’individuazione delle suddette misure da porre in essere, è deputata al controllo dell’effettiva attuazione delle medesime da parte delle Amministrazioni.

A fronte di tali previsioni di carattere generale, i risvolti concreti delle misure anticorruzione contenute nella l. n. 190/2012 in àmbito sanitario, sono suddivisibili in due

175Idem, p. 61. Gli Autori, in particolare, rilevano come la legge anticorruzione del 2012 denoti la presa d’atto di quanto i fatti corruttivi “non costituiscono solo singoli fatti criminosi né solo fallimenti settoriali […]: essi derivano spesso da

tendenze comuni e disfunzioni frequenti, che richiedono interventi di carattere generale”. Si v. anche PALAZZO F.,Corruzione pubblica. Repressione penale e prevenzione amministrativa, Firenze University Press, Firenze, 2011.

176 L’ANAC rappresenta lo sviluppo e l’implementazione della Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT), istituita ad opera dell’art. 13 d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in attuazione dell'articolo 4, comma 2, lett. f) l. 4 marzo 2009, n. 15.

177 L’elaborazione del Piano nazionale anticorruzione è, in realtà, compito del Dipartimento della funzione pubblica. Ad ANAC spetta la successiva approvazione.

119

gruppi: il primo attiene alla predisposizione, a livello di singola struttura sanitaria, dei piani triennali di prevenzione e repressione dei fenomeni corruttivi; il secondo, invece, riguarda più specificamente la disciplina dei conferimenti degli incarichi apicali comportanti la direzione e la gestione delle Aziende sanitarie e delle strutture (le cc.dd. unità operative) in cui esse sono ripartite.

6.1. (Segue:) Pianificare per prevenire e per reprimere: i piani triennali anticorruzione.

Il primo e principale strumento che per le Aziende sanitarie, così come per tutte le altre Amministrazioni pubbliche, è stato individuato dalla l. n. 190/2012 per tentare di sradicare (o quantomeno di ridurre) il fenomeno corruttivo dalle Amministrazioni, impedendo che esso influenzi l’esercizio dell’azione amministrativa, è stato quello della pianificazione a fini di prevenzione: prevedere, cioè, per ogni singola fase dell’agere amministrativo, dove si annidino i rischi corruttivi, più o meno evidenti, e conseguentemente disciplinare quella specifica fase in modo tale da porre in essere tutti gli strumenti più idonei ad evitarli.

La necessità di prevenire, oltreché di reprimere, le distorsioni derivanti dalla

maladmistration, deriva dalla già accennata più ampia nozione, in àmbito amministrativistico

rispetto a quello penalistico, di corruzione e di fenomeni corruttivi (178), con la conseguenza

che un sistema amministrativo in grado di contrastare efficacemente i detti fenomeni al suo interno, indipendentemente dalla penalistica rilevanza o meno degli stessi, presuppone non solo e non tanto azioni sanzionatorie successive di per sé insufficienti (179), ma, “a monte”,

programmazioni e pianificazioni tali da prevenire i suddetti fenomeni ed il disvalore che gli stessi arrecano all’azione amministrativa, al perseguimento dell’interesse pubblico ed all’impiego delle – pubbliche – risorse.

Orbene, all’interno della procedura di pianificazione delineata nel 2012, un ruolo essenziale è ricoperto dal “Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza”, che ai

178 Tale connotazione “estesa” di corruzione, in considerazione dei risvolti negativi che essa può comportare sul versante amministrativistico indipendentemente dalla rilevanza penale della condotta posta in essere, è risalente in dottrina: si v.FORTI G.,La corruzione del pubblico amministratore. Linee di un’indagine interdisciplinare, Giuffrè, Milano,

1992. Per un’analisi più generale della tematica della corruzione e delle conseguenze che essa può comportare in àmbito amministrativo, si v. MERLONI F.–VANDELLI L.(a cura di), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e

rimedi, Passigli, Firenze, 2010.

120

sensi dell’art. 1 comma 7 l. n. 190/2012 è nominato, dall’organo di indirizzo dell’Amministrazione, “tra i dirigenti di ruolo in servizio” garantendogli/le “funzioni e poteri idonei per

lo svolgimento dell’incarico con piena autonomia ed effettività”. Compito del Responsabile della

prevenzione della corruzione e della trasparenza è quello di segnalare all’organo di indirizzo – vale a dire il Direttore Generale, all’interno delle Aziende sanitarie – tutte “le disfunzioni inerenti

all'attuazione delle misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza e indica agli uffici competenti all'esercizio dell'azione disciplinare i nominativi dei dipendenti che non hanno attuato correttamente le misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza”. La norma in esame ha inoltre,

correttamente, previsto specifiche garanzie per la figura in esame, la quale, proprio in virtù del particolare ruolo di vigilanza e controllo, ed anche d’impulso dell’azione disciplinare nei confronti degli altri dipendenti aziendali, necessita di tutele pregnanti e concrete (180).

Scendendo ora nel dettaglio della pianificazione (181), è proprio al Responsabile aziendale

per la prevenzione della corruzione e della trasparenza che spetta, ai sensi del successivo comma 8, la materiale predisposizione del Piano triennale di prevenzione, previa definizione degli “obiettivi strategici” – indicazione, quest’ultima, invero piuttosto generica – da parte del Direttore Generale dell’Azienda sanitaria. Una volta predisposto, il Piano viene proposto dal Responsabile per la prevenzione al Direttore Generale, a cui compete la formale adozione e la successiva trasmissione del medesimo all’ANAC.

Quanto ai contenuti, il Piano triennale di prevenzione, oltre a conformarsi alle

180 In particolare, l’ultimo periodo del comma 7 dell’art. 1 l. n. 190/2012, come modificato dal successivo d.lgs. n. 39/2013, dispone che “[e]ventuali misure discriminatorie, dirette o indirette, nei confronti del Responsabile della prevenzione

della corruzione e della trasparenza per motivi collegati, direttamente o indirettamente, allo svolgimento delle sue funzioni devono essere segnalate all'Autorità nazionale anticorruzione, che può chiedere informazioni all'organo di indirizzo e intervenire nelle forme di cui al comma 3, articolo 15, decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39” (ai sensi di tale ultima norma, in tutti i casi di

revoca dell’incarico dirigenziale o di direzione al soggetto nominato Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza, l’ANAC (che di tali revoche dev’essere sempre informata), può intervenire “formula[ndo] una richiesta di riesame qualora rilevi che la revoca sia correlata alle attività svolte dal responsabile in materia di

prevenzione della corruzione”).

181 Si consideri che, in realtà, una prima forma di pianificazione anti-corruttiva era stata prevista dal d.lgs. n. 150/2009, ai sensi del quale ogni Amministrazione avrebbe dovuto adottare un “Programma triennale per la

trasparenza e l’integrità”. Sono tuttavia molteplici le differenze tra quest’ultimo strumento ed il Piano triennale per la

prevenzione istituito dalla l. n. 190/2012: anzitutto, nel “Programma” vi è un’inscindibile connessione tra trasparenza e contrasto alla corruzione (le quali devono essere strettamente interconnesse a livello di pianificazione), mentre nel “Piano” la tutela della trasparenza, pur tutelare, non è direttamente connessa alle misure di contrasto alla corruzione; ed ancora, la normativa del 2012, a differenza di quella del 2009, ha previsto due piani di programmazione, uno nazionale (il Piano Nazionale Anticorruzione) ed uno a livello di singola Amministrazione (il Piano triennale). Il contenuto di quest’ultimo, peraltro, è più specifico e meno ampio di quello del “Programma” di cui al d.lgs. n. 150/2009.

121

indicazioni di carattere generale contenute nel Piano Nazionale Anticorruzione, deve anzitutto individuare, ai sensi dell’art. 1 comma 5 lett. a) l. n. 190/2012, i procedimenti e le attività che comportano maggiori rischi di corruttela e, al loro interno, quali siano le fasi procedurali più critiche ed esposte a subire illegittimi condizionamenti. A tal fine, quelle elencate all’art. 1 comma 16 l. n. 190/2012 (182), pur non costituendo ipotesi esaustive e tassative (ciò che, a ben

vedere, si rivelerebbe limitativo e dunque controproducente, considerate le finalità della normativa in esame), rappresentano attività da annoverare comunque, all’interno dei Piani triennali, tra quelle vulnerabili e rischiose.

La principale nota critica che può essere sollevata alla norma, appena esaminata, è la carenza di specificità e precisione nell’indicare – già essa – anche settori ed attività che storicamente sono estremamente esposti a fenomeni corruttivi: la sanità è uno di questi. In altri termini, si ritiene che il legislatore del 2012 avrebbe potuto meglio indirizzare (e maggiormente vincolare) le singole Amministrazioni su quali specifiche procedure contemplare nei propri piani: per fare un esempio, i rischi corruttivi in ambito sanitario sono tutt’altro che limitati agli appalti e ai concorsi (questi sono due dei settori espressamente individuati dalla l. n. 190/2012); pertanto, lasciare alle singole Amministrazioni sanitarie l’onere (e la discrezionalità) di indicarli in autonomia, è già di per sé, a sua volta, un rischio (che il legislatore avrebbe potuto evitare in radice) di predisposizione di Piani incompleti e/o inefficaci.

Si è trattato insomma, da questo punto di vista, di un’occasione mancata per quanto riguarda il settore della sanità, e ciò è tanto più grave perché il Piano triennale di prevenzione della corruzione è stato pensato e normato per rappresentare uno strumento programmatorio

182 Si tratta, in particolare, dei procedimenti amministrativi aventi ad oggetto: “a) autorizzazione o concessione; b) scelta

del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163; c) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati; d) concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all'articolo 24 del citato decreto legislativo n.150 del 2009”. Autorevole dottrina ha rilevato come le attività elencate dalla norma de qua costituiscano la storica tripartizione corruttiva esplicata, negli anni Novanta del secolo scorso, da un Comitato

istituito ad hoc in seno alla Camera dei Deputati per lo studio del fenomeno. Tale tripartizione, in particolare, è rappresentata dalla (i) “spesa dell’amministrazione pubblica per beni e servizi offerti da privati (spesa degli enti pubblici, attività

contrattuale per opere e forniture, compravendita di immobili, assegnazione di incarichi esterni”; (ii) “le prestazioni e i servizi offerti dall’amministrazione (distribuzione di prestazioni, risorse e servizi ai privati)”; (iii) “esercizio di poteri amministrativi autoritativi (generica imposizione di costi ai privati)” (DI CRISTINA F.,I piani per la prevenzione della corruzione, in MATTARELLA B.G.– PELISSERO M.(a cura di),La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Giappichelli Ed., Torino, 2013, p. 99).

122

effettivamente concreto e non limitato a generiche, astratte indicazioni d’intenti e di principio. Esso infatti, come più volte rimarcato dalla stessa ANAC, “in quanto atto programmatorio, non

costituisce un insieme astratto di previsioni e misure, ma tende alla loro concreta attuazione in modo coordinato rispetto al contenuto di tutti gli altri strumenti di programmazione presenti nell’amministrazione […]. Si tratta, in sintesi, di uno strumento dinamico, che si evolve con l’evolversi della struttura amministrativa cui pertiene, in relazione al progredire della strategia di prevenzione” (183).

La l. n. 190/2012 ha inoltre omesso di precisare non solo come “valutare” i rischi connessi ad una determinata procedura amministrativa, ma anche come prevedere strumenti di controllo all’interno delle varie fasi della procedura stessa, laddove differenti tra loro in termini di sensibilità e vulnerabilità corruttiva. Anche tale determinazione, infatti, è stata lasciata dal legislatore all’autonomia dei singoli Responsabili per la prevenzione della corruzione e della trasparenza. Una scelta, quest’ultima, che pare confermare, invero, una certa contraddittorietà tra, da un lato, l’intento legislativo di prevedere una pianificazione “top-down”, fortemente improntata a livello centrale, e, dall’altro, il contenuto concreto delle disposizioni che, poi, nella detta normativa sono state inserite.

Superato il momento di individuazione dei rischi, il Piano triennale deve indicare altresì le modalità e i meccanismi di “formazione, attuazione e controllo” delle decisioni, idonei a prevenire i suddetti rischi (art. 5 comma 1 lett. b) l. n. 190/2012), nonché le modalità attraverso le quali il Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza debba essere tenuto costantemente informato sullo svolgimento delle attività più rischiose (art. 1 comma 5 lett. c) l. n. 190/2012).

In aggiunta alla proposta del Piano di prevenzione all’“organo di indirizzo”, nel medesimo termine (il 31 gennaio di ogni anno) il Responsabile aziendale per la prevenzione della corruzione e della trasparenza deve anche “defini[re] procedure appropriate per selezionare e formare

[…] i dipendenti destinati ad operare in settori particolarmente esposti alla corruzione”, tenendo presente

che, come precisato dalla stessa norma, ai suddetti settori devono essere destinati, ove possibile, dipendenti che abbiano ricevuto, secondo le modalità individuate dal successivo

183 Comunicato del Presidente dell’ANAC recante “[o]bbligo di adozione del Piano triennale per la prevenzione della

123

comma 11 (184), una specifica formazione in tema di contrasto alla corruzione.

Accanto, dunque, alla pianificazione in sé e per sé considerata, il legislatore del 2012 ha previsto come ulteriore strumento di prevenzione l’assegnazione dei ruoli più “sensibili”, da un punto di vista potenzialmente corruttivo, a dipendenti selezionati ad hoc poiché ad hoc formati per ricoprire quei ruoli. E non solo: la normativa anticorruzione in esame ha altresì previsto che, comunque, nella copertura dei suddetti ruoli dovesse esservi una turnazione (185),

al fine di evitare ogni forma di identificazione del ruolo con il singolo dipendente che vi fosse assegnato. Ciò in considerazione del fatto che la copertura di uno stesso posto da parte della stessa persona per lungo tempo rende di per sé più semplice tentare di “avvicinarla”, di stringere rapporti che superino quello meramente istituzionale.

Tornando alla pianificazione delle misure di contrasto alla corruzione, una volta approvato il Piano triennale da parte del Direttore Generale, al Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza sono affidati anche, dal comma 10 dell’art. 1 l. n. 190/2012, i compiti di verifica “dell’efficace attuazione del piano e della sua idoneità”, oltre a proporne tempestivamente tutte le modifiche necessarie (186).

Estremamente severe sono state le sanzioni che, sia in caso di condanna per corruzione sia in caso di violazioni (non dichiarate agli uffici aziendali) delle prescrizioni contenute nel Piano per la prevenzione da parte dei dipendenti dell’Amministrazione, sono state previste a carico del Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza, il quale si trova a dover rispondere cumulativamente, ai sensi dei commi 12 e 14 dell’art. 1 l. n. 190/2012, di responsabilità dirigenziale ex art. 21 d.lgs. n. 165/2001, responsabilità disciplinare (187) oltreché

184 In particolare, l’art. 1 comma 11 l. n. 190/2012 prevede che la Scuola superiore della pubblica amministrazione, “[c]on cadenza periodica e d'intesa con le amministrazioni, provvede alla formazione dei dipendenti pubblici

chiamati ad operare nei settori in cui è più elevato, sulla base dei piani adottati dalle singole amministrazioni, il rischio che siano commessi reati di corruzione”. Ai sensi del comma 10 lett. c) dell’art. 1 l. n. 190/2012 è lo stesso Responsabile per la

prevenzione della corruzione e della trasparenza a dover individuare il personale da inserire negli specifici programmi di formazione dell’art. 1 comma 11 sopra citato.

185 Tra i compiti assegnati al Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza vi è proprio, ai sensi dell’art. 1 comma 10 lett. b) l. n. 190/2012, quella di “verifica, d'intesa con il dirigente competente, dell'effettiva

rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività nel cui ambito è più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione”.

186 La necessità di intervenire sul Piano triennale per modificarlo è ricondotta dalla norma in esame a due ipotesi tipiche: o per “significative violazioni delle prescrizioni”, ovvero “quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o

nell'attività dell'amministrazione”.