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Femminismo islamico

3.1 Islam con occhi di donna

“All'ingresso orientale della moschea di Medina si ergono in semicerchio nove povere capanne di fango, con l'entrata protetta da nere tendine. Alcune delle capanne sono circondate da piccole verande; le tendine riparano dagli sguardi dei curiosi il tenore di vita e ciò che si fa all'interno. In quelle capanne vivono le madri dei credenti, le numerose donne del Profeta”67.

Così, lo scrittore Bey Essab, descrive le case delle mogli di Maometto, così ci viene tramandata una storia di luoghi lontani da noi nello spazio, nel tempo e nella cultura, luoghi dove un profeta vive circondato dalle case delle sue innumerevoli mogli: dobbiamo superare questo passaggio, superare spazi, tempi e culture e arrivare lì, in quel luogo da cui tanta storia dell'umanità parte e dove, almeno una volta all'anno, torna.

L'immagine del mondo orientale o nord africano rimane per secoli stereotipata nell'immagine fornita dal colonialismo, che marca una differenza sostanziale e non solo estetica tra uomo bianco e indigeno, considerato inferiore e dunque, anche in quel senso, oggetto di civilizzazione con lo stesso schema della famiglia dove l' occidentale è il padre che si prende cura dei suoi figli, li educa e li indirizza, mostrando quindi che: “Lo sguardo sull'Oriente non è meramente quello del soggetto occidentale, è lo sguardo di un soggetto maschile. L'Oriente è certo una costruzione culturale, come sostiene Edward Said, ma è anche una costruzione sessuale, una fantasia costruita sulla

differenza sessuale”68.

Occorre partire dal presupposto che, secondo le teologhe islamiche e non solo, Maometto coinvolgeva le sue mogli nella gestione politica e religiosa, quindi, tentando di rileggere in tal senso gli insegnamenti del Corano, le donne dell'Islam iniziano la loro battaglia, non tanto, a loro giudizio, per avere diritti, ma perché a loro vengano restituiti.

“In some Muslims countries women theologians have emerged with thorough knowledge of the Qur'an, islamic Theology and Shari'ah. Like Fatima Mernissi from Morocco, Amina Wadood and Riffat Hassam from USA and several others. Also there are women's organisations like 'Sisters in Islam' from Malaysia. These muslim women theologians and organisations are questioning the traditional interpretations of the Qur'an in respect of women rights for men end women”69.

La storia del femminismo islamico si sviluppa dunque in tutto il mondo e ha radici antiche: nel periodo pre-moderno, pur non trovando un vero e proprio movimento femminista, possiamo vedere come importanti personaggi sostenessero il miglioramento dei diritti e dell'autonomia femminile, tra cui la figura più importante è il filosofo Ibn 'Arabi, che visse nel XIII secolo e che sosteneva che le donne potessero raggiungere la stessa spiritualità degli uomini, definendosi figlio spirituale di una donna: Fatima bint al Muthanna.

“Ibn 'Arabi, il maestro più grande spiega la sua interpretazione eccezionale del divino in onore del femminile: 'Dio non può essere

visto come separato dalla materia; in quella umana Egli sarà visibile in modo più perfetto che in qualsiasi altra, e nella donna in modo ancora più perfetto che nell'uomo' . La manifestazione e la rivelazione

del divino nella mistica islamica si concentra nell'immagine dell'uomo

68 Ruba Salih, Musulmane rivelate, Carocci Editore, Roma, 2008, p.16.

69 Asgharali Engineer, The Rights of Women in Islam, Sterling Publishers, New York,

perfetto, colui che accoglie in se i nomi di Dio, e si veste di Lui. Il monoteismo assoluto nella teosofia s'incontra con l'interpretazione del wahdat al wujud, l'essere nella sua moltitudine di forme e colori non è altro che raggi Suoi. Come dice il Corano 'ovunque vi volgiate quindi

là è il volto di Dio '70. Ma come spiegano 'Ibn Arabi e tutti gli altri

mistici, in tanti secoli di cultura islamica nella presenza umana questa rivelazione è più chiara ed evidente.

E la donna appare magnificamente come l'Essenza di Dio in una teosofia poetica del grande mistico persiano Jami cinque secoli fa: in un tempo oltre il tempo prima della Creazione quando l'unico Essere era ancora 'sola' ”71.

Tale ideologia porta addirittura ad un rovesciamento dei valori e dei ruoli dei generi, cosa che verrà fatta propria da tutta una serie di femministe islamiche a partire dal 1870, quando inizia a prendere forma il dibattito sulla necessità dell’emancipazione delle donne, intesa come indispensabile per lo sviluppo e la modernizzazione del mondo arabo: soprattutto in Egitto si registra, anche da parte di intellettuali uomini, l’esigenza dell’istruzione femminile, considerata indispensabile per l’educazione dei figli e il progresso della società. Il movimento femminista islamico nasce di fatto tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 e si sviluppa in modo sempre più ampio in tutto il mondo, differenziandosi sostanzialmente dal femminismo occidentale perché fonda le sue basi culturali su una reinterpretazione del Corano i cui contenuti vengono considerati distorti in senso patriarcale dal contesto storico in cui si sono diffusi e che, come abbiamo visto, in molte occasioni, affermano un’uguaglianza di uomini e donne di fronte a Dio.

La causa di tale distorsione viene indicata principalmente, come

70 Corano, II-115

71 Shahrzad Houshmand Zadeh, Il femminile nell'Islam, in AA.VV., Genere e religioni in Italia: Voci a confronto, Franco Angeli, Milano, 2014, p.186.

argomenta Ruba Salih, nel colonialismo e nei suoi concetti portanti: “L'amministrazione dominante decise solennemente di difendere la donna, rappresentata come umiliata sequestrata degradata (…) trasformata dall'uomo algerino in un oggetto umano inerte, privo di denaro, realmente disumanizzata (…) una volta stabilito che la donna era il centro della società algerina vennero fatti tutti gli sforzi possibili per ottenere il controllo su di lei. La retorica coloniale sulla liberazione delle donne musulmane oppresse produsse nelle menti di molti musulmani una facile associazione tra femminismo e imperialismo culturale72.

Come ricorda Renata Bedendo: “La discussione sull'applicazione della shari'a risale alla fine dell'800 quando il mondo arabo venne a contatto con l'Occidente e il suo diritto”73.

Per tutto il periodo del colonialismo che pone i propri valori come faro di civiltà, da parte del mondo islamico si produce una reazione di difesa culturale, dove l'ultimo baluardo è rappresentato dalla famiglia, unico organismo sociale capace di resistere a difesa della propria identità: “la retorica coloniale sulla 'liberazione' delle donne musulmane oppresse produsse nelle menti di molti musulmani una facile associazione tra femminismo e imperialismo culturale. A partire dall'Ottocento, i tentativi locali e indigeni di migliorare la posizione della donna nella società cominciano ad essere rappresentati dalle autorità politiche e religiose come disegni imperialisti, e i collaboratori locali di questi progetti, nello specifico i movimenti femminili, vennero visti come portatori di messaggi non indigeni e culturalmente estranei ”74.

La conseguenza di tale considerazione storico-culturale fa si che i

72 Ruba Salih, op. cit. p.20.

73 Jolanda Guardi, Renata Bedendo, Teologhe, musulmane, femministe, Effatà

Editrice, Torino, 2009, p.23.

tentativi del femminismo islamico di migliorare le condizioni della donna nelle società islamiche attraverso i principi di uguaglianza presenti nelle fonti del diritto islamico, il Corano e la Sunna, per adattarli alle rinnovate esigenze della società, siano letti come un abbandono dei valori dell'Islam.

La battaglia per arrivare alla piena uguaglianza di tutti i musulmani, a prescindere dal genere, nella vita pubblica e privata si presenta così estremamente ardua e complessa e divide il movimento in più filoni culturali come ben argomenta la Pepicelli, profonda conoscitrice di quel variegato mondo che è il femminismo islamico: “Le sue differenti anime non possono essere comprese appieno se lette come storie isolate e nazionali. La sua effettiva portata può infatti essere messa a fuoco correttamente solo se le diverse realtà nazionali vengono considerate come parti di un quadro più ampio e complesso. Un piano per comprendere il quale è necessario spostarsi continuamente da un piano locale a uno globale. Alla base di questo movimento vi è l'idea che i percorsi che portano all'emancipazione femminile non debbano necessariamente svilupparsi adottando il modello universalista dell'ideologia femminista occidentale, ma che possano invece realizzarsi attraverso l'accettazione e la reinterpretazione critica della propria tradizione culturale”75.

Le femministe islamiche intendono sostenere i diritti delle donne, l'uguaglianza di genere e la giustizia sociale, sempre seguendo i dettami di Maometto.

“Il femminismo islamico si pone dunque come un movimento che ridefinisce e mette in discussione sia le categorie liberali di diritti umani, soggettività femminile, emancipazione, sia l'ortodossia islamica che giustifica il patriarcato”76.

75 Renata Pepicelli, Femminismo islamico, Carocci Editore, Roma, 2010, p.22. 76 Renata Pepicelli, op.cit. p.52- 53.

Paesi a maggioranza islamica hanno prodotto vari Capi di Stato, primi Ministri e Segretari di Stato donne, dall'Azeirbaigian con Lala Shovkat, alla Bhutto in Pakistan, a Tansu Ciller in Turchia e molte altre, anche se ciò non rappresenta ancora la vittoria della donna nell'affermazione dei suoi diritti.

Le donne hanno svolto un ruolo importante nella realizzazione di molte istituzioni educative islamiche, ispirandosi alle mogli di Maometto, specialmente a Kadijah, la prima moglie, donna manager e di successo e ad Aisha, che, dopo la morte del Profeta, fu anche capo militare.

Possiamo ben vedere, attraverso un rapido excursus all'interno dei vari comitati, che, a mettere in discussione l'interpretazione maschilista e misogina della tradizione islamica, vi siano stati sia studiose donne che uomini che mostrano come, affrontando diversamente la lettura del Corano, escano risultati decisamente lontani da quella misoginia che, come abbiamo potuto vedere, non era propria neppure di Maometto. Una delle studiose particolarmente attive è la docente di Studi islamici della Virginia Commonwealth University, l'afroamericana Amina Wadud, che sostiene che il genere sia una categoria di pensiero che attraversa tutto il libro.

“Wadud spiega che le differenze di genere sono da mettere in relazione con le funzioni sociali e culturali, e che nel Corano Dio si rivolge agli individui intesi come nafs (anima), senza riferimenti al loro genere. La femminilità e la mascolinità, sostiene la teologa afroamericana, non sono caratteristiche innate nell'uomo e nella donna, e non sono neanche concetti che il Corano discute o a cui fa allusione; sono caratteristiche che vengono applicate rispettivamente alla persona femminile e a quella maschile sulla base di fattori determinati culturalmente, che stabiliscono come ciascun genere debba

comportarsi”77.

I contesti storici in cui si è sviluppato l'Islam, data la loro diversità, hanno proceduto su diverse linee, legate però tutte alla base della società rappresentata dalla famiglia: come vedremo è la rilettura dei dettami sui rapporti famigliari a decidere sulla sorte delle donne nella società.

Scrive, infatti, Zadeh: “La principale sfida del femminismo islamico consiste quindi nel reinterpretare da una prospettiva di genere la tradizione musulmana; per fare ciò si serve dell'ijtihad, la ricerca indipendente sulle fonti religiose, un processo che i credenti possono intraprendere quando un passaggio del testo sacro lascia spazio a più letture e interpretazioni. Oltre all'ijtihad le femministe islamiche si servono, nel rileggere i testi islamici, del tafsir, l'esegesi del Corano. Per avere più chiaro l'ambito storico in cui si sono formate la tradizione islamica e la successiva giurisprudenza, si avvalgono poi di diverse discipline di analisi storica e sociale. In particolare si concentrano, come dimostrano gli studi delle magrebine Fatima Mernissi (1992) e Assia Djebar (1993), sullo studio della vita del Profeta, delle sue mogli e delle donne che hanno ricoperto ruoli importanti nella storia dell'Islam”78.

All'interno dei femminismi islamici, come leggiamo in “Teologhe, musulmane, femministe”, “possiamo distinguere cinque approcci diversi, alcuni dei quali non specifici delle donne, ma adottati anche da altri movimenti: una posizione apologetica, che si inserisce nel filone di quei movimenti di base che sostengono che l'Islam, così come tramandato nel libro divino, fornisce ai due sessi tutti i diritti di cui hanno bisogno per il proprio benessere, si tratta solo di applicarli. (…) Un secondo approccio, che possiamo chiamare riformista, si basa

77 Renata Pepicelli, op. cit. p.63.

sull'affermazione che la distinzione più significativa è quella tra i testi autoritativi e le loro traduzioni. Per i riformisti la parola di Dio è stata compresa in modo inadeguato e/o male interpretata. Questa corrente mette in questione le interpretazioni ma non la parola divina, ed è quella che è maggiormente rappresentata nella teologia femminista”79.

Vi è poi una posizione trasformazionista che, in questo Versetto del Corano vede l'interpretazione di quelli che sono i versetti chiari e quelli elusivi, ribaltando l'interpretazione classica, considerando elusivi quelli finora considerati chiari e viceversa: “E' lui che ha fatto

scendere il Libro su di te. Esso contiene versetti espliciti, che sono la Madre del Libro, e altri che si prestano a interpretazioni diverse. Coloro che hanno una malattia nel cuore, che cercano la discordia e la interpretazione, seguono quello che è allegorico, mentre solo Allah ne conosce il significato. Coloro che sono radicati nella scienza dicono 'Noi crediamo: tutto viene dal nostro Signore'. Ma i soli a ricordarsene sempre, sono i dotati di intelletto”80.

Troviamo poi la posizione razionalista che ritiene che nel Corano sia applicato un criterio di giustizia e non che sia giusto ciò che dice, fino a quella di totale rifiuto della legislazione in riferimento alle donne. La domanda che più spesso viene posta è se si può essere femministe e islamiche e la risposta viene dalle stesse donne che si riuniscono in movimenti in quasi tutti i Paesi islamici.

“Non si presentano nelle stesse forme, né agiscono in modo uguale in ogni nazione, ma rappresentano una forza significativa di cambiamento nei costumi, nei valori, nella cultura e nella politica. Scavano nel profondo, sono come un lievito che prepara la società a fare i conti con la modernità e la incalza per avvicinare questo obbiettivo”81.

79 Jolanda Guardi, Renata Bedendo, op.cit., p.34. 80 Corano, III-7

3.2 Il Velo

Il velo rappresenta nell'approccio occidentale all'Islam la caratterizzazione più evidente della sottomissione femminile.

La storia ci tramanda che il velo era un'usanza diffusa nel Medio Oriente e nel bacino del Mediterraneo prima della nascita della religione islamica, ed era un segno di superiorità, tanto che lo indossavano solo le donne delle classi superiori e pare che durante la vita di Maometto, “le uniche donne a cui si chiese di indossare il velo fossero state le sue mogli”82 per mostrare un superiore status sociale, lo

stesso velo che le femministe islamiche portano come segno distintivo del loro essere donne indipendenti.

Come abbiamo potuto vedere dalle precedenti trattazioni, al di là delle differenze di approccio alla tematica femminista islamica, il concetto base resta essenzialmente diverso in confronto al femminismo occidentale, se non nei contenuti, nelle enunciazioni di base che partono dal Corano e nel Corano si specchiano, rigettando l'influenza ideologica dell'Occidente vista come una violenza culturale, relativizzando le leggi umane per fondare il discorso sulla religione e riappropriarsi del messaggio originale travisato dagli uomini.

Proprio a tale proposito, Renata Pepicelli nel libro “Femminismo islamico” presenta il velo come un 'caso significativo' per aiutare nella comprensione di contenuti culturali di grande sottigliezza filosofica: “Sebbene molte femministe islamiche – la quasi totalità di quelle citate in questo libro- non lo indossino, esse difendono la libertà di scelta delle donne e non trovano alcuna contraddizione tra le rivendicazioni di uguaglianza di genere, l'emancipazione femminile e il coprirsi il capo. Scrive a proposito al-Hibri83 : Perché indossare un velo dovrebbe

Giunti, Firenze, 2013.

82 Ruba Salih, op.cit., pag. 33 83 2007 pp. 47-48

essere oppressivo e invece indossare una minigonna liberatorio? Omaina Aboud-Barkr, invece, si chiede: Questo tipo di indumento, culturalmente accettato ovunque dalle società musulmane, è realmente contrario allo spirito del femminismo? La coscienza femminista può esistere solo in donne mediorientali che appaiono “moderne” e si vestono seguendo la moda occidentale ?”84.

Nel volume “Sull'orlo del vulcano. Il caso Arabia Saudita” di Pascal Ménoret, un medico donna di Riyadh così si esprime: “Chi siete voi per venirci a dare delle lezioni? Io ho creduto veramente ai valori che l'Occidente difendeva, ma voi li tradite, soprattutto in Palestina. Avete visto le immagini dei prigionieri di Guantanamo, trattati come animali? Voi non ci avete mai accettati per come siamo, voi volete semplicemente che diventiamo come voi. L'Islam è alla base della nostra vita, non voglio che questo cambi, non abbiamo nient'altro che l'Islam”85.

Anche all'interno del volume già citato, Ménoret parla del velo, come simbolo positivo e non come negativa costrizione: “Di questo femminismo islamico ' il nuovo velo' o 'velo islamico' è il segno più evidente. Così come alcune donne fanno del velo un oggetto di seduzione, altre impongono a questo segno un senso religioso, e porteranno la tarha in tutte le circostanze,anche in privato o all'estero, liberandosi così, anche nell'intimità del modello femminile imposto dagli uomini. Il significato del velo sociale (il khimar) non è annullato, ma è fortemente relativizzato: rivendicando il velo religioso le femministe islamiche trascendono il velo sociale e criticano la pratica (profana) che consiste per gli uomini di una famiglia nel sottrarre la donna, figlia o sorella, alla bramosia degli estranei ”86.

84 Renata Pepicelli, cit. p.52.

85 Pascal Ménoret, Sull'orlo dei vulcano. Il caso Arabia Saudita, Feltrinelli Editore,

Milano, 2004, p.183.

Il velo appare dunque, seguendo queste argomentazioni come un concetto più che un capo di abbigliamento e, in quanto concetto, assume il valore che ognuno intende dargli e presuppone dunque un rispetto dovuto a scelte non superficiali, ma profonde e spesso sofferte. A tale proposito vorrei riportare una poesia della malesiana Nor Faridah Abdul Manaf intitolata: “Il velo è il mio corpo”:

E' solo un pezzo di stoffa Turba il mondo

Plasma una civiltà Una civiltà fraintesa Costringe, dice l'incolto Opprime, fa eco l'ignorante Il velo è il mio corpo

Il velo è anche la mia mente

Il velo definisce la mia identità culturale Il velo è ciò che sono

Le vostre denigrazioni e prescrizioni A che io me lo strappi dal capo Sono una violenza sul mio corpo Un'invasione della mia terra E' solo un pezzo di stoffa

Ma dopo la Palestina, l'Iraq, l'Afghanistan, le Molucche e il Kosovo Questo è tutto ciò che ho.

Capitolo 4

Il Maghreb