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La condizione della donna nell'Islam

2.3 Le donne musulmane nella società contemporanea

Un cambiamento, se non radicale, almeno significativo, è stato portato al ruolo della donna nelle società dei Paesi islamici, dagli anni '70 in poi.

Il primo e più ricco di conseguenze favorevoli per la donna fu la diffusione dell'istruzione, anche negli Stati più conservatori della penisola arabica, dove, a livello primario, si potevano riscontrare numeri uguali di scolari maschi e femmine e, a livello superiore, un aumento notevole del numero di studentesse.

Ciò produsse un incremento dei lavori accessibili alle donne che trovavano collocazione, se istruite, negli uffici pubblici e, se laureate, come professioniste nel campo della medicina, del diritto o del sociale. Alla fine degli anni '70, “In alcuni Paesi vi era un numero ristretto ma in progressivo aumento di donne ad alti livelli di responsabilità nel governo; ciò valeva soprattutto per Paesi come la Turchia, lo Yemen del sud e l'Iraq, che stavano conducendo uno sforzo consapevole di rottura col passato per la creazione di una società 'moderna'.

(…) Questi cambiamenti, però, si verificavano all'interno di un quadro legale ed etico che era ancora in gran parte immutato, e che sosteneva la supremazia del maschio. Qualche modifica veniva per la verità introdotta nel modo di interpretare le leggi islamiche sullo statuto personale. Tra i Paesi islamici solo la Tunisia aveva abolito la poligamia, che tuttavia anche altrove stava diventando una rarità”59.

“Alla fine degli anni '70 e nei primi anni '80 si osservò, per la verità, un fenomeno che poteva sembrare rappresentativo di una tendenza opposta. Per strada e sui posti di lavoro, e soprattutto nelle scuole e nelle università, un numero crescente di donne si coprivano i capelli, quando non il volto, ed evitavano di mescolarsi per motivi sociali o

professionali con gli uomini. Anche se può sembrare un paradosso, questo intendeva essere un segnale più della loro affermazione della propria identità che del potere del maschio”60.

Le donne che vivono nei Paesi islamici sono considerate comunque ancora cittadini di seconda categoria.

La Tunisia è il Paese di cultura islamica che ha la legislazione più avanzata dal punto di vista dei diritti delle donne.

Secondo le leggi tunisine è prevista la parità fra uomo e donna nel matrimonio, l'uomo è tenuto a pagare gli alimenti alla moglie in caso di divorzio, la madre deve dare il suo consenso in caso di matrimonio di una figlia minorenne. Il codice dei lavoratori prevede lo stesso stipendio per le stesse mansioni, la violenza sulle donne viene punita severamente. Ci sono molte donne che rivestono un ruolo importante in politica e altre che svolgono lavori eseguiti principalmente da uomini come l'autista di bus o il giornalista sportivo.

Le leggi non riescono però a garantire la parità, perché la mentalità popolare è ancora molto legata alle antiche tradizioni e spesso la donna deve mantenere anche i fratelli e i parenti del marito.

In Algeria la condizione della donna è molto precaria perché viene adottata la legge islamica che relega la donna in una condizione di totale inferiorità. Contro questa legge in passato si sono schierate numerose associazioni femminili e alcune donne pagarono con la vita la loro presa di posizione.

Il Marocco ha affrontato negli ultimi anni una serie di iniziative legislative che hanno dato il via a una serie di mutamenti della condizione femminile anche se permangono serie differenze tra donne che vivono nelle città e quelle delle periferie rurali.

“L’Egitto, viene considerato il peggior Paese arabo in cui essere una donna. La Primavera araba è passata e ha lasciato posto a un autunno

per soli uomini, una stagione fredda in cui alle donne resta lo spazio della violenza e della discriminazione. La rivoluzione in Egitto non solo si è ridotta a un buco nell’acqua, con Mohammed Morsi - il primo presidente eletto democraticamente - destituito dai militari, ma non ha risolto, se non ha addirittura peggiorato, le difficili condizioni delle donne che vivono nel Paese.

Lo ha rivelato una ricerca sul Quotidiano inglese The Indipendent, dalla quale è emerso che l’Egitto si è classificato 22esimo su 22 Stati arabi studiati per la qualità di vita delle donne”61.

Come abbiamo potuto vedere, i diritti delle donne nei Paesi musulmani sono ancora spesso una chimera, ma per contro intendiamo affrontare, anche se pur brevemente, quale sia la posizione delle donne musulmane nei Paesi occidentali attraverso le esperienze delle associazioni presenti.

Gli obbiettivi delle donne islamiche sono sempre più collegati a quelli delle donne in generale, anche se, per le “musulmane occidentalizzate”, la parità non è sufficiente a stabilire l'uguaglianza, anche se la favorisce e, in tal modo, apre alla partecipazione ai poteri di decisione.

In Italia, in particolare, meta di una massiccia immigrazione dai mondi islamici, con la presenza sempre più consistente di donne, come si evince dal Rapporto Caritas relativo al 2013, le donne straniere presenti sono 2,5 milioni, provenienti soprattutto dai Paesi dell'Est e dall'Africa, esclusa la Nigeria, soprattutto mogli e madri che raggiungono i mariti con i figli. Si registra un crescente numero di donne sole o sole con figli che vivono e lavorano distanti dal proprio marito/compagno. Sono nuclei familiari spezzati62.

“Le donne musulmane sono vittime di molteplici discriminazioni per

61 Sara Pinotti, 12 novembre 2013, Lettera 43, Quotidiano on-line. 62 Rapporto Caritas 2013, www.caritasitaliana.it.

l'intersezione di più fattori: essere donne, essere immigrate, essere musulmane e l'inserimento sul lavoro è uno dei maggior svantaggi rilevati. E' quanto emerso dal rapporto dell'ENAR63 sul caso italiano

portato avanti nell'ambito del progetto europeo 'Donne dimenticate' a cui la Casa internazionale delle donne di Roma ha dedicato oggi una giornata di approfondimento con rappresentanti di associazioni di donne, movimenti antirazzisti, Ong, ricercatrici, giuriste, giornaliste. 'L'ambito lavorativo è quello in cui emergono maggiormente discriminazioni e fenomeni di islamofobia - ha sottolineato Giulia Dessì, ricercatrice responsabile del rapporto ENAR sull'Italia -. Ho intervistato faccia a faccia diverse donne musulmane, italiane e straniere, ed è l'abbigliamento, in particolare il velo, a creare i maggiori ostacoli sul lavoro. A molte donne viene chiesto di toglierlo durante l'orario lavorativo e non tutte accettano. Purtroppo poche denunciano le discriminazioni. Nell'ultimo rapporto dell'UNAR, l'ufficio anti-discriminazioni razziali, sono presenti solo due denunce da parte di donne musulmane'. 'Ho incontrato in prima persona difficoltà di inserimento sul lavoro a causa del velo nonostante io sia nata in Italia. Finora ho avuto solo promesse non mantenute', ha raccontato Sagidah Ahmad, 26 anni, laureata in lingue e letteratura moderna, rappresentante dell'associazione delle donne musulmane d'Italia che ha sede Milano. Hanno partecipato all'incontro, tra le altre, Loretta Bondi del direttivo della Casa internazionale delle donne, la ricercatrice Renata Pepicelli, la fumettista Takoua ben Mohamed, Barbara Giovanna Bello, rappresentante dell'associazione studi giuridici sull'immigrazione Asgi e la docente Annamaria Rivera”64.

63 ENAR: European Network Against Racism.

64 Islam: donne musulmane in Italia vittime di discriminazione. Il velo crea i

All'interno di una società in qualche modo ostile, opera in Italia l'Admi, che così si presenta: “L’ADMI, Associazione donne musulmane d’Italia, nasce nella primavera del 2001 da un gruppo di donne musulmane già attive nella comunità islamica. Lo scopo principale dell’associazione è quello di essere un punto di riferimento per le donne musulmane, rappresentarle e difendere i loro diritti aiutandole a integrarsi nella società Italiana, conservando la loro identità.

Da piccoli gruppi chiusi nei centri islamici le donne attive nell’Admi sono passate all’apertura verso la società italiana. Inizia, così, un percorso di informazione e scambio volto a decostruire gli stereotipi e pregiudizi diffusi dai media, ridando dignità all’immagine della donne musulmane: donne libere, istruite, consapevoli dell’importanza della presenza e della partecipazione alla vita sociale del Paese in cui viviamo.

Questo, senza mai negare l’esistenza di storie difficili di donne che vivono dure e indegne vite. Consapevoli di ciò abbiamo sempre condannato le cattive tradizioni che tolgono alle donne le libertà che l’Islam stesso garantisce e ci impegniamo a formare uomini e donne al rispetto reciproco e alla collaborazione. L’Associazione ha registrato lo statuto nel 2006. L’ADMI, inoltre, è tra i fondatori del EFOMW65 .

L’Associazione è iscritta all’albo delle associazioni femminili della Regione Lombardia dal 2009. L’Associazione è socia dell’Unionedelle Comunità Islamiche in Italia (UCOII)”66.

65 EFOMW : European Forum of Muslim Women. 66 admitalia.org.

Capitolo 3