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3.5 Decadimento prestazionale del c.b

3.5.1 Il fenomeno della rottura per fatica

La rottura per fatica si sviluppa a seguito di eccessive sollecitazioni subite dalla pavimentazione e dovute all’applicazione di continui carichi che, a lungo andare, creano delle fessure. Le fessure longitudinali che per prime si manifestano, rappresentano il segnale iniziale del fenomeno cui seguirà una progressiva evoluzione in cui queste si congiungeranno tra loro dando origine alla formazione di più fessure.

Lo stato avanzato di rottura prende il nome di fessurazione reticolare a maglie strette ed è caratterizzato da una serie di fessure trasversali che congiungono quelle longitudinali. Solo in casi estremi si realizzerà una buca dove pezzi di pavimentazione vengono dislocati dal traffico.

Figura 3-30 - Rottura a fatica di una pavimentazione

La rottura per fatica può essere causata da molteplici fattori: le pavimentazioni con strati sottostanti sottili e deboli sono, ad esempio, soggetti a deflessioni sotto l’effetto di carichi, ma anche un drenaggio scadente o una pavimentazione sottodimensionata contribuiscono all’evolversi del problema.

Delle volte, poi, la rottura per fatica rappresenta solo un segnale che la pavimentazione ha superato il numero di applicazioni di carichi previsti già in fase progettuale, in questo caso, al fine della risoluzione del problema, sarà sufficiente operare un restauro.

Se, però, la rottura si realizza in tempi profondamente minori rispetto a quelli preventivati in sede di progettazione, ciò vuol dire, probabilmente, che qualche errore è stato fatto già in questa fase, ad

esempio sottovalutando i carichi di traffico cui sarebbe andata incontro la pavimentazione stessa.

Per ovviare a tale eventualità potranno essere adottati i seguenti accorgimenti:

- Valutare adeguatamente il numero di mezzi pesanti durante la fase di progetto;

- Mantenere dei substrati asciutti attraverso l’impiego di qualsiasi tipo di mezzo disponibile;

- Utilizzare pavimentazioni più spesse;

- Utilizzare materiali che non si indeboliscano eccessivamente in presenza di umidità;

- Utilizzare, infine, materiali che siano abbastanza resilienti, cioè capaci di resistere a deflessioni normali.

Sulla scorta delle affermazioni appena dette, l’HMA deve avere assumere un adeguato comportamento elastico che gli consenta di resistere a ripetute applicazioni di carico senza rompersi.

Nel momento in cui ad una pavimentazione è applicato un carico, si manifestano delle tensioni orizzontali negli strati inferiori del legante. È proprio in queste zone che il materiale deve mostrare particolari requisiti di resistenza, assumendo il comportamento di un soffice materiale elastico che eviti l’insorgere di deformazioni che portano alla rottura, infatti, poiché i leganti soffici hanno delle proprietà a fatica superiori rispetto a quelli duri, vengono indicati dei limiti superiori di rigidezza oltre i quali un legante non deve andare.

Le tipologie di rottura in una pavimentazione sono le seguenti:

Rottura per fatica di tipo bottom-up

Questa tipologia di frattura, quale conseguenza della ripetuta sollecitazione di flessione nelle pavimentazioni stradali originata dal traffico stradale, inizia dalla superficie inferiore degli strati bituminosi per poi propagarsi successivamente verso l’alto. In una fase iniziale, infatti, appare una piccola frattura longitudinale lungo la traiettoria dello pneumatico, che poi si sviluppa rapidamente su una superficie più ampia formando una rete a maglie strette, dalla quale deriva il nome di ammaloramento a “pelle di coccodrillo” (Alligator Cracking).

Il meccanismo appena descritto è illustrato in Figura 3-31 ed in Figura 3-32, dove vengono rappresentati gli strati più superficiali di

una pavimentazione flessibile costituita da uno strato sottile di conglomerato, steso su uno strato di base. Già dalla lettura delle immagini, si evince chiaramente come l’origine delle fratture sia localizzata nell’interfaccia tra lo strato di base non legato e lo strato bituminoso.

Figura 3-31 - Rottura a fatica di tipo bottom-up[10]

Figura 3-32 - Meccanismo di rottura per fatica di tipo bottom-up[10]

Le elevate deformazioni o tensioni di trazione al di sotto dello strato legato che generano questo tipo di fessurazione non sono legate ad un’unica causa eziologica, potendo originare da molteplici fattori: dagli spessori troppo sottili all’impiego di conglomerati inidonei ai carichi in esercizio; per l’intensità e la ripetizione del carico indotto dal traffico stradale più alti e maggiore pressione dei pneumatici; strati di fondazione non compattati adeguatamente ed uniformemente oppure

presenza di aree più deformabili legate a sottoservizi o variazioni localizzate dell’umidità o del livello della falda.

Rottura per fatica di tipo top-down (o fessurazione longitudinale)

Seppure la maggior parte delle fratture originano al di sotto degli strati bituminosi, le fessure indotte dal carico, a contrario, possano anche avere inizio in superficie e propagarsi verso il basso. Le opinioni tendenti a giustificare i meccanismi che causano questo tipo di rottura sono diverse, tuttavia, non esistendo dati inconfutabili o particolarmente attendibili in tal senso, non è possibile propendere verso una, piuttosto che verso un’altra tesi. Tali argomentazioni possono sicuramente sintetizzarsi nei seguenti termini: secondo una prima scuola di pensiero, la causa dell’innesco e propagazione della fessurazione sarebbe la presenza del carico indotto dal costante passaggio dei veicoli che provoca lo sviluppo di elevate tensioni e deformazioni in superficie; altre teorie, per converso, imputano l’innesco della fessurazione sullo strato superficiale agli sforzi di taglio indotti dallo pneumatico in prossimità del bordo dello stesso. In ogni caso, l’invecchiamento del conglomerato bituminoso causato anche dai raggi UV e dagli elevati sbalzi termici accelera entrambi i processi., Secondo una terza tesi, infine, la causa della fessurazione sarebbe dovuta all’aumento di rigidezza dello strato superficiale indotta dall’invecchiamento avanzato del conglomerato bituminoso, in concomitanza con le elevate pressioni di contatto. Tale meccanismo di propagazione della frattura è illustrato in Figura 3-33 ed in Figura 3-34.

Figura 3-34 - Meccanismo di rottura per fatica di tipo top-down[10] Fessurazioni di natura termica

La fessurazione delle pavimentazioni flessibili causata dalla temperatura si riferisce o alla presenza di temperature particolarmente basse ovvero da oscillazioni termiche elevate. Tale rottura appare tipicamente come una fessurazione trasversale in superficie, infatti le fessure risultano pressoché perpendicolari all’asse stradale. Le rotture causate dagli abbassamenti di temperatura, che si verificano soprattutto in regioni con un clima estremamente freddo, sono dette anche “Low Temperature Cracking”, mentre le rotture causate da cambiamenti termici ciclici sono conosciute anche come “Thermal Fatigue Cracking” e si verificano in regioni caratterizzate da un clima con forti escursioni termiche giornaliere e stagionali. È possibile distinguere due tipologie di fratture: quelle trasversali si manifestano in una prima fase e sono seguite, in una fase successiva, quelle in blocco a causa dell’invecchiamento del conglomerato che diventa progressivamente più fragile.

3.5.2 Il fenomeno di accumulo di deformazioni permanenti

Le deformazioni permanenti rappresentano una tipologia di ammaloramento caratterizzato dall’accumulo nel tempo di piccole quantità di deformazioni che si realizzano a seguito di applicazioni di carichi, a ciascuno dei quali corrisponde una deformazione costituita da due aliquote: una elastica ed una plastica. L’aliquota elastica tende a scomparire nel momento in cui il carico smette di agire, quella plastica, invece, rimane anche dopo l’applicazione del carico.

Le aliquote cd. irreversibili si sommano all’aumentare delle applicazioni dei carichi diventando sempre più evidenti fino a formare un’ormaia, causando una deformazione che aumenterà all’aumentare

delle applicazioni dei carichi come si evince dal seguente diagramma deformazioni-applicazioni dei carichi.

Figura 3-35 - Legame deformazioni-numero di applicazione dei carichi[6]

Le tipologie di accumulo di deformazioni permanenti sono le seguenti:

• Addensamento;

• Deformazione tangenziale e scorrimento laterale; • Rifluimento.

Sono due le cause fondamentali che possono dare vita a questo tipo di deformazione: tensioni ripetute applicate alla sottobase ovvero un’insufficiente resistenza al taglio della miscela di legante.

Limitatamente alla prima, sebbene l’utilizzo di materiali rigidi abbaino ridotto questa tipologia di deformazione, essa rappresenta, ancora oggi, un problema più di ordine strutturale che non dei materiali. Non è, infatti, possibile costruire una pavimentazione che sia abbastanza resistente o spessa e capace di ridurre le tensioni applicate ad un livello tollerabile.

Figura 3-36 - Ormaiamento su base o sottofondo debole

La seconda delle citate cause prende in considerazione una tipo di ormaia più preoccupante della prima poiché interessa gli strati superficiali della pavimentazione ed è dovuta ad un’insufficiente

resistenza al taglio della miscela di legante, che accumula piccole, ma permanenti, deformazioni a ciascun passaggio dei mezzi pesanti formando un solco nella pavimentazione.

Generalmente le ormaie si presentano nelle zone della pavimentazione più indebolite e soggette ad elevate temperature.

Figura 3-37 - Ormaiamento su strato superficiale debole

Lo studio delle ormaie considera complessivamente la miscela di aggregati e di bitume ed è, pertanto, applicare l’equazione di Mohr- Coulomb al conglomerato bituminoso.

In questo caso,  indica la resistenza al taglio del conglomerato bituminoso, la coesione c è il contributo di resistenza al taglio del legante, mentre il contributo dell’aggregato è rappresentato dall’angolo di attrito  e dipende dalla tensione normale .

L’ormaia rappresenta l’accumulo di piccolissime deformazioni permanenti, pertanto, un buon metodo per assicurare lo sviluppo di una buona resistenza al taglio è quello di utilizzare un legante che non sia solo rigido ma, di più, che si comporti come se fosse un solido elastico ad alte temperature.

Volendo utilizzare un legante con elevate caratteristiche di resistenza, il contributo del coefficiente c nell’equazione già citata risulterebbe più elevato rispetto a quello che si avrebbe utilizzando un legante di scarsa resistenza.

Da un punto di vista matematico, poi, la retta di inviluppo a rottura rimarrebbe a pendenza costante ma salirebbe verso l’alto, per cui a

parità di tensione normale si otterrebbe una resistenza al taglio più elevata.

Figura 3-38 - Confronto tra tipologie di leganti sul piano di Morh-Coulomb

Infine, un ulteriore modo per aumentare la resistenza al taglio del c.b. è selezionare un aggregato con elevato attrito interno.

Elevati angoli di resistenza al taglio sono caratteristici di aggregati cubici con una struttura superficiale ruvida che mostrano una elevata azione di contatto tra le particelle. All’applicazione dei carichi, le particelle di aggregato si stringono insieme comportandosi come se fossero una larga pietra singola ed elastica. In tal modo l’aggregato agirà, insieme al legante, come un elastico, tornando alla posizione originaria senza accumulo di deformazioni permanenti.

Un aggregato con un elevato angolo di resistenza al taglio mostra una pendenza della retta di inviluppo più elevata rispetto a quella ad un aggregato con un angolo più piccolo. Per cui, a parità di tensione normale, si ha una resistenza al taglio più elevata.

4 Lo studio a mesoscala del conglomerato

bituminoso

Osservato a grandi linee e nel suo complesso, il c.b. potrebbe essere considerato un materiale omogeneo, tuttavia, se analizzato dettagliatamente e, soprattutto, da un punto di vista prettamente meccanico, è, per converso, facile notare come il suo comportamento sia, in realtà, di complessa definizione.

Per comprendere appieno la reologia di questo materiale è necessario, pertanto, condurre un’indagine più da vicino, esaminando quali possano essere le mutue interazioni tra le diverse fasi che compongono il sistema anche in situazioni limite, come accade ad esempio durante la fase di propagazione della frattura.

Innanzitutto, come si è già avuto modo di anticipare a conclusione del precedente capitolo, ad una già rapida analisi della letteratura, è abbastanza palese come non esista un univoco orientamento nella materia di cui oggi si discute. Gli autori che, nei loro studi, si sono occupati della questione, infatti, non propendono verso un indirizzo comune ma, per converso, danno luogo principalmente alle seguenti scuole di pensiero:

• la prima predilige una visione prettamente teorica. Secondo tale orientamento, l’obiettivo principale sarebbe quello di interpretare il comportamento del materiale mediante micro-simulazioni numeriche ad elementi finiti e modellazione dei legami costitutivi; • la seconda si orienta verso uno studio di natura sperimentale.

Attraverso la sperimentazione e, specificamente, tramite test di laboratorio opportunamente monitorati, viene valutato il rapporto tra le diverse fasi della miscela.

Il primo approccio concentra lo studio sulla definizione di algoritmi per modellare il sistema di fasi aggregati-bitume, al fine di ottenere una rappresentazione del materiale più realistica possibile.

Il modello del materiale viene così sottoposto a prova mediante simulazioni numeriche volte ad analizzare le caratteristiche della miscela ed i relativi effetti globali che poi, solo in una fase successiva, sono confrontati e validati con un’analisi sperimentale.

Il principale vantaggio di questo metodo, infatti, risiede nell’utilizzo di procedure numeriche che consentono di superare agevolmente alcune difficoltà delle prove sperimentali spesso non trascurabili.

Le problematiche che molto spesso riguardano tali prove sono generalmente di carattere tecnico ed economico: dal punto di vista tecnico le prove sperimentali sono difficilmente ripetibili e sono particolarmente sensibili alla struttura e conformazione del campione; dal punto di vista economico, le articolate procedure di confezionamento e di prova dei campioni e la necessità di avere un numero di prove statisticamente significativo (oltre al costo necessario per acquisire il materiale, la strumentazione e per pagare il personale), rende questi test eccessivamente onerosi tanto in termini economici quanto di tempo.

I modelli numerici permettono, per converso, di conoscere con un buon grado di esattezza le caratteristiche geometriche e fisiche delle diverse fasi, un aspetto di non poco conto nell’analisi a mesoscala del materiale, risultando pertanto perfettamente misurabili.

Sebbene le tecniche numeriche possiedano vantaggi potenziali ed estremamente interessanti, esiste anche un rovescio della medaglia, rappresentato dalla circostanza per cui questi strumenti sono difficili da controllare e possono, sovente, condurre a risultati errati e fuorvianti.

L’ottimo, pertanto, è raggiungibile solo con un corretto bilanciamento tra simulazione e validazione sperimentale.

Nel secondo approccio si eseguono direttamente delle prove sperimentali controllando, per quanto possibile, un insieme di parametri riguardanti sia il campione da esaminare che la prova stessa.

Data la particolare sensibilità del bitume alle variazioni di temperatura, le prove vengono eseguite sempre in un ambiente termicamente controllato, ripetendole anche a diverse temperature.

I test vengono monitorati durante tutta la loro esecuzione mediante una moltitudine di tecniche al fine di reperire quante più informazioni utili all’indagine. A tal proposito sono frequentemente utilizzate delle telecamere ad alta risoluzione che inquadrano il

provino durante l’evoluzione del test e registrano immagini che vengono successivamente elaborate per ricostruire e stimare gli stati deformativi del provino stesso.

Per quanto riguarda i campioni, il confezionamento viene eseguito cercando di ottenere miscele omogenee e scegliendo dimensioni del provino sufficientemente rappresentative del materiale.

Per lo studio a posteriori dell’assortimento granulometrico e la dislocazione degli aggregati si possono adoperare tecniche di ricostruzione tridimensionale del provino che necessitano di informazioni di base ricavabili tramite una serie di immagini 2D parallele [11] oppure mediante tomografia computerizzata. Successivamente, mediante tecniche di image processing, si riescono a determinare i parametri del modello e interpretare la geometria e la distribuzione degli aggregati.

Si comprende bene che, sebbene l’analisi sperimentale sia fondamentale e rispondente al vero, esistono delle difficoltà oggettive che ne limitano l’utilizzo poiché la ricostruzione del provino è una procedura dispendiosa e che richiede molto tempo.

In questo capitolo sarà presentata la tematica dello studio a mesoscala del conglomerato bituminoso facendo dapprima un riferimento ai concetti base posti a fondamento dello studio e, successivamente, sarà rappresentato lo scenario attualizzato e generale degli approcci già in uso ed in fase di validazione in campo internazionale.

Infine, saranno descritti i principali modelli adoperati per riprodurre i materiali multifase e per simulare il complesso meccanismo di rottura degli stessi.