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LA RISCOPERTA DEL VALORE DELL’ARTIGIANATO

2.1 IL FENOMENO E LE SUE CARATTERISTICHE

Uno dei principali contributi che descrivono le caratteristiche del fenomeno si deve a Bruce Nussbaum, esperto di innovazione, design thinking e creatività, che ha coniato un termine per descrivere il fenomeno, Indie Capitalism, in un articolo pubblicato nel

dicembre 2011 su Fast Company 9, periodico di innovazioni tecnologiche, economia

etica, design e leadership. Con questo termine egli definisce una nuova forma di capitalismo basata sulla creazione di una comunità di makers o artigiani. L’autore individua quattro caratteristiche principali:

- essere localizzata in un luogo preciso, - essere basata su transazioni sociali,

9 B. Nussbaum, 4 reasons why the future of capitalism is homegrown, small scale, and independent, FastCompany.com, 6 Dicembre 2011

- essere un sistema produttivo basato sulla creazione di nuovo valore, - evidenziare il senso incluso all’interno dei materiali e dei prodotti.

La prima caratteristica, ovvero essere locale, significa creare un profondo legame con la comunità in cui sorge, rendendo l’azienda parte integrante di essa. La relazione si crea poiché l’azienda è interessata alla comunità in cui è inserita e al lavoro. Il concetto di base è che le cose belle derivano e sono prodotte localmente da persone che si conoscono e si possono incontrare. Tutto ciò la rende intrinsecamente sostenibile a livello ambientale: il risparmio energetico non è dovuto al raggiungimento di qualche obiettivo esterno ma è il risultato di un modo di condurre gli affari.

La seconda caratteristica del fenomeno per l’autore è quella di essere un capitalismo basato sulla condivisione e sulla socialità, non sulla transazione, ossia non c’è distinzione tra la figura di consumatore, investitore, pubblico, fan, aiutante o produttore, poiché confluiscono tutti nella stessa persona. Questa infatti diventa attiva, partecipa in prima persona al processo e condivide con gli altri ciò che produce.

L’autore inoltre identifica il fenomeno come un sistema economico produttivo basato sulla creazione di nuovo valore, non di mero commercio di vecchio valore. Tutti i campi del fare sono interessati, dal cibo alla musica, dai modelli CAD alla fabbricazione in 3D, alla robotica e non solo. Secondo Nussbaum la produzione è parte integrante del vivere quotidiano e gli strumenti per farlo assumono sempre più un ruolo pratico nella vita di tutti i giorni. La produzione di oggetti di qualità comincia a sostituire il consumo come fine in sé. L’autore ricorda diverse campagne pubblicitarie di grandi aziende che riportano orgogliosamente l’origine locale, la produzione domestica degli oggetti promossi, come quelle di Chrysler e Jeep. Riporta poi il commento di Dan Provost e Tom Gerhardt, produttori, grazie alla piattaforma di crowdfunding Kickstarter, di un cavalletto per Iphone, secondo cui il successo del loro progetto è dovuto solo in parte all’oggetto in sé, poiché “people like to know where things are coming from, and the

story behind it” 10, ossia gli acquirenti apprezzano sapere da dove derivano i prodotti e

la storia che ne racconta le origini.

10 B. Nussbaum, 4 reasons why the future of capitalism is homegrown, small scale, and independent, FastCompany.com, 6 Dicembre 2011

Infine, l’ultima caratteristica che individua Nussbaum è l’importanza che assume il significato incorporato nei materiali e nei prodotti, rendendo l’autenticità il brand che caratterizza gli oggetti. Assumono notevole importanza l’elevata qualità, l’utilità, la funzionalità, la durata e la condivisione dei prodotti, e con ciò rendendo il brand superfluo, sostituito dalla comunità in cui questi vengono prodotti.

Nussbaum precisa anche il perché della scelta del termine indie: porre l’attenzione sulla società e sulla centralità dell’artista/designer a discapito del lato tecnologico e ingegneristico.

Se Nussbaum nel suo articolo identifica un trend generale e trasversale ai diversi

settori della produzione, il Guardian11 in un articolo dell’aprile 2012 di Ilaria

Pasquinelli, sostiene che le aziende di piccola dimensione sono leader nell’innovazione, in particolare quando occorre reinventare prodotti e processi. Secondo l’articolo le piccole aziende sono spesso guidate da designer o specialisti visionari, in special modo nel fashion. Inoltre la dimensione ridotta consente maggiore flessibilità, cruciale per adattarsi alle mutevoli condizioni di mercato e alle turbolenze economiche, e rappresenta la spinta ad una maggiore propensione al rischio per riuscire a lasciare un segno nel mercato. La piccola scala presenta però anche dei problemi, tra questi la scarsità di risorse finanziarie a disposizione. Secondo l’autrice proprio su questo punto si può innestare una collaborazione tra imprese: le grandi aziende possono offrire i capitali necessari alla crescita delle piccole aziende in cambio della loro capacità innovativa. Un’altra soluzione è possibile grazie alla rete e alle piattaforme di crowdfunding.

Pasquinelli sostiene come le caratteristiche principali delle imprese di minor dimensione, ossia creatività e innovazione, rappresentino la chiave per competere efficacemente nel mondo del fashion. Ne consegue che piccole aziende ben gestite in questo ambito competitivo possono rappresentare il futuro del settore; esse infatti sanno cogliere meglio i trend del mercato in quanto sono più vicini ai gusti dei consumatori. Moltissimi i casi di produttori indipendenti che hanno cominciato questa strada proprio per soddisfare le loro esigenze, creando una nicchia non presidiata da nessun prodotto

già sul mercato. La vicinanza al mercato, nonché la flessibilità dovuta alla dimensione, consentono alle piccole aziende di cogliere maggiormente anche la spinta green ed eco- sostenibile sia per quanto riguarda i processi sia per quanto riguarda i prodotti.

Sul tema si è espresso anche Chris Anderson 12, direttore di Wired USA, in un lungo

articolo pubblicato sul numero di Febbraio 2010 del noto periodico, in cui descrive alcuni casi di realtà di successo che hanno trasformato i garage in laboratori di innovazione. Nel corso dell’articolo egli descrive come sia possibile, sfruttando le moderne tecnologie, creare piccole aziende che soddisfano nuove nicchie di mercato, la cui domanda è sparsa su diversi continenti, con successo. Egli sostiene “If the past 10 years have been about discovering post-industrial social models on the Web, then the

next 10 years will be about applying them to the real world” 13. La democratizzazione

offerta da Internet per l’editoria, la comunicazione e la musica si sta ora applicando alla manifattura: l’open source non riguarda più solamente il mondo digitale dei software, ma anche il mondo reale e l’hardware. Gli strumenti offerti da Internet combinati alla disponibilità di strumenti sofisticati e all’avanguardia a prezzi contenuti permettono la democratizzazione del settore manifatturiero e l’apertura delle supply-chain al singolo individuo. Secondo l’autore è proprio con la democratizzazione di tali strumenti che la produzione si apre agli individui, creando il C2B, ossia il consumer to business. Con ciò si intende che il singolo individuo può far produrre la sua idea a imprese manifatturiere grazie a internet. Secondo Anderson, ogni individuo con un’idea può realizzarla, basta creare dei modelli, tradurli in prototipi tramite gli strumenti oggi a disposizione e una volta messa a punto passare alla produzione, che a seconda dei quantitativi può essere svolta all’interno di aree a disposizione, come il garage, o essere data in outsourcing. Una volta prodotta si potrà procedere alla vendita diretta online, tramite piattaforme e- commerce o creando un proprio e-shop, alla promozione dell’idea sempre online e/o partecipando a fiere dell’artigianato o del fai-da-te. Si tratta della rivoluzione industriale del fai-da-te. L’avvento della rete e dei social network ha permesso di abbattere i costi di transazione che, secondo la teoria di Coase, rappresenta la ragione dell’esistenza

12 C. Anderson, The Next Industrial Revolution: Atoms are the new Bits, Wired.com, 25 Gennaio 2010 13 C. Anderson, Atoms are the new Bits, 2010

delle aziende. Non occorre più assumere dipendenti per potersi confrontare con chi è più competente in una certa materia, basta collegarsi ad una comunità online e porre la propria domanda, per ottenere la risposta che si cercava.

Un altro contributo illustre al dibattito deriva da un articolo di Eric von Hippel, Sumusu Ogawa e Jeroen P.J. de Jong del 21 settembre 2011 pubblicato sul MITSloan

Management Review 14. Nell’articolo si identifica un nuovo paradigma dell’innovazione

(grafico 1), secondo cui il consumatore è l’elemento centrale, ossia è proprio ad esso che si devono le principali innovazioni, in quanto insoddisfatti dei prodotti sul mercato li modificano per andare incontro alle proprie esigenze. In molti casi mettono a disposizione degli altri consumatori la loro idea ed esperienza, così che il progetto viene valutato da altri consumatori. In alcuni casi l’ideatore decide di entrare nel business e creare un’azienda dedicata alla produzione del progetto per renderlo disponibile ai potenziali clienti.

Grafico 2.1 Un nuovo paradigma dell’innovazione

Fonte: E. von Hippel, S.Ogawa, J.P.J. de Jong, The Age of the Consumer-Innovator MIT Sloan Management Review, 21 Settembre 2011

L’articolo si basa su un sondaggio effettuato in tre paesi, USA, UK e Giappone. I risultati del sondaggio mostrano come il fenomeno del consumatore innovatore sia molto diffuso (tabella 1) e come il consumatore innovatore tipo sia principalmente maschio, con un alto grado di istruzione, prevalentemente in campo tecnico- ingegneristico (tabella 2). L’indagine indaga anche cosa succede dopo l’innovazione

14 E. von Hippel, S.Ogawa, J.P.J. de Jong, The Age of the Consumer-Innovator MIT Sloan Management Review, 21 Settembre 2011

(tabella 3), infatti non in tutti i casi l’individuo decide di trasformare l’idea in business, trasformandosi in una opportunità per le principali aziende che possono decidere di includere le migliorie all’interno dei loro prodotti.

Tabella 2.1 L’estensione del fenomeno dei consumatori-innovatori

Fonte: E. von Hippel, S.Ogawa, J.P.J. de Jong, The Age of the Consumer-Innovator MIT Sloan Management Review, 21 Settembre 2011

Tabella 2.2 Il profilo del consumatore-innovatore

Fonte: E. von Hippel, S.Ogawa, J.P.J. de Jong, The Age of the Consumer-Innovator MIT Sloan Management Review, 21 Settembre 2011

Tabella 2.3 Cosa succede alle innovazioni

Fonte: E. von Hippel, S.Ogawa, J.P.J. de Jong, The Age of the Consumer-Innovator MIT Sloan Management Review, 21 Settembre 2011

Il dibattito italiano sul tema è marginale rispetto ai paesi anglosassoni, ma il fenomeno è comunque considerato molto importante da alcune istituzioni, come Fondazione Altagamma, l’associazione di categoria CNA Federmoda, enti organizzativi di fiere ed eventi espositivi come AltaRoma, Pitti Immagine, Mipel e Micam.

Al fine di completare il quadro sembra necessario rivelare che sempre più i giovani sono pervasi da uno spirito imprenditoriale, si dicono pronti e favorevoli a creare una loro attività, più che propensi al lavoro dipendente. In particolare una ricerca della

Kaufmann Foundation15 rivela come il 54% dei giovani tra 18 e 34 anni vorrebbe

avviare o ha già avviato un’azienda. Le percentuali salgono ancora se si considerano i Neri o i Latini, il cui desiderio di mettersi in proprio sale rispettivamente al 63% e 64%. Le nuove generazioni riconoscono come l’imprenditorialità sia la strada per rivitalizzare l’economia. Non mancano le difficoltà in particolare legate alla disponibilità di capitali da investire o alla paura di non riuscire a restituire i debiti già in essere, dovuti principalmente ai prestiti accumulati per pagarsi l’istruzione. Inoltre la crisi economica spinge molti giovani a non intraprendere subito una nuova attività, ma a posticipare di qualche anno, nella speranza di un recupero dell’economia.

All’interno del modello produttivo considerato, viene premiato il fare manuale, la cura dei dettagli e la qualità, ossia il paradigma della produzione artigianale, accostato agli strumenti moderni offerti dalla rete, per rispondere a nuovi trend di consumo.