• Non ci sono risultati.

Femminismo islamico

4.4 Femministe in Marocco

Molti siti islamici ricordano che la prima martire dell’Islam, uccisa a causa della sua conversione, fu una donna, Sumayyah, pugnalata da Abu Jahl, notabile meccano e acerrimo nemico del Profeta. Questa donna fu una delle prime sette persone che si convertirono all’Islam e malgrado la sua umile posizione sociale, non ebbe paura di rivendicare la sua fede nell’Islam e nel Dio unico, in un momento in cui i musulmani preferivano nascondere la loro fede.

Analizziamo dapprima l'impegno femminile che si è sviluppato all'inizio su due diversi, anche se non antitetici, filoni di pensiero: le femministe islamiche e le islamiste.

“Se per lungo tempo femminismo e Islam sono apparsi come pratiche e discorsi inconciliabili, nel corso dell'ultimo ventennio, il cosiddetto 'femminismo islamico' ha guadagnato una crescente legittimità, sia in Europa che nel mondo musulmano, come terreno attraverso cui le donne musulmane aspirano a rivendicare i propri diritti, senza deviare da quello che è considerato il proprio retaggio culturale e religioso, seppur soggetto a negoziazioni spaziali e temporali inevitabili e continue”110.

I due filoni di pensiero si distinguono tra loro più che per gli obbiettivi, che risultano comuni, per le basi culturali di fondo e per le metodologie utilizzate nel dibattito che ha segnato una parte della storia del Marocco, quella che lentamente ha restituito ai più deboli, e in particolare alle donne, ciò che secoli di buio intellettuale avevano

109 Donne, conversazione tra Golfo e Maghreb. Intervista a Madawi Al- Rasheed,

5/2/2013, www.osservatorioiraq.it.

loro tolto.

All'interno del variegato movimento femminista islamico, Ruba Salih distingue tre tipologie: islamista, musulmano e laico.

Il concetto comune a tutte queste componenti è il rifiuto della denominazione “femminismo”, perché esclusivamente legato a modelli occidentali, quindi viene preferita la denominazione di “movimenti delle donne”, accettando il termine femminismo esclusivamente come indicazione di una coscienza dei diritti dovuta alla donna.

Le femministe islamiste sono convinte che i problemi delle donne siano da attribuire in parte al tentativo di eguagliare gli uomini, mentre il concetto da loro proposto non è quello dell'uguaglianza, ma quello della complementarietà. Al contrario, le femministe musulmane pongono come obiettivo primario il raggiungimento dell'eguaglianza tra i generi nella società, che esse vedono non solo come praticabile nell'Islam ma auspicato dalla stessa religione islamica.

Le femministe laiche, infine, sostenendo che il femminismo islamico è un ossimoro, fanno riferimento alle convenzioni internazionali e ai diritti delle donne come diritti umani e ritengono che la religione debba rimanere confinata alla sfera privata. Questo femminismo di matrice secolare, che ha avuto una grande fortuna negli anni ottanta e novanta e ha spesso interagito con le organizzazioni femministe occidentali creando reti internazionali, era già presente alla fine dell'Ottocento, come possiamo ricavare da alcuni scritti letterari di quel periodo.

Accanto a questo, che negli ultimi anni sta incontrando difficoltà di riconoscimento, emerge un femminismo che è stato definito islamico e che si basa sulla reinterpretazione del Corano tramite una prospettiva femminile.

Secondo teologhe e attiviste, il vero messaggio del Corano è stato nascosto nel corso dei secoli grazie a interpretazioni maschiliste e

misogine che hanno negato quella uguaglianza di genere che Maometto aveva rivelato. Un'altra forma di attivismo è quello che si sta formando all’interno di gruppi islamisti, che, come abbiamo sopra accennato, hanno un’impostazione conservatrice dal punto di vista sociale e politico.

Quest'ultima corrente che sta riscontrando una partecipazione femminile sempre più vasta, non solo nella base, ma anche tra personaggi della cultura e della politica di grande prestigio, come Nadia Yassine, sta aprendo un nuovo tipo di discorso di genere, affermando che, accanto al ruolo di moglie e di madre, le donne devono svolgere anche un ruolo pubblico, partecipando accanto agli uomini allo sviluppo di una società islamica o orientata ai valori islamici.

In una intervista del 2007, Nadia Yassine così descriveva gli obbiettivi del suo gruppo, criticando le femministe laiche: “Le femministe laiche fanno parte soltanto di una piccola élite. Vivono in una enclave intellettuale. Imitano l’Occidente. Si sono allontanate dalla cultura islamica. Sono seguaci di piccoli partiti politici che sono dipendenti dal re. Questa è la ragione per cui, più di ogni altra cosa, vogliono difendere i loro privilegi. I movimenti islamici, d’altra parte, sono popolari. Rappresentano la gente. Perché il fatto è che noi viviamo in una società musulmana qui. Perciò vi chiedo: in quale altro modo potrebbe funzionare il movimento delle donne, se non sulla base dei valori islamici? La nostra religione è molto più capace di risolvere i problemi sociali rispetto ai modelli occidentali di cui beneficiano soltanto le élite. Se risolvi i problemi sociali, aiuti anche le donne. Le donne non hanno nessun problema con l’Islam. Hanno un problema con il potere”111.

111 Massimiliano Caruso, La nostra religione è amica delle donne: intervista a Nadia Yassine, 25/11/2007, www.spiegel.de/international/world.html

Le femministe musulmane, che pongono come tema centrale della loro azione il raggiungimento dell'uguaglianza di genere nella società, ritengono non solo auspicabile, ma possibile, la realizzazione di ciò all'interno della stessa religione islamica.

Una delle voci più significative di questo filone di pensiero è senza dubbio Fatima Mernissi, che così chiarisce la sua tesi: “Paradossalmente, e contrariamente a quanto si crede, l'Islam non avanza la tesi della intrinseca inferiorità femminile. Piuttosto il contrario, afferma la potenziale uguaglianza tra i sessi. La diseguaglianza esistente non si basa su una teoria biologica o ideologica dell'inferiorità femminile, ma è il risultato di istituzioni sociali specifiche disegnate per contenere il suo potere: cioè segregazione e subordinazione legale nella struttura familiare (Mernissi, 1985)”112.

A raggruppare tutte queste correnti di pensiero si è formato il GIERFI113, di cui è presidente Asma Lamrabet, medico ematologa

autrice di molti saggi sul femminismo: questo movimento nato negli anni '90 in Egitto, si è poi allargato in Iran, Marocco e Tunisia, fino a Paesi musulmani come Indonesia e Malesia, e occidentali come gli Stati Uniti, rappresenta in parte la continuazione di quel femminismo nazionalista molto forte negli anni '40 e '50, dove le donne combattevano con gli uomini per la decolonizzazione. Quando, dopo l'indipendenza, le donne, come era accaduto in Francia dopo la rivoluzione, furono emarginate e il femminismo nazionalista scomparve, si formò il femminismo laico, slegato dalla religione e collegato ai movimenti marxisti e della sinistra radicale. Anche questo tipo di femminismo ebbe poco seguito perché, afferma la Lamrabet, “il popolo arabo è un popolo che fonda le sue radici nell'Islam, che

112 Ruba Salih, op.cit. p.106.

costituisce una memoria, una storia, una secolare esperienza che la gente non vuole abbandonare. La generazione più giovane che ha continuato e avuto accesso allo studio dell'Islam, ha visto che tutto quello che dicevano le femministe laiche non era del tutto vero, che la lettura che le istituzioni hanno fatto dei testi sacri, tutti controllati dagli uomini, sono responsabili della marginalizzazione della donna”114.

Le islamiste avevano prodotto una eccezionale quantità di documenti contenenti argomentazioni religiose a favore del processo di modifica del codice della famiglia, rileggendo e rivedendo il concetto della parità tra i sessi, reinterpretato attraverso la rielaborazione culturale, ma utilizzando i principi fondamentali dell’Islam.

Attraverso questo nuovo modo di analisi, si è avviata una sorta di “decostruzione-ricostruzione culturale”, secondo l'assioma che nessun cambiamento sarebbe stato possibile, in una società patriarcale e conservatrice, senza il supporto di argomentazioni di natura culturale e religiosa che dimostri come i ruoli ricoperti dall’uomo e dalla donna siano nati all’epoca della rivelazione dell’Islam.

Infine, purtroppo, anche alcuni episodi tristissimi hanno finito per giocare un ruolo positivo ai fini della rielaborazione dello spirito e dei contenuti della legge nel suo complesso.

Il nuovo codice della Famiglia ha catalizzato la discussione e ampliato il dibattito pubblico riguardo alle questioni religiose e al tipo di società marocchina, ha contribuito a consolidare il ruolo delle donne nella politica, così come nella sfera sia pubblica che privata e ha semplificato la modifica di altre leggi in coerenza con il principio di uguaglianza introdotto dal nuovo diritto familiare. Così, anche il codice del lavoro ha iniziato a prestare attenzione al problema delle lavoratrici donne. Oltre a ciò, nel 2007 è stato emendato il codice

114 Garazi Mughertza, E' il momento ideale per il femminismo islamico: intervista a Asma Lambaret, Colsi la prima mela, 13/1/2012, in www.liadiperi.blogspot.it.

relativo alla cittadinanza, e per la prima volta le donne marocchine possono trasferire la propria nazionalità ai figli, purché mantengano la religione musulmana, anche se hanno sposato uno straniero. E' in corso anche la revisione del codice penale, oltre all’elaborazione di un progetto di legge nazionale che difenda le donne dalla violenza. Negli ultimi anni, in Marocco, la condizione della donna è migliorata notevolmente: diversi movimenti sociali per la promozione dell’uguaglianza di genere hanno promosso corsi di alfabetizzazione delle donne e attività associative per la produzione di un piccolo reddito e di un’autonomia finanziaria. Ciò si è reso necessario perché all’interno della categoria femminile esiste un divario enorme tra donne dei ceti urbani, donne dei villaggi, donne berbere, giovani ragazze madri o donne in carriera, offrendo una fotografia di uno Stato che, pur a fronte di un grande sforzo politico e sociale, presenta ancora grandi differenze, per esempio nel tasso di alfabetizzazione, sia in termini di sesso che di zona, tanto che, nelle zone rurali, si arriva solo al 10% di donne alfabetizzate.

Capitolo 5