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2.6) I FATTORI RILEVANTI NELLA SCELTA PER GLI IMPRENDITORI E PER L’IMPRESA

Si può argomentare che la scelta degli imprenditori di aprire il loro capitale ad investitori istituzionali dovrebbe essere positivamente influenzata dai vantaggi che questi potrebbero trarre, ma al contempo appare frenata in Italia da una serie di resistenze. I vantaggi realizzabili sono essenzialmente30:

1. “Cassa di risonanza” per le idee del gruppo imprenditoriale: il processo decisionale, oggi più che in passato, è molto complesso e richiede la raccolta di informazioni per formulare le diverse alternative e giungere alla scelta ottima. Spesso, di fronte all’incertezza che deriva da informazioni insufficienti o dall’incapacità di elaborare le informazioni disponibili, gli investitori nel capitale di rischio possono essere d’aiuto, ascoltando le idee del gruppo imprenditoriale e offrendo il loro parere qualificato ed oggettivo;

2. Servizi finanziari: il capitale fornito è il principale motivo che spinge le imprese a rivolgersi agli operatori di private equity. Infatti, qualora il fabbisogno finanziario non possa essere soddisfatto da fonti interne, è necessario piegare su fonti esterne, capitale di debito e di rischio.

In generale, l’ingresso dell’investitore istituzionale, oltre a costituire un apporto diretto di risorse finanziarie, genera un miglioramento dell’immagine aziendale nei confronti di tutti gli interlocutori esterni, facilitando anche l’ottenimento di capitali di debito, la fornitura di capitale di rischio da parte di altri investitori istituzionali (lo dimostra anche la rilevanza delle operazioni follow on), l’utilizzo del credito commerciale.

3. La consulenza manageriale e l’apporto strategico: l’attività di consulenza che gli investitori istituzionali possono offrire alle partecipate spazia dalla consulenza strategica vera e propria, alla consulenza di marketing e in ambito amministrativo e contabile (soprattutto controllo di gestione). In molti casi, soprattutto nelle imprese più giovani, gli imprenditori sono carenti di competenze

30 Cfr. A. Gervasoni, F. L. Sattin, op. cit

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manageriali, per cui l’attività di consulenza da parte dei finanziatori diventa un elemento chiave di attrattività; per le imprese già consolidate, l’imprenditore si attende meno frequentemente un’attività di consulenza e spesso solamente in relazione a interventi straordinari, come operazioni di acquisizione e fusione, processi di quotazione o processi di internazionalizzazione.

4. La gestione del management: le imprese di piccole dimensioni presentano spesso carenze di figure professionali valide nelle posizioni chiavi, derivanti sia dall’impossibilità di fornire validi iter formativi sia dalla difficoltà ad attrarre manager qualificati rispetto ai grandi gruppi industriali. L’operatore di private equity può aiutare nella ricerca e nella selezione dei manager, al fine di sostituire i manager inadatti o facilitare il passaggio dalla cultura del one man show a una gestione più professionale. Può inoltre assistere l’impresa nella negoziazione dei termini contrattuali e nell’introduzione di meccanismi di motivazione dei manager per obiettivi.

5. Le reti di contatti: l’investitore può mettere a disposizione della partecipata una rete di contatti preziosi, sia industriali che professionali, i quali potrebbero consentire alla stessa di crescere più rapidamente rispetto alle imprese non partecipate. L’intervento dell’operatore istituzionale può agevolare varie forme di collaborazione infra-aziendale, per esempio al fine di condividere progetti di ricerca e sviluppo, attraverso joint venture o alleanze, o al fine di supportare una crescita dimensionale rapida, attraverso acquisizione e fusione. A questi vanno aggiunti i contatti di tipo professionale con manager che potrebbero colmare le lacune nell’organizzazione delle imprese partecipate. Da un indagine AIFI31,

condotta su un campione di 69 imprese di media dimensione, con buone opportunità di crescita e un management sensibile agli aspetti finanziari, escluse start up e imprese che sono già state oggetto di operazioni di PE/VC, emerge che i contributi di carattere non finanziario che le imprese si attendono dai private equiter corrispondono con i vantaggi sopra elencati, e in termini di rilevanza si pone al primo posto il supporto alla creazione di una cultura manageriale (49%),

31 9 Cfr. AIFI, “L’incontro tra domanda e offerta di capitale di rischio: il punto di vista dell’imprenditore”, Convegno annuale AIFI, 2004.

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seguito dai benefici in termini di credibilità (42%), di supporto strategico (41%), dalla possibilità di assumere management qualificato (38%) e dalla messa a disposizione di un network di contatti (36%). Nonostante questo solo il 15% degli intervistati pensa di finanziarsi in futuro attraverso il PE/VC. Sul fronte degli ostacoli, sono interessanti i risultati di un'altra indagine empirica in Italia32,

la quale ha evidenziato una forte diffidenza delle piccole e medie imprese italiane non quotate verso il private equity e venture capital. Lo studio mostra una bassa propensione da parte delle PMI oggetto di indagine (803 imprese) ad aprire il capitale di rischio a finanziatori esterni: solo 12 imprese hanno dichiarato di aver ceduto delle quote partecipative a soggetti terzi e 77 imprese hanno espresso l’intenzione di aprirsi a soggetti terzi nel triennio successivo (meno del 10%). La maggior parte (90%) delle PMI oggetto di indagine ha dichiarato di non voler cedere quote di capitale di rischio e le motivazioni principali sembrano essere due:

1. Motivazioni di ordine culturale, ovvero la mancanza di una piena conoscenza delle specificità dei servizi di private equity e venture capital (12%), derivanti da un esperienza limitata del fenomeno;

2. Motivazioni di ordine psicologico, ovvero il timore di perdere il controllo (23%) o la paura di subire un’eccessiva ingerenza da parte dell’intermediario nella gestione dell’impresa (54%). Anche la ricerca AIFI33conferma che le

motivazioni di “ordine psicologico” sono le più rilevanti, in quanto le imprese hanno il timore di disaccordo il termini di way out (62%), e quindi il timore di perdere il controllo, e la paura di subire vincoli operativi (36%). Una discreta quota di imprese afferma anche di temere una bassa valutazione (44%). Anche le motivazioni di ordine culturale trovano una conferma indiretta nella ricerca AIFI34: la maggior parte delle imprese intervistate ha sostenuto di avere una bassa conoscenza del private equity (52%) e di considerare bassa anche la

32 Cfr. S. Zambelli, F. Palmucci, A. Caruso, “Lo sviluppo e la crescita delle PMI in Italia: apertura del capitale di rischio e servizi di corporate banking”, Articolo sponsorizzato dal CREDIF e scritto per il Convegno AIDEA, Settembre 2006.

33 1 Cfr. AIFI, “L’incontro tra domanda e offerta di capitale di rischio: il punto di vista dell’imprenditore”, Convegno annuale AIFI, 2004

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conoscenza, in generale, delle PMI italiane (82%). Da queste evidenze empiriche, seppur non molto recenti, emerge che la tradizionale chiusura delle imprese al capitale di rischio (motivazione di ordine psicologico) è stata, ed è probabilmente ancora, uno degli ostacoli allo sviluppo dell’industria del PE/VC in Italia. Naturalmente, fintanto che un imprenditore preferisce possedere il 90% di una piccola impresa piuttosto che il 40% di un’impresa di medie dimensioni le possibilità di sviluppo del PE/VC sono notevolmente abbassate. In relazione alla diffusione della conoscenza (motivazione di ordine culturale) delle caratteristiche e delle potenzialità del PE e VC nel corso del 2010 è stato firmato un Accordo di Collaborazione tra il Ministero dello Sviluppo Economico e AIFI finalizzato a promuovere incontri formativi/informativi sul territorio. Dopo aver vagliato le ragioni che dovrebbero sostenere o ostacolare l’apertura delle imprese al PE/VC, riporto brevemente quali elementi incidono successivamente nella scelta dell’operatore ideale. L’impresa sceglie l’investitore considerando gli obiettivi perseguiti (e.g. quotazione, crescita a livello internazionale, etc.), la tipologia di operazione, il business nel quale opera l’impresa e la dimensione dell’operazione. In tutti i casi si considera poi l’esperienza e la reputazione, la disponibilità di risorse finanziarie, la rete di contatti nonché l’operatore a livello personale. Secondo la ricerca condotta da Banca d’Italia nel 2009, già citata precedentemente, gli imprenditori hanno considerato la reputazione, la dimensione e le competenze specifiche dell’intermediario quali gli elementi più importanti nella scelta.

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Capitolo 3