• Non ci sono risultati.

La fiaba “Amore e Psiche”

Nel documento Eros Platonico e Amore Dantesco (pagine 124-127)

LA DANZA DELLA FILOSOFIA

3. La danza della filosofia

3.1. La fiaba “Amore e Psiche”

Amore ed intelletto ballano, in questo modo, una maestosa danza, la danza della filosofia. Questa immagine di unione fra amore ed intelletto ci riporta alla leggenda di origine popolare “Amore e Psiche” trascritta da Apuleio, autore latino del II secolo, all’interno dell’opera Le metamorfosi (Metamorphoseon), più precisamente nei libri IV, V e VI dell’opera. Gli eventi più rilevanti e le azioni che determinano il senso più profondo della fiaba, sono strettamente legati ai processi di cambiamento, metamorfosi appunto, che coinvolgono i protagonisti. Così come Psiche, attraverso l’unione con Eros, trasforma la sua natura da mortale a divina, allo stesso modo, “sotto l’ispirazione dell’amore, il vero filosofo avanza nel suo percorso di purificazione e di studio, che raggiungerà il suo culmine quando egli vedrà la vera bellezza delle Idee, partecipando alla divinità degli dèi.”421

Riprendiamo ora la fabula, citando alcuni passaggi importanti dell’opera422: - “Era circa mezzogiorno ed il sole cominciava a far sentire il calore dei suoi raggi”423

, [mentre camminavo] “pensavo che quello fosse il bosco di Venere e delle Grazie nei cui recessi opachi riluceva lo splendore regale del fiore divino”424 [invece]

421 J. M. Rist, Eros e Psyche. Studi sulla filosofia di Platone, Plotino e Origene, cit., p. 45. 422 Apuleio, Metamorfosi, a cura di P. Scazzoso, Istituto Editoriale Italiano, Milano 1970. 423 Ibid., p. 215.

“vedo non quella rosa tenera [...] ma solo il margine della riva di un fiume, tutto circondato da fitti alberi. Questi alberi simili alle piante di alloro”425

.

L’atmosfera con cui Apuleio ci apre la fiaba di “Amore e Psiche” è, in questo modo, coinvolta, così come nel Fedro di Platone426, sia dalla presenza delle Muse ispiratrici, espresso nel termine “fiume”, sia da Apollo, quando parla degli “alberi simili a piante di alloro”. Tali riferimenti rinforzano il legame dell’autore con le divinità, le quali partecipano metaforicamente nell’opera. Apuleio non fa un’evocazione diretta a loro ma, comunque dà spazio, nella sua scrittura, al loro intervento, in quanto divinità che sorvegliano gli avvenimenti del racconto. All’inizio dell’opera c’è, quindi, un prologo il quale, come abbiamo visto anche nell’analisi al Simposio, contestualizza ed annuncia, parallelamente, lo svolgimento della favola. In questo caso, l’introduzione è un riflesso reale della favola che sta per essere raccontata, ovvero l’autore decide di aprire il capitolo con una storia piena d’elementi ed indizi che anticipano il racconto. Qui l’autore parla del rapimento e dell’imprigionamento di una fanciulla, una tragedia che, appunto, anticipa ed è analoga alla tragedia, nella favola, di Psiche. Ed è in questo momento, in cui la fanciulla si trova sola e disperata, che appare un’anziana, la quale le racconta la famosa favola.

C’erano una volta un re ed una regina che avevano tre figlie bellissime. La minore “non si poteva né descrivere, né lodare abbastanza per l’insufficienza della parola umana”427, un “miracolo di venustà”428. La “veneravano, come se fosse stata la

dea Venere”429

e questo “esagerato tributo di onori divini al culto di una fanciulla mortale infiammò di forte sdegno l’animo della vera Venere”430 la quale, presa dalla collera esclamò: “Ecco, io che sono l’antica generatrice della natura, l’origine prima degli elementi, la Venere che dà vita a tutta la terra, sono ridotta a dividere con una fanciulla mortale gli onori dovuti alla mia maestà”431. Decise, perciò di chiamare “il suo

425 Apuleio, Metamorfosi, cit., p. 257.

426 Platone: “La sorgente amenissima scorre sotto il platano con fresche acque”, in Fedro, cit., p. 9 [B

230].

427

Apuleio, Metamorfosi, cit., p. 257.

428 Ibid., p. 257. 429 Ibid., p. 259. 430 Ibid., p. 259. 431 Ibid., p. 259.

alato figlio”432, condurlo fino a quella città e mostrargli Psiche, così si chiamava la fanciulla. Rivolgendosi a suo figlio Eros disse: “vendica pienamente tua madre e punisci severamente questa bellezza”433, “che la fanciulla venga presa da ardentissimo amore verso l’ultimo degli uomini che la Fortuna abbia condannato”434

. Nessuno chiedeva la mano di Psiche, perciò il re decise di interrogare l’antichissimo oracolo del dio Milesio, pregandolo di donare alla sua vergine figlia le nozze ed un marito. Apollo, ascoltando tale preghiera, rispose: “re, colloca la fanciulla sulla cima rocciosa di un alto monte, elegantemente adorna per funeree nozze: e non sperare di aver per genero un essere mortale, bensì un mostro terribile e feroce, dall’aspetto di drago, che volando con ali sopra le nubi tormenta ogni cosa col ferro e col fuoco; perfino Giove lo teme, e davanti a lui restano atterriti i numi e s’impauriscono le ombre dello Stige”435

. E così fu. Psiche venne portata su un alto monte, ma si addormentò prima dell’arrivo del suo futuro marito. Al suo risveglio si rese conto di essere in un luogo meraviglioso, ovvero nella dimora divina di Eros, il quale, intravedendo il futuro tragico di Psiche, disse: le tue “sorelle [ti] verranno a cercare, non rispondere alle loro lamentele, non guardare fuori, altrimenti procurerai a me un gravissimo dolore e a te il massimo dei danni”436

. Psiche sentendosi sola e lontana dalla sua famiglia, non resisté a non vedere le sue sorelle e lo pregò di farle entrare nella sua dimora. Prese dall’invidia e dalla curiosità, domandarono a Psiche chi fosse suo marito. La piccola sorella, non avendo ancora visto il suo viso, ebbe difficoltà a rispondere, accendendo in loro una certa sfiducia. Dopo la breve visita, Psiche rivide suo marito il quale, rivolgendosi a lei insisté nel ripetere: non ascoltare le tue sorelle, proveranno a “persuaderti a guardare il mio aspetto”437, le “malvagie streghe verranno, armate dalle loro nocive intenzioni”438. Psiche, non credette alle cattive intenzioni delle sorelle, perciò chiese di nuovo di re-incontrarle. Queste, dialogando con Psiche, si accorsero che non conosceva “l’aspetto del suo sposo”439 e, invidiose, le ricordarono di essere stata sposata con una bestia. “Infatti io non ho mai visto il

432 Apuleio, Metamorfosi, cit., p. 259. 433 Ibid., p. 261. 434 Ibid., p. 261. 435 Ibid., p. 263. 436 Ibid., p. 275. 437 Ibid., p. 285. 438 Ibid., p. 285. 439 Ibid., p. 291.

sembiante di mio marito”440, così rispose la piccola sorella. A Psiche fu negata la vista dell’amato, tuttavia, istigata dalle sorelle e dalla curiosità, una notte, prese “una lucerna acconcia, piena di olio”441 e decise di vedere il volto di suo marito mentre dormiva. Meravigliata da tale visione, accorgendosi di essere sposata con la bellissima divinità Eros, “lasciò cadere dall’alto della sua luce una goccia di olio sopra la spalla destra del dio”442

. Psiche venne quindi sottoposta alle prove di catarsi, e l’ultima di queste prove di purgazione consisteva nel chiedere alla dea Proserpina un po’ della sua bellezza. L’ampolla che avrebbe dovuto contenere il dono di Proserpina, in realtà, conteneva il sonno più profondo, la maledizione che Venere le mandò per invidia. Comunque, Giove, mosso da compassione, fece in modo che gli amanti si unissero e la favola termina con un meraviglioso banchetto. Psiche divenne una dea, sposò Eros e dalla loro unione nacque una figlia chiamata Voluttà, ovvero Piacere.

Nel documento Eros Platonico e Amore Dantesco (pagine 124-127)