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mons. Felice Regano, pastore di Catania

di don Luigi Renna

Il rapporto tra la Chiesa e il nuovo governo italiano fu per de-cenni molto problematico e costituisce una pagina di storia locale in-teressante da studiare o semplicemente da ricordare: soprattutto i vescovi, che avevano giurato fedeltà ai sovrani borbonici, furono restii ad accettare il nuovo stato di cose, ma tra di essi ci furono delle ec-cezioni che, senza strumentalizzazioni retoriche, vanno ricordati. Dal professor Antonino Blandini ricevo delle interessanti notizie, che in parte vengono riportate in questo articolo, sull’andriese mons. Felice Regano, vescovo di Catania proprio durante il periodo dell’Unità d’Ita-lia. Mons. Regano è sepolto a Catania, ma la sua famiglia fece eri-gere in suo ricordo, nella cattedrale di Andria un monumento fune-bre, a sinistra dell’ingresso.

Nato ad Andria, il 5 giugno 1786, compiuti gli studi a Napoli, fu ordinato presbitero il 16 giugno 1816. Docente nel nostro seminario vescovile, esaminatore prosinodale e vicario capitolare di Andria nel 1830, il 15 maggio 1839 era stato presentato da Ferdinando II alla Santa Sede vescovo per la diocesi etnea, in ossequio all’indirizzo poli-tico dei Borboni di sistemare anche ai vertici dell’amministrazione ec-clesiastica in Sicilia prelati delle province napoletane del “continente”.

Il 1 settembre fu consacrato vescovo a Roma dal cardinale Emanuele De Gregorio e fece il suo ingresso a Catania il 12 novembre.

Il nuovo vescovo in quanto “napoletano”, anche se poco favorevole al tribunale della monarchia, non fu bene accolto dal clero e si rivelò energico, e rigoroso riformatore per la dignità del sacerdozio e “padre dei poveri” come recita il semplice epitaffio funebre nel Duomo di Ca-tania. Non mancarono denigratori e detrattori, che ricorrevano an-che a libelli calunniatori gratuiti e privi di fondamento, nonostante fosse amato dal popolo, al quale come “unico parroco della città”

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leva tenere lezioni di catechismo. Nel 1844 il vescovo aveva approva-to il tesapprova-to di un catechismo in dialetapprova-to scritapprova-to dal can. Martino Ursi-no. Ventimiglia. Mite ed umilissimo, severo e circospetto, si rifiutò di svolgere attività politica di connivenza al regime poliziesco che oppri-meva Catania, e durante i moti rivoluzionari del 1848-1849 per l’dipendenza dell’Isola, palesò apertamente, con convinzione e senza in-dugio, le sue simpatie liberali verso i patrioti siciliani, benedicendo il 7 febbraio 1848 solennemente il vessillo tricolore. Partecipò al Parla-mento generale “per adattare ai tempi la costituzione del 1812 e prov-vedere a tutti bisogni della Sicilia”. Regano nel 1854 nominò profes-sore in seminario, il palermitano Melchiorre Galeotti, sacerdote delle Scuole Pie, in esilio a Catania perché aveva partecipato alla rivolu-zione del 1848. “Io sono il pastore dei catanesi, non il poliziotto del governo!” avrebbe risposto coraggiosamente al ministro di Polizia, marchese Francesco Del Carretto, che lo invitava ad essere suo “infor-matore e confidente” circa i catanesi presunti “sovversivi” e soprat-tutto in merito alle idee politiche dei singoli sacerdoti della sua dio-cesi verso la Corona del Regno delle Due Sicilie ..

La mattina del 31 maggio 1860 le campane di Catania annuncia-rono l’insurrezione sulla scia dell’avanzare dei Mille di Garibaldi a Palermo. Il mattino del 4 giugno le campane annunziarono l’evacua-zione delle truppe napoletane dopo un ennesimo saccheggio e dirette a Messina nel timore che arrivasse Garibaldi.

I catanesi furono grati al loro vescovo riconoscendogli, nel 1848 e nel settembre 1860, attraverso la stampa cittadina, la grande carità, il carattere di uomo giusto, forte, nemico dei tiranni e dell’ingiustizia, amante della vera libertà, i meriti risorgimentali. “E quando la Si-cilia conobbe il coraggio civile dell’attuale eminente Vescovo di Cata-nia, che osava respingere qualunque proposta di informazione del Luogotenente Generale e del Direttore di Polizia che riguardava la condotta dei candidati agli impieghi, i di cui coraggiosi rapporti si possono leggere in questa segretaria di Stato, fummo lieti di rinveni-re nell’episcopato un prinveni-relato così zelante che avesse potuto rinveni-rendersi modello dei suoi servili colleghi”. Così si esprimeva in modo lusin-ghiero il periodico palermitano “L’Italia per gli Italiani” il 29 giugno 1860 nell’articolo “Il Clericato in Sicilia” nei confronti dell’arcivescovo Felice Regano. Il giornale catanese “L’Unità e l’Indipendenza” il 13 settembre successivo ne elogiava l’atteggiamento favorevole all’unità italiana: “L’Arcivescovo di questa città hassi attirato la attenzione di tutti per le sue pietose opere…se mai venisse meno la fama del cle-ro siciliano, basterebbe a mantenerla; in lui alla pietà si accoppia la dottrina vera di Cristo, che non è serva dei potenti, e contraria al giusto e onesto”.

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Ammalato da tempo, il giovedì santo 28 marzo 1861 si aggravò e gli vennero amministrati i sacramenti. Il venerdì santo rivolto ai sa-cerdoti disse “Si avvicina la mercede!”; mentre in Duomo si celebrava la funzione della Passione il vescovo Felice spirò. La salma fu espo-sta in episcopio il 1° aprile, lunedì di Pasqua; mercoledì 3 venne por-tata in Duomo, dove furono celebrate le esequie e fu sepolto. Lo sto-rico della Chiesa catanese mons. G. Zito, sto-riconosce che la figura del Regano rimane ancor oggi in attesa di essere collocata dalla storio-grafia nel quadro degli avvenimenti che precedettero l’Unità. Anche il suo “periodo andriese” andrebbe studiato, per comprendere non solo la personalità di questo prete del nostro clero, ma anche il tenore della vita ecclesiale e civile della nostra diocesi nell’ottocento, secolo di grandi trasformazioni ideologiche e politiche.

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Nuove ricerche sul santuario