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Processo e relazione d’aiuto

Nel documento PARTE Prima INTRODUZIONE INDICE (pagine 53-59)

3. Due facce della stessa medaglia

3.2. Processo e relazione d’aiuto

Mi piace parlare di fronte a un muro di mattoni: è l'unico interlocutore al mondo che non mi contraddice mai.58

Processo e relazione d’aiuto sono le due parole chiave del metodo di consulenza proposto da Schein. Ho pensato a lungo se si fossero potuti usare come sinonimi nel nostro contesto. Sicuramente l’uno dipende dall’altra, e viceversa.

Per processo si intende il modo di operare, ci si riferisce al come piuttosto che al che cosa si fa. Schein porta l’esempio del parlare con qualcuno: il dialogo costituisce il che cosa sto facendo, ma il modo in cui io compio quest’azione (gesticolando, gridando, parlando sottovoce, guardando il pavimento o gli occhi dell’interlocutore, etc.) rappresenta il come59. Capiamo allora quanto sia importante soffermarci sul processo, perché lo stesso che cosa fatto in come diversi produce risultati e reazioni completamente differenti, e di questo facciamo esperienza ogni giorno anche in situazioni informali: basta cambiare tono o ritmo di voce e la stessa frase assume svariati significati scatenando svariate reazioni in chi ascolta. A maggior ragione a livello professionale e su scala aziendale il processo diventa ancor più rilevante del contenuto.

57 E. H. Schein. La consulenza di processo, cit., pag. 57.

58 Oscar Wilde.

54 La consulenza di processo, infatti, non parte da che cosa non va, in quanto, come abbiamo già detto, molto spesso non si sa quale sia il reale problema che l’azienda sta attraversando. Non presuppone di conoscere che cosa occorra all’organizzazione o che cosa il consulente dovrebbe fare. Tutto ciò che è necessario perché il processo inizi in maniera costruttiva è l’intenzione di migliorare il modo in cui le cose funzionano. È il processo stesso della consulenza che aiuta l'organizzazione a definire quelle misure diagnostiche che successivamente condurranno a formulare programmi di azione e cambiamenti concreti. Sembra banale ma la base su cui poggia un processo è la relazione, così come non può esistere una relazione d’aiuto senza un processo che la guidi.

Il consulente competente, come abbiamo affermato più volte, è chiamato a percepire la realtà del cliente e decifrare tutte le sue dinamiche psicologiche, interpersonali, di gruppo, che influenzano le relazioni umane. In più, gli viene chiesto di scoprire e rendere visibile ciò che è nascosto. Questo è possibile, prima di tutto, creando condizioni capaci di motivare il cliente a vedere più in profondità e poi aiutandolo a imparare a vedere. È così difficile vedere chiaramente perché la realtà è alterata da forze latenti che provengono dal proprio io, dall’inconscio, dalla cultura o da schemi sociali.

Ecco perché il consulente deve in primis capire cosa succede nella mente, in particolare nella propria, deve cioè approfondire i propri processi intrapsichici, per poter essere in grado di fornire aiuto. Schein propone un modello teorico semplificato di quello che accade nel nostro sistema nervoso, che egli definisce ORGI, in quanto noi osserviamo (O), reagiamo emotivamente a ciò che abbiamo osservato (R), analizziamo, elaboriamo ed esprimiamo giudizi basati su osservazioni e sentimenti (G) e agiamo concretamente/interveniamo (I). Naturalmente la capacità d’introspezione non è automatica e richiede impegno da parte del consulente, nonché tempo, riflessione e analisi.

Questo modello va poi applicato per capire la mente del cliente e il suo ambiente, infatti, «come l’artista deve studiare le caratteristiche di quello che intende disegnare o dipingere, così il consulente deve studiare i clienti, la situazione e le

55 relative reazioni allo scopo di creare un quadro delle varie realtà presenti il più chiaro possibile».60

Oltre a se stesso e al cliente, il consulente deve, di seguito, decifrare la cultura e l’ambiente in cui opera, e forse questa è la cosa più difficile in quanto troppo immerso in essa e fin troppo educato nelle norme del comportamento sociale, norme che regolano soprattutto le interazioni umane: per esempio, se qualcuno ci parla gli prestiamo ascolto, se ci offre un aiuto lo ringraziamo, etc. Una norma che il consulente deve sempre ricordare è il “salvare la faccia”: i clienti, infatti, si dimostrano più soddisfatti quando sentono di essere stati aiutati senza che il loro prestigio o la loro immagine abbia subito danni.

Tutto questo sembra fuori di noi, non autentico, una sorta di spettacolo teatrale a cui noi assistiamo come pubblico, in realtà siamo attori a tutti gli effetti. Fin da piccoli, infatti, abbiamo imparato che l’interazione reciproca dev’essere, o comunque apparire, equa e corretta (ringraziare per un dono o ascoltare se ci parlano) e per fare ciò impersoniamo tanti ruoli quante sono le relazioni che instauriamo (figlio, padre, amico, fidanzato…). Diventa poi un processo così automatico che ne perdiamo la consapevolezza. In poche parole, quindi, costruire una relazione richiede sensibilità alle economie sociali e alle regole culturali di preservazione della dignità, personale e altrui. In questo teatro sociale il consulente è chiamato a prendere coscienza di tutto ciò per usufruire delle relazioni in modo corretto ed equilibrato, e garantire al suo cliente l’aiuto di cui ha bisogno.

Ma cos’è la relazione? Il dizionario61 della lingua italiana la definisce come «la connessione o corrispondenza che intercorre, in modo essenziale o accidentale, tra due o più enti», ma è anche ilmodo di essere di una cosa rispetto a un’altra, il legame tra due persone o il rapporto intercorrente tra due concetti. Il prefisso latino re, in questo caso, sta proprio per “incontro”, “di fronte”, ed infatti, non esiste relazione che non preveda un incontro, uno stare uno di fronte l’altro. In greco, invece, sembra che non ci sia un termine esatto con cui identificare il concetto di relazione, (se non per riferirsi

60 Ivi, pag. 104.

56 a specifiche relazioni come affettiva, d’amore ecc.). Tuttavia, è interessante notare che l’idea di relazione venga espressa con la stessa costruzione utilizzata per indicare il complemento di moto a luogo, il rapporto (amichevole o ostile) con qualcuno, quasi a dire che la relazione include in sé un andare verso, un muoversi.

Possiamo ben affermare, quindi, che nel termine “relazione” è insita l’idea di confronto, di paragone, di rapporto fra due o più oggetti. Non sempre, però, questo rapporto è paritario.

Nelle prime fasi di qualunque situazione d’aiuto, per esempio, la relazione è squilibrata, per il semplice fatto che chi chiede aiuto è consapevole che gli manca qualcosa; mentre chi fornisce aiuto è cosciente di avere quel qualcosa. In termini tecnici questa condizione viene chiamata asimmetria iniziale. E può rappresentare una trappola per il consulente, perché potrebbe magari portarlo ad approfittare del ruolo “superiore” che ricopre. Al contrario deve fin da subito intervenire nella situazione elevando lo status del cliente, ridonandogli la dignità personale di cui parlavamo prima, farlo sentire a suo agio, garantendogli la propria fiducia.

Sarà così che ricoprirà il ruolo di consulente di processo62 ponendosi come primi obiettivi il rimuovere l’ignoranza verso la situazione, l’attenuare l’asimmetria iniziale e l’identificare che tipo di ruolo adottare successivamente. In altre parole, muoverà i primi passi verso il mondo del cliente; in pratica, avvierà un’umile ricerca di informazioni63, ricerca che si prolungherà per tutto il processo della consulenza, in quanto si intreccerà con gli interventi del consulente. Le due fasi si condizioneranno a vicenda e produrranno come un circolo vizioso che accompagnerà l’intera relazione.

Schein presta molta attenzione alla fase iniziale della consulenza, la considera cruciale. Non tanto perché chi ben comincia è a metà dell’opera, quanto perché si tratta di uno stadio molto critico, potremmo quasi dire che in questo primo momento si

62 In realtà, anche nella prima fase della consulenza, il consulente può scegliere il ruolo da ricoprire dai tre modelli che abbiamo visto prima: esperto, medico e consulente di processo. Avendo, però, specificato nel capitolo precedente che è bene iniziare la relazione d’aiuto con il metodo della consulenza di processo, diamo qui per scontato che il consulente inizierà la consulenza proprio con questo metodo.

63 E. G. Schein, Le forme dell'aiuto. Come costruire e sostenere relazioni efficaci, Raffaello Cortina, Milano, 2010, pag. 54.

57 decidono le sorti della relazione: il cliente sceglierà se fidarsi del consulente e aprirsi sinceramente a lui o se non ne vale la pena e sciogliere i contatti (in questo secondo caso, anche qualora continuasse la relazione, non ci sarebbe autenticità da parte del cliente e, pertanto, recherebbe solo danni all’azienda).

Da queste considerazioni emerge chiaramente che la relazione d’aiuto è un processo comune ma complesso e delicato, perché entrano in gioco tante variabili e condizioni, a volte tacite e nascoste, che non è possibile avere una panoramica completa e sicura di quello che è meglio fare.

ORGI, processi intrapsichici, comportamento sociale, salvare la faccia, interventi, fiducia… sembrano messaggi crittografici senza alcun nesso fra di loro. In realtà manca la parola chiave per leggere speditamente il tutto: comunicazione! Ciò che lega tutte queste dinamiche, infatti, ciò che armonizza il processo e rende possibile la relazione d’aiuto è la (buona) comunicazione. Come vedremo nei prossimi capitoli si aprirà un mondo, o meglio un viaggio, che vede protagonisti il consulente e il cliente, le cui realtà si intersecano di continuo, attingendo l’una dall’altra.

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PARTE SECONDA

Il viaggio

4. “Faccia a faccia”

5. Partire

6. Muoversi

7. Giungere

59

4

“FACCIA A FACCIA”

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