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Il progressivo ri-accentramento della programmazione per l’adozione di misure di razionalizzazione della spesa sanitaria: la c.d spending review.

salvaguardando i livelli essenziali delle prestazioni: una sfida (ancora) possibile?

5. Il progressivo ri-accentramento della programmazione per l’adozione di misure di razionalizzazione della spesa sanitaria: la c.d spending review.

97 Si tratta, in particolare, di Piemonte, Puglia, Abruzzo, Sicilia, Calabria, Campania, Lazio e Molise, di cui le ultime quattro sono anche commissariate.

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In un percorso federalistico come quello sin qui ricostruito, in cui si è tentato di responsabilizzare progressivamente le Regioni nella gestione dei propri deficit e, di riflesso, in una migliore governance della propria spesa sanitaria – anche mediante strumenti di gestione “straordinaria” della stessa quali i piani di rientro ed il commissariamento ad acta per l’attuazione dei medesimi – a partire dal 2003 la spesa sanitaria nazionale ha, in realtà, registrato livelli di crescita preoccupanti, in quanto difficilmente sostenibili per un servizio sanitario in difficoltà com’era quello italiano dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso. In particolare, dal 2003 al 2008 il tasso di crescita della spesa sanitaria si è attestato ogni anno intorno al 6% (98).

Giunti dunque ad un punto in cui il contenimento della spesa sanitaria era diventato un imperativo categorico (al di là anche dell’obiettivo di rendere autonome le Regioni mediante la concertazione della pianificazione sanitaria e la gestione dei propri disavanzi), a partire dal 2007 si è assistito ad un percorso, agli antipodi rispetto a quello federalistico intrapreso agli inizi del XXI secolo, caratterizzato da un evidente ri-accentramento delle funzioni di pianificazione e programmazione sanitaria. Un percorso in cui lo Stato è tornato ad essere l’attore principale, individuando tutte le più importanti misure di razionalizzazione della spesa sanitaria che avrebbero dovuto essere attuate a livello nazionale.

È iniziata, in quegli anni, l’epoca della c.d. spending review (99), termine utilizzato per

ricomprendere tutte le misure che, nei settori nevralgici del sistema sanitario pubblico, sono state adottate per contenerne i costi. O meglio, per colpire selettivamente quelli “cattivi” – in ciò consiste, in estrema sintesi, il concetto di razionalizzazione della spesa – mantenendo i livelli essenziali delle prestazioni riconosciuti in favore degli utenti del SSN.

Obiettivo di questa parte della tesi è di analizzare le principali e più importanti misure riconducibili alla spending review sanitaria, come esse si siano collocate all’interno del contesto di progressiva autonomia organizzativa regionale nella gestione dei propri servizi sanitari e,

98 Si v. ARMENI P.,CANTÙ E.,CARBONE C.,LONGO F.,PETRACCA F.,SOMMARIVA S. E RICCI A. (a cura di),

Rapporto Oasi 2015 – Executive Summary (Osservatorio sulle Aziende e sul sistema sanitario italiano), Milano, 2015,

p. 1.

99 In particolare, con d.l. n. 52/2012 convertito in l. n. 94/2012, è stato istituito il Comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica ed introdotta la figura del Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi. Il nuovo Commissario avrebbe avuto la funzione di determinare l’ammontare di tale spesa, supervisionando le attività di approvvigionamento.

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conseguentemente, come a livello territoriale siano state attuate e quali effetti concreti abbiano, dunque, sortito.

5.1. (Segue:) Il d.lgs. n. 68/2011 e la standardizzazione di costi e fabbisogni sanitari.

(100) La prima normativa statale espressamente adottata all’interno del più ampio

percorso di revisione della spesa sanitaria che ha caratterizzato la fine del primo e l’inizio del secondo decennio del XXI secolo, è costituita dal d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68.

La rilevanza del decreto in questione – adottato in esecuzione della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della

Costituzione” – è costituita dal fatto di non avere semplicemente disposto singole e specifiche

misure di contenimento della spesa sanitaria, ma di averne impostato una più organica e strutturale revisione, al fine di individuare quali siano i costi “efficienti” delle prestazioni rese in favore degli utenti del SSN, per poi renderli uniformi su tutto il territorio nazionale.

In buona sostanza, l’obiettivo del d.lgs. n. 68/2011 – a fronte di divari territoriali spesso rilevanti tra costi per le medesime prestazioni sanitarie – è stato quello di comprendere dove è possibile spendere meno garantendo comunque la qualità dell’assistenza agli utenti, e sulla base di ciò mirare a che tutti i servizi sanitari regionali raggiungano quel livello di costo. Un costo “efficiente”, per l’appunto.

È significativo osservare come, nel perseguire tale risultato, il d.lgs. n. 68/2011 abbia in realtà rappresentato una norma adottata in materia di “federalismo fiscale” (101), e dunque, ancora

una volta, principalmente per favorire l’autonomia regionale.

Ed infatti, con tale decreto il legislatore delegato è anzitutto intervenuto nuovamente sull’autonomia di entrata delle Regioni, tentando una migliore definizione, rispetto a quella

100 Il presente Paragrafo riprende parzialmente e sviluppa gli esiti dello studio condotto dallo scrivente in relazione al d.lgs. n. 68/2011, ed oggetto della seguente pubblicazione: CAVO G.M., Il contenimento della spesa sanitaria dalla regionalizzazione al d.lgs. 68/2011: un obiettivo raggiunto?, in ROVERSI MONACO F.A.–BOTTARI C.(a cura di),La tutela della salute tra garanzie degli utenti ed esigenze di bilancio,Maggioli, 2012, p. 201.

101 I restanti decreti, a tutt’oggi emanati in attuazione della l. n. 42/2009 in materia di “federalismo fiscale” in attuazione dell’art. 119 Cost., sono: il d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85 (in attuazione dell’art. 19 l. n. 42/2009, in tema di attribuzione a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni di un proprio patrimonio), il d.lgs. 17 settembre 2010, n. 156 (in attuazione dell’art. 24 l. n. 42/2009, in tema di ordinamento transitorio di Roma Capitale), il d.lgs. 26 novembre 2010, n. 126 (contenente disposizioni in materia dei costi e fabbisogni standard di Comuni, Province e Città metropolitane) ed il d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (contenente disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale).

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fornita tanto dal d.lgs. n. 56/2000, quanto dalla l. cost. n. 3/2001 e dalla conseguente l. n. 131/2003 sopra analizzate, delle modalità attuative del suddetto federalismo in ambito sanitario. Ciò con l’obiettivo di chiarire ed implementare strumenti quali la compartecipazione delle Regioni al gettito IVA ed il fondo perequativo nazionale, e di rendere quindi concretamente praticabile la via della solidarietà interregionale per garantire l’autonomia ed il decentramento gestionale, organizzativo ed altresì economico – finanziario, nell’erogazione delle prestazioni sanitarie in favore degli utenti.

In particolare, con riferimento al meccanismo della compartecipazione regionale al gettito IVA, che, così come nell’originaria disciplina dell’istituto contenuta nel d.lgs. n. 56/2000, è espressamente finalizzata ad “assicura[re] l’autonomia di entrata delle Regioni a statuto

ordinario e la conseguente soppressione dei trasferimenti statali” (102), costituendo una delle principali

fonti di finanziamento della spesa regionale, ivi compresa quella in materia di “sanità” (103),

l’art. 15 comma 3 d.lgs. n. 68/2011, pur prevedendo formalità simili (104) a quelle inizialmente

contenute nell’art. 2 d.lgs. n. 56/2000, in maniera evidentemente più stringente di quest’ultimo ha chiarito che, al di là delle mere formalità normative da rispettare, la percentuale di compartecipazione “[...] è stabilita [...] al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno

finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni in una sola Regione [...]”

(105).

Anche avuto riguardo ai criteri di ridistribuzione alle Regioni del gettito della compartecipazione IVA, il d.lgs. n. 68/2011 è più chiaro rispetto al d.lgs. n. 56/2000: in particolare, l’art. 4 comma 3 d.lgs. n. 68/2011 stabilisce che a partire dall’anno 2013 “le modalità

di attribuzione del gettito della compartecipazione IVA alle regioni a statuto ordinario sono stabilite in conformità con il principio di territorialità”. Tale principio considera, ai fini della ridistribuzione del

102 Così specificamente, l’art. 1 comma 1 d.lgs. n. 68/2011. 103 Si v., in particolare, l’art. 14 comma 1 d.lgs. n. 68/2011.

104 Ai sensi dell’art. 15 comma 3 d.lgs. n. 68/2011, “la percentuale di compartecipazione all’IVA è stabilita con decreto del

Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato – Regioni [...]”. Analoga disposizione era contenuta nell’art. 2 comma 4 d.lgs. n. 56/2000.

105 Tale disposizione, così come quella che ha previsto l’emanazione di un d.P.C.M. di fissazione delle percentuali di compartecipazione all’IVA “sentita la Conferenza Stato – Regioni”, denota la consapevolezza legislativa della rilevanza di una positiva cooperazione tra lo Stato centrale, deputato a delineare l’atto normativo che andrà a definire il grado di compartecipazione di ciascuna Regione al gettito IVA, e gli enti regionali, che a seguito della continua e progressiva soppressione dei trasferimenti statali, avrebbero visto in questo strumento la principale fonte di finanziamento del fabbisogno sanitario degli utenti dei propri Servizi sanitari regionali.

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gettito, il luogo di consumo, ovvero il luogo di domicilio del fruitore, in caso di prestazione di servizi, ovvero ancora il luogo di ubicazione dell’immobile, in caso di cessione di quest’ultimo.

Inoltre, l’art. 15 comma 1 d.lgs. n. 68/2011 ha messo nuovamente in luce l’obiettivo di attuare, mediante il fondo perequativo, la solidarietà interregionale, permettendo alle Regioni fiscalmente più deboli di ottenere, nonostante la progressiva soppressione dei trasferimenti statali, tutti i finanziamenti necessari a coprire il fabbisogno di assistenza dei propri utenti. Nello specifico, il legislatore delegato ha stabilito, all’art. 7, che, da un lato, il fondo perequativo sia alimentato dalle Regioni con maggiore capacità fiscale (ossia quelle nelle quali “il gettito per abitante dell’addizionale regionale all’IRPEF supera il gettito medio nazionale per abitante”), e che, dall’altro, le quote del fondo vengano ripartite tra le Regioni con minore capacità fiscale (ossia quelle nelle quali “il gettito per abitante dell’addizionale regionale all’IRPEF è inferiore al gettito

medio nazionale per abitante”) (106).

Ulteriore elemento di novità da rimarcare, all’interno dell’articolo in esame, è l’esplicitazione, contenuta al comma 7, che “il principio di perequazione delle differenti capacità fiscali

dovrà essere applicato in modo da ridurre le differenze, in misura non inferiore al 75 per cento, tra i territori con diversa capacità fiscale per abitante senza alterarne la graduatoria in termini di capacità fiscale per abitante”. In sostanza, la norma in esame esprime l’obiettivo che il fondo perequativo, oltre alla

strumentalità nell’attuazione della solidarietà interregionale, sia anche funzionale a ridurre le differenze, a tutt’oggi esistenti tra le singole realtà regionali, di gettito per abitante rispetto al gettito medio nazionale. Ciò al fine di utilizzare il fondo, in una prima fase di transizione, per omogeneizzare il più possibile la capacità fiscale delle Regioni permettendo poi, in una successiva fase “a regime”, la tanto agognata implementazione del medesimo, obiettivo sino a quel momento fallito nel primo decennio di operatività del fondo.

Passando ora all’analisi dell’elemento di maggior interesse innovativo, disciplinato dal d.lgs. 68/2011 in relazione all’obiettivo di razionalizzazione della spesa sanitaria, esso è costituito dai concetti, poc’anzi anticipati, di “costi e fabbisogni standard” da applicare su tutto il territorio nazionale.

Tali concetti, piuttosto complessi, sono disciplinati dal Capo IV d.lgs. n. 68/2011, e la

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loro rilevanza per il sistema sanitario e per quello economico – finanziario risiede nella scelta legislativa, espressa all’art. 25 comma 3 d.lgs. n. 68/2011, di fissare questi ultimi come punti di riferimento cui rapportare progressivamente il finanziamento integrale della spesa sanitaria.

Le norme contenute nel predetto Capo sono in realtà costruite sulla base di una serie di elementi convenuti in sede di Intesa Stato – Regioni del 3 dicembre 2009, avente ad oggetto il Patto per la salute per gli anni 2010 – 2012.

All’interno delle disposizioni in esame, è necessario dedicare una prima analisi al livello programmato del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale che, costituendo, come più volte ribadito, il valore delle risorse che lo Stato, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e con gli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria, è in grado di assicurare per l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza ed appropriatezza, ha assunto, all’art. 25 comma 2 d.lgs. n. 68/2011, la definizione di “fabbisogno sanitario nazionale standard”. Per quanto concerne, invece, la concreta determinazione dei fabbisogni sanitari standard regionali, essa sarebbe stata di competenza del Ministro della Salute, il quale, ai sensi dell’art. 27 comma 1 d.lgs. n. 68/2011, li avrebbe fissati annualmente (di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e d’intesa con la conferenza Stato – Regioni), unitamente ai costi – anch’essi standard – regionali.

Ai fini della determinazione del suddetto fabbisogno, il medesimo art. 27 comma 3 d.lgs. n. 68/2011, facendo riferimento ai macrolivelli di assistenza di cui al d.p.c.m. 29 novembre 2001, ha stabilito che costituissero “indicatori della programmazione nazionale per l’attuazione del

federalismo fiscale” i livelli di finanziamento della spesa sanitaria suddivisi secondo le percentuali

del 5%, relativamente all’assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, 51% relativamente all’assistenza distrettuale, e 44% per l’assistenza ospedaliera. Si sottolinea, sul punto, che la scelta di utilizzare i livelli di finanziamento destinati ai tre macrolivelli di assistenza, e non ai sottolivelli in cui i primi si suddividono, rispecchia la piena consapevolezza legislativa che, a tutt’oggi, i dati della contabilità relativi agli innumerevoli sottolivelli di assistenza non siano ancora sufficientemente attendibili per essere utilizzati nel momento della programmazione e del finanziamento della spesa sanitaria, ossia nel momento di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard.

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Posti i livelli percentuali anzidetti quali indicatori della spesa sanitaria regionale nelle tre macroaree di assistenza, il legislatore delegato ha poi costruito il meccanismo di determinazione dei fabbisogni standard nella seguente maniera: in primo luogo la Conferenza Stato – Regioni avrebbe dovuto individuare tre Regioni di riferimento, cc.dd. benchmark, tra cinque indicate dal Ministro della Salute di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze in quanto Regioni che abbiano garantito l’erogazione sul proprio territorio dei livelli essenziali di assistenza “in equilibrio economico” (107), in condizioni di efficienza ed appropriatezza

e rispettando gli adempimenti previsti dalla legislazione vigente anche in termini di standard di qualità delle prestazioni.

In secondo luogo, e sulla base dei suddetti dati, sarebbe dovuta avvenire la definizione del valore del costo standard, che, ai sensi dell’art. 27 comma 6 d.lgs. n. 68/2011, sarebbe stato calcolato, per ognuno dei suddetti tre macrolivelli di assistenza, “dalla media pro-capite pesata del

costo registrato dalle Regioni di riferimento”, intendendo quest’ultima come spesa sostenuta per

macrolivello, rapportata alla popolazione pesata in funzione dell’età (108).

In terzo luogo, in fase di prima applicazione del meccanismo in esame, il costo determinato nelle Regioni benchmark sarebbe stato applicato e ri-calcolato in funzione delle popolazioni pesate di ciascuna rimanente Regione, ottenendo così, per ognuna, il suo fabbisogno sanitario standard, e conseguentemente il fabbisogno sanitario standard nazionale.

Esplicato il concreto meccanismo di determinazione dei costi e, conseguentemente, dei fabbisogni sanitari standard, ciò che rileva conclusivamente osservare è che il d.lgs. n. 68/2011 abbia rappresentato, nelle intenzioni del legislatore, la prima vera normativa volta a superare definitivamente il sistema di finanziamento a costo storico della sanità, introducendo l’enucleato concetto di benchmarking.

107 In particolare, ai sensi dell’art. 27 comma 5 d.lgs. n. 68/2011, sono Regioni “in equilibrio economico” quelle che “garantiscono l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza ed appropriatezza con le risorse ordinarie

stabilite dalla vigente legislazione a livello nazionale, ivi comprese le entrate proprie regionali effettive”.

108 Occorre considerare lo stesso art. 27 comma 6 d.lgs. n. 68/2011 precisa ulteriormente, ai fini della determinazione dei costi standard, che “[...] il livello della spesa delle tre macroaree delle regioni di riferimento: a) è computato

al lordo della mobilità passiva e al netto della mobilità attiva extraregionale; b) è depurato della quota di spesa finanziata dalle maggiori entrate proprie rispetto alle entrate proprie considerate ai fini della determinazione del finanziamento nazionale. La riduzione è operata proporzionalmente sulle tre macroaree; c) è depurato della quota di spesa che finanzia livelli di assistenza superiori ai livelli essenziali; d) è depurato delle quote di ammortamento che trovano copertura ulteriore rispetto al finanziamento ordinario del Servizio Sanitario Nazionale, nei termini convenuti presso i Tavoli tecnici di verifica; e) è applicato, per ciascuna Regione, alla relativa popolazione pesata regionale».

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L’anzidetto obiettivo, strettamente collegato (e funzionale) alla necessità di razionalizzazione della spesa pubblica in un settore storicamente delicato, come quello sanitario, in quanto racchiuso tra esigenze di tutela della salute, da un lato, ed esigenze di bilancio, dall’altro, mirava ambiziosamente all’implementazione dell’efficienza dei fabbisogni

standard regionali, mediante un processo di transizione che, in un periodo di cinque anni,

avrebbe dovuto portare i suddetti fabbisogni regionali a convergere verso quelli relativi alle Regioni benchmark più virtuose nella gestione e nell’erogazione delle prestazioni sanitarie.

Altro elemento positivo del d.lgs. n. 68/2011 è rappresentato dalla statuizione, ad opera del legislatore delegato, di una serie di regole e criteri, insiti nel meccanismo dei costi e fabbisogni standard, idonei a permettere una ridistribuzione più realistica del finanziamento sanitario fissato a livello centrale, mediante una ripartizione dello stesso in quote regionali che considerino un fabbisogno sanitario ponderato sulle diverse fasce di età degli utenti dei servizi sanitari regionali.

Vi sono tuttavia alcune notazioni critiche da rivolgere al d.lgs. n. 68/2011. Anzitutto, si ritiene che il decreto in esame piuttosto carente nella definizione della disciplina da seguire nella c.d. fase a regime, nella quale, cioè, avrebbe dovuto essere portato a termine il processo di convergenza dei fabbisogni sanitari regionali ai costi standard. Limitarsi, infatti, ad affermare che la convergenza sarebbe dovuta avvenire in un periodo di cinque anni ha esposto il legislatore delegato al rischio che le Regioni, seppure in una logica federalistica di progressiva autonomia, restassero abbandonate nel percorso di transizione, con un obiettivo da raggiungere ma senza alcun criterio da seguire per farlo (109).

In secondo luogo, anche il meccanismo del benchmarking, benché per molti aspetti sicuramente positivo, si presta a talune critiche. Posto, infatti, che in linea con tale meccanismo, il costo standard delle tre Regioni più virtuose è inferiore alla media della spesa pro-capite nelle rimanenti Regioni, e che quest’ultima spesa dovrebbe progressivamente convergere verso il suddetto costo standard delle Regioni benchmark, conseguentemente il finanziamento integrale della spesa sanitaria dovrebbe essere, a rigor di logica, inferiore a

109 Si v. JORIO E.,Verso il servizio sanitario federale, in ROVERSI MONACO F.BOTTARI C.(a cura di), La tutela della

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quello attuale. Ebbene, un meccanismo così descritto parrebbe privo di alcuna pecca, in quanto in grado di ottimizzare i fabbisogni standard regionali. Qualora, però, si rammenti che il costo sanitario standard è dato dalla media dei costi delle tre Regioni di riferimento, sarà di immediata evidenza che a fronte di una diminuzione generale della spesa sanitaria complessiva, vi sarebbe, all’opposto, un aumento di finanziamento della migliore tra le tre Regioni benchmark (i cui costi saranno indubbiamente inferiori rispetto a quelli delle altre due).

Accanto a ciò, vi è da considerare che i parametri di scelta delle Regioni benchmark individuati dall’art. 27 comma 5 d.lgs. n. 68/2011 sono “efficienza” ed “appropriatezza” nell’erogazione dei livelli essenziali, non operando, il decreto, alcun riferimento esplicito al minor costo di erogazione delle prestazioni. Ciononostante, tale scelta, pur teoricamente apprezzabile in un’ottica di bilanciamento tra esigenze di tutela della salute e necessità economico – finanziarie, rischia in futuro di non avere un reale risvolto pratico, essendo essa inquadrata in una normativa che, rispecchiando pienamente il sistema attuale di riparto dall’alto dei finanziamenti sanitari, conserva comunque caratteristiche e finalità prettamente finanziarie. In realtà, (quantomeno) in sede di prima esecuzione della normativa in esame, tale criticità non si è concretizzata: infatti, a fine 2012 – segnatamente con deliberazione del Consiglio dei Ministri dell’11 dicembre 2012 – sono stati individuati i criteri per la scelta delle Regioni di riferimento ai fini della determinazione dei costi e fabbisogni standard, e tra i suddetti criteri il primo è stato proprio quello di garantire l’erogazione dei LEA in favore degli utenti (110). Sulla base del suddetto criterio e di quelli, restanti, indicati dal citato d.P.C.M. (111),

sono state selezionate, come prime tre Regioni benchmark nell’erogazione dei LEA ai cittadini in equilibrio di bilancio: Emilia-Romagna, Veneto e Umbria (112).

In definitiva, la normativa contenuta nel d.lgs. n. 68/2011 e le intenzioni che ne hanno

110 Più in particolare, ai fini della selezione la Regione deve aver presentato, nell’ultimo anno per cui e stato effettuato il procedimento di verifica da parte di un Comitato nominato ad hoc, un risultato uguale o superiore a quello mediano in termini di punteggio emerso dall’apposita griglia valutativa

111 Accanto al criterio della garanzia di erogazione dei LEA in condizioni di equilibrio economico-finanziario, la stessa norma ha individuato, quali ulteriori tre criteri da utilizzare per selezionare le tre Regioni benchmark nell’erogazione di prestazioni sanitarie in equilibrio di bilancio: (i) garanzia dell’equilibrio economico-finanziario nei due anni precedenti; (ii) non essere assoggettata, la Regione, a piano di rientro; (iii) valutazione positiva degli adempimenti regionali effettuata dall’apposito Tavolo di verifica in relazione all’ultimo anno disponibile.

112 Negli anni la terna è, ovviamente, mutata in base ai dati reali raccolti di anno in anno: si pensi, ad esempio, che