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Feedback attivi

Nel documento PARTE Prima INTRODUZIONE INDICE (pagine 121-127)

6. Muoversi

6.1. Feedback attivi

Io credo, ch'ei credette, ch'io credesse[...]126

Il feedback è un’informazione importante per la definizione di obiettivi o per il conseguimento degli stessi (nel caso siano stati già prefissati). In particolare, i feedback attivi sono importanti, non solo per il processo d’apprendimento, ma anche perché presuppongono un livello più “profondo” della relazione tra consulente e cliente, rispetto alla prima fase. Il feedback attivo, infatti, comprende tutto ciò che il consulente fa o dice allo scopo di fornire al cliente qualche dato inerente il suo modo di interagire con le altre persone. Costituisce la base, quindi, per il cambiamento del cliente ed è un segno rivelatore di fiducia, in quanto coinvolge i segmenti inconsci delle due controparti. Mi spiego meglio.

Il feedback attivo è una forma di alterazione di quello che possiamo chiamare “livello di comunicazione interpersonale” (che utilizza feedback “classici”). I due psicologi americani Joseph Luft e Harry Ingram hanno sviluppato, sul finire degli anni ’50 del secolo scorso, una tabella denominata The Johari Window (vedi Fig. 6.1), la quale concepisce una persona come formata da parti diverse:

- l’area pubblica (l’Io aperto), è costituita dalle parti di noi di cui siamo consapevoli e che siamo disposti a far conoscere altri;

- l’area privata (l’Io occulto), rappresenta parti di noi che coscientemente e deliberatamente decidiamo di non condividere con gli altri;

- l’area ignota (l’Io ignoto), rappresenta le nostre parti ignote, le parti del nostro carattere di cui sia noi sia gli altri siamo inconsapevoli;

- l’area cieca (l’Io inconscio), comprende tutte quelle parti di noi di cui non siamo consapevoli ma che gli altri, al contrario, percepiscono e colgono osservandoci dall’esterno.

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Parte di cui IO sono consapevole

Parte di cui IO sono inconsapevole

Parte di me

nota

agli altri

Parte di me

ignota

agli altri

IO occulto

SO NON DICO

IO aperto

SO DICO

IO ignoto

NON SO NON DICO

IO inconscio

NON SO DICO

Fig. 6.1 - The Johari Window127

L’utilità del feedback (vedi Fig. 6.2) risiede proprio nella possibilità di conoscere attraverso le informazioni e le percezioni da parte degli altri quelle parti di noi stessi che ci sono meno note, che fatichiamo a vedere e riconoscere da soli ma che gli altri conoscono.

In questo senso il feedback può diventare uno strumento importantissimo di conoscenza di sé (strumento di apprendimento) e, dunque, di sviluppo e miglioramento personale. Attraverso il feedback, infatti, zone personali prima collocate nell’area cieca possono diventare oggetto di consapevolezza e di miglioramento da parte nostra. Si tratta per esempio di potenzialità di cui non siamo pienamente consapevoli, o di capacità e competenze che gli altri riconoscono in noi ma che noi non siamo in grado di vedere; o riguarda le nostre modalità poco efficaci di rapportarci agli altri o alle attività che il nostro ruolo lavorativo prevede.

123 C A B D A: comunicazione aperta

B: informazioni che trapelano o rivelazioni inconsapevoli C: confidenze o sfoghi

D: contagio emozionale

Fig. 6.2 - Tipi di messaggi in una situazione di comunicazione tra due persone128

Schein129, partendo dalla Johari Window e dai tipi di messaggi che ci si invia in una situazione “normale” di comunicazione, ipotizza il feedback attivo, un feedback così come lo abbiamo descritto finora ma in più pensato come strumento in mano (ecco perché attivo) a chi fornisce aiuto (nel nostro caso il consulente) per permettere a chi chiede aiuto (nel nostro caso il cliente) di conoscere le proprie aree e lavorarci.

Questo è un processo solo apparentemente semplice. Se ci pensiamo bene, infatti, la maggior parte di noi è poco incline a dare e ricevere feedback. Sin dalla più tenera età, infatti, siamo stati educati secondo il principio “Se non puoi dire nulla di gentile è meglio non dire nulla”. Gradualmente apprendiamo a sacrificare la

128 http://www.problemsetting.it/pages/johari.htm

129 E. H. Schein. La consulenza di processo, cit. pag. 135- 153, cfr.

Io occulto Io aperto

Io ignoto Io inconscio

Io aperto Io occulto

124 “franchezza” in favore della “diplomazia” e a sentirci in imbarazzo se dobbiamo dare un feedback negativo a qualcuno. Anche l’abitudine al feedback positivo non è affatto diffusa. Molto spesso si ritiene, erroneamente, che gli aspetti positivi di una prestazione siano “autoevidenti” e che non vi sia nessun bisogno di sottolinearli o renderli noti.

Due o più persone, intenzionate a scambiarsi feedback attivo, dovranno prima di tutto trovare il modo di trascurare momentaneamente le regole culturali per rendere possibile e sicura la rivelazione di cose ordinariamente tenute nascoste. Il normale processo di comunicazione, governato da regole culturali di cortesia e tatto, non è infatti in grado di fornire un feedback chiaro abbastanza da rendere possibile questo apprendimento. Occorre stabilire nuove norme, regolate soprattutto dalla fiducia, che diano la possibilità di dire senza pericolo cose che normalmente non vorremmo e non dovremmo rivelare.

Le caratteristiche di un feedback attivo efficace sono essenzialmente tre.

1. È finalizzato a dare aiuto.

2. È specifico e chiaro: centrato sul comportamento e non sulla persona. 3. È dato al momento giusto.

Lo scopo del feedback dovrebbe essere sempre quello di favorire l’autoconsapevolezza e migliorare la performance. Le due parti che si impegnano in un processo di feedback attivo devono fidarsi l’una dell’altra e ognuna delle due deve pensare che l’altra stia cercando di fornire aiuto. Questo anche quando il contenuto del messaggio è spiacevole, per esempio quando si mette in gioco l’immagine che la persona (che riceve feedback) ha di se stessa.

Per dare efficacemente un feedback occorre, quindi, prima di tutto che il consulente sia autenticamente interessato ad aiutare (1) il destinatario e a mantenere l’attenzione rivolta ad alcune importanti domande, tipo:

“Come saranno percepite le mie parole?”

“Qual è il modo migliore in cui posso proporre il mio feedback?”

Se il cliente percepisce che dall’altra parte c’è un atteggiamento di aiuto e non di biasimo egli sarà molto più disponibile ad ascoltare e ad apprendere.

125 Inoltre, chi fornisce il feedback dovrebbe essere attento ad evitare affermazioni generiche ma, al contrario, specifiche e chiare (2). Una descrizione generica, infatti, non fornisce spunti adeguati di apprendimento e contribuisce ben poco a un processo di autosviluppo e di miglioramento. Per esempio, sentirsi dire

“La tua presentazione è stata molto buona”

sicuramente ci farà piacere ma non aiuta a capire in che cosa siamo stati bravi e perché, né tantomeno ci aiuta a capire come la prossima volta potremo ripetere una performance altrettanto efficace. Al contrario, una frase come

“Il modo in cui hai presentato i dati è stato particolarmente efficace. Sei riuscito a rendere facilmente comprensibili questioni molto tecniche. Sembravi inoltre molto sicuro e autorevole”

offre a chi la riceve indicazioni più precise e concrete e favorisce l’acquisizione di una maggiore consapevolezza. Lo stesso vale per un feedback negativo: più generico è il commento più sarà facile interpretarlo nella maniera sbagliata; al contrario, più il feedback può essere collegato a un comportamento preciso, più sarà facile identificarlo e farne tesoro.

La specificità del feedback è importante anche per far sì che sia accolto. Di solito, infatti, si tende ad accettare più “volentieri” critiche su precisi comportamenti relativi a una situazione ben determinata, che non critiche rivolte a caratteristiche personali, in quanto in quest’ultimo caso entrerebbero in gioco l’immagine e la stima che si ha di se stessi. In più non si è in grado di cambiare da un momento all’altro lati così importanti della propria personalità e, quindi, ci si difende manifestando un atteggiamento di difesa o di rigetto. Se, invece, il feedback negativo riguarda comportamenti concreti che sono sotto gli occhi di ambedue le parti, chi lo fornisce può esprimere liberamente la sua valutazione e chi lo riceve può evitare di coinvolgere il suo ego.

126 Quando è il momento giusto (3) per dare un feedback? «La scelta del tempo è fondamentale130» direbbe Schein. In linea generale è bene che il feedback avvenga in un periodo di tempo abbastanza vicino a quello degli avvenimenti a cui si riferisce, e questo perché il destinatario sia in grado di ricordarli e riferirli a se stesso. Se il feedback avviene troppo tempo dopo questi avvenimenti, il destinatario potrebbe non ricordare l’episodio in discussione e confutarlo. Se invece avviene troppo presto, il destinatario potrebbe essere ancora troppo coinvolto emotivamente per accettarlo nel caso fosse negativo. È anche vero che il consulente deve continuamente diagnosticare nella propria mente la situazione e calcolare quanto il cliente sia “pronto” per tecniche d’intervento più provocatorie.

Ma, per un feedback attivo efficace, molto dipende anche dalla capacità di

ricevere efficacemente feedback e, quindi, nel nostro caso dalla capacità del cliente.

Per questo il consulente è chiamato a mettere, ancora una volta, a proprio agio il cliente, affinché questi sia mosso da una disponibilità di fondo a ricercare nella relazione momenti e occasioni di apprendimento sulle proprie aree, nonché indicazioni e suggerimenti utili per il proprio autosviluppo.

Il cliente deve sentirsi “sicuro” nel dare fiducia al consulente, ecco perché l’utilizzo dei feedback attivi presuppone un livello più profondo della relazione, poiché il cliente rinuncia in qualche modo alla propria “immagine” e abbandona le difese del proprio Io, puntando tutto sulla fiducia che riversa nel consulente.

Il feedback attivo, dunque, è un genere di comunicazione da cui è possibile imparare molto ed implica un alto livello di fiducia reciproca, segno che le due parti si stanno avvicinando: il consulente, cioè, si sta muovendo verso il cliente.

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