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Purificazione e Iniziazione

Nel documento Eros Platonico e Amore Dantesco (pagine 127-132)

LA DANZA DELLA FILOSOFIA

3. La danza della filosofia

3.2. Purificazione e Iniziazione

“[L]’esaltazione divina apparve in coloro in cui doveva e, profetando, assicurò la liberazione di quei mali, ricorrendo a preghiere e riti per gli dèi. Onde con purificazione e iniziazioni rese immune per il presente e l’avvenire il sofferente, assicurando, per chi fosse invasato e posseduto dal vero delirio, la liberazione da

ogni male presente.”443

Così come nella favola, il processo di purificazione è il passaggio che il filosofo deve necessariamente compiere mentre intraprende il cammino verso la contemplazione della bellezza delle Idee. Le “macule”, termine utilizzato da Dante nel Convivio per esprimere, appunto, ciò che deve essere purgato per tale raggiungimento, sono l’impedimento alla saggezza, alla scienza, “[l’]ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicità.”444 Dante considera, perciò, che “il pan de li angeli”, la saggezza che alimenta l’anima dell’uomo e sulla quale si propone di parlare nel Convivio, deve essere pulito dalle “macule”. Proprio perché l’uomo ha una natura imperfetta, questa saggezza non scorre nella mente senza un filtro, e questo significa, in

440

Apuleio, Metamorfosi, cit., p. 295.

441 Ibid., p. 297. 442 Ibid., pp. 301-302.

443 Platone, Fedro, cit., p. 43 [D 244- A 245]. 444 Dante, Il Convivio, cit., (I, I, 1).

un senso metaforico, che il poeta ha il dovere di setacciare la farina bianca, fina, leggera e divina - ciò che dà origine al vero “pan de li angeli” - dai granelli scuri, grossi, pesanti e corporei dell’ignoranza. Tali difetti ed impedimenti esistono sia nell’anima che nel corpo dell’uomo ed è perciò che Dante, essendo consapevole di tale “macule”, dedica il primo Trattato del Convivio alla loro purgazione, parlando, in primo luogo, delle macule accidentali e poi di una macula sostanziale. Per parlare delle macule accidentali il poeta espone due situazioni: quando si parla di qualcuno e quando si espone in modo troppo profondo. Nel parlare di qualcuno, dice, o si loda o si blasfema, e ciò comporta un grande timore, quello della fama. Essa dilata sia il bene che il male. In entrambi i casi l’uomo può essere vittima d’ingiustizia, un’ingiustizia che deriva, essenzialmente, da due fattori: uno, di carattere ermeneutico - che riguarda l’eccesso d’informazione processato nella mente del ricevitore - l’altro, di carattere morale - che riguarda la debolezza dei valori nell’uomo. Nell’ultimo caso, sono tre le ragioni per cui l’uomo può perdere il valore: per “puerizia”, per “invidia” e per “l’umana impuritade”.

“La maggiore parte de li uomini vivono secondo il senso e non secondo ragione”445

, così dice Dante. Per questo motivo uomini, come lui stesso e Boezio, vengono accusati e condannati con ingiustizia. La sola evocazione a Boezio (espressa nel Convivio I, II, 13) comporta il dualismo nel quale vive Dante: da una parte il dolore, lo specchio dell’ingiustizia della loro condanna, dall’altra la gioia che provano nella consolazione e grazia portate dalla filosofia. E difatti è possibile riscontrare un filo di unione tra i temi centrali del Convivio e del De consolatione philosophiae di Boezio, una delle prime letture filosofiche dirette di Dante, cioè le considerazioni sulla morte, sull’incontro con se stessi, sull’incontro con la filosofia. È, appunto, all’interno di questo contesto che si presenta la macula sostanziale di cui ci parla Dante, una macula che riguarda il se stesso, una purgazione che riguarda l’affetto, cioè la sua scelta del Volgare invece che del Latino. Le ragioni che giustificano tale scelta sono classificate per Dante di tipo generative ed accrescitive. “Prossimità” e “bontà” sono ragioni d’amore generative, invece, “beneficio”, “studio” ed “abitudine” sono ragioni d’amore accrescitive.446 Rispetto alla “prossimità” Dante comincia così parlando: “Tanto è la cosa più prossima [...] è più unita”447, dando il seguente esempio: “di tutti li uomini lo

445 Dante, Il Convivio, cit., (I, IV, 3). 446 Ibid., (I, XIII, 1).

figlio è più prossimo al padre; di tutte l’arti la medicina è la più prossima al medico, e la musica al musico [...] E così lo volgare è più prossimo quanto è più unito.”448 Il fatto che il Volgare sia la loquela più prossima di Dante lo porta, in questo senso, ad avere una unione più forte con essa rispetto al Latino e ad altre loquele: “l’amore ch’io porto a la mia loquela, che è a me prossima più che l’altre.”449

La “bontà”, invece, riguarda la questione dell’identità. Tanto una cosa è più se stessa tanto è più amabile - “quanto ella è più propria, tanto ancora è più amabile”450

- poiché assume le funzioni che li sono proprie. In questo senso, la scelta del Volgare è basata sul fatto che Dante trovi in questa loquela un’identità. Essendo la più prossima è quella alla quale è più unito, essendole più unito trova in essa un’identità, quindi è più se stesso, più amabile, assume le funzioni che gli sono proprie. Dopodiché, vengono presentate le ragioni d’amore, cosiddette accrescitive. “Detto come ne la propria loquela sono quelle due cose per le quali io sono fatto a lei amico, cioè prossimitade a me e bontà propria, dirò come per beneficio e concordia di studio e per benevolenza di lunga consuetudine l’amistà è confermata a fatta grande.”451

Ci sono, quindi, due preziosi benefici portati dalla prossimità, dal contatto con il Volgare. Il contatto con questa loquela, dice Dante, comporta due perfezioni: “la prima lo fa essere, la seconda lo fa essere buono”452

. Tali perfezioni lo introducono nel più grande “beneficio”, cioè nella via della scienza, l’ultima perfezione: “questo mio volgare fu introduttore di me ne la via di scienza, che è ultima perfezione.” Lo “studio” del Volgare, la seconda ragione di tipo accrescitivo, aumenta il desiderio naturale di conservarlo, stimolando un senso di concordia reciproco, il quale conferma ed accresce l’amicizia fra di loro. In terzo ed ultimo luogo si presenta “la benivolenza de la consuetudine”, vale a dire, l’abitudine. E così la descrive: “c’è stata la benivolenza de la consuetudine, chè dal principio de la mia vita ho avuta con esso benivolenza e conversazione, e usato quello diliberando, interpetrando e questionando.”453

Ciò significa che l’abitudine nel parlare il Volgare ha creato in Dante un legame più profondo con esso rispetto al Latino, essendo, perciò, determinante nella sua scelta. Purgato il “pane” dalle “macule”, si apre la voce alle

448 Dante, Il Convivio, cit., (I, XII, 4). 449

Ibid., (I, XII, 6).

450 Ibid., (I, XII, 9). 451 Ibid., (I, XIII, 1). 452 Ibid., (I, XIII, 3). 453 Ibid., (I, XIII, 8).

parole che scorrono direttamente dalla fonte d’ispirazione divina, un linguaggio pulito, un linguaggio che “sarà luce nuova, sole nuovo, lo quale surgerà là dove l’usato tramonterà, e darà lume a coloro che sono in tenebre e in oscuridade per lo usato sole che a loro non luce.”454

L’intenzione di Dante, quella di voler purgare il “pane” dalle “macule” per poter ricevere, in modo pulito e chiaro, la saggezza divina, ci riporta all’argomento che conclude il primo paragrafo del primo capitolo, cioè al Libro VII della Repubblica di Platone. Lasciamo da parte, per ora, il momento finale di questo Libro, in cui si da il “ritorno alla caverna” (dato che è intimamente connesso con la divinità apollinea lo affronteremmo nel quarto capitolo) e prendiamo in considerazione la parte iniziale di esso, ovvero il momento della liberazione del prigioniere. Una volta liberato dalle ombre, dall’immagini proiettate nella parete della caverna, il prigioniere affronta una serie di prove iniziatiche, le quali richiedono un superamento, un processo rigeneratore e purificatore di se stesso mentre intraprende un viaggio d’ascensione. Questo compito, espresso nella forma di allegoria, riguarda la phronesis del filosofo. Come bene spiega G. Colli: “la phronesis del filosofo, la sua conoscenza della realtà, s’identifica con il suo atteggiamento interiore di purificazione e di distacco ispirato. Platone fa con questo un’aperta dichiarazione di misticismo, paragonando i propri insegnamenti a quelli dei misteri dionisiaci, che pari esigono dall’uomo un «rito di purificazione».”455

Sommettendosi al processo di catarsi, l’uomo apre il petto al colpo diretto di Dioniso - “Dioniso uccide direttamente la sua preda, la colpisce col tirso o addirittura la sbrana e la divora, la fa entrare dentro di sé”456

. Ciò vuol dire che coloro che si trovino predisposti allo stato di abbandono, di purificazione e di liberazione, possono cadere, velocemente, nelle tenebre notturne dell’orrore. Una volta cominciato il viaggio di ascesa si presentano le ombre, le “macule”, e con sé il rischio continuo del non superamento delle prove, ovvero “il carattere «iniziatico», «rigeneratore», il ruolo di medicina sacra di questo viaggio, per chi lo compie, implica al tempo stesso il rischio continuo di non superare la prova.”457

Questo è l’orrore vissuto da Dante ed espresso nella Commedia.

454 Dante, Il Convivio, cit., (I, XIII, 12).

455 G. Colli, La natura ama nascondersi, cit., p. 267. 456 G. Colli, La Sapienza Greca Vol. I, cit., p. 26. 457 J. Risset, Dante Scrittore, cit., p. 89.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura”458

In attesa e silenzio, in mezzo ad una selva buia e spaventosa - la quale annulla ogni speranza, la quale fa scendere le lacrime sofferenti della perdizione - Dante si rivolge verso l’alto. Si piega su se stesso e, con umiltà, grida al cielo: “Miserere di me” (Inf., I, 65). Da lontano sente venire un’ombra, l’ombra di Virgilio, la dolce melodia del flauto, l’aria che, nel buio della solitudine, attraversa gli alberi e lo ispira.459 “Ella in beltà incede, come la notte.”460

Dalle stelle celesti cade Beatrice, la guida che lo ascolta e che, in pietà, commossa dall’amore, spedisce nel buio della selva un ausilio, un suo intermediario, un messaggero della luce divina. Si tratta di Virgilio, il maestro di Dante nell’arte della parola, rappresentativo del canto, della melodia notturna di Dioniso. Guardando Virgilio, cioè osservando il volto del poeta romano, si specchiano le virtù e le “macule” di Dante. Il delirio dionisiaco comporta, quindi, la purificazione, ovvero il confronto con le debolezze ed i tormenti profondi del poeta. “L’inquietudine spirituale e la penosa, smarrita goffaggine che accompagnano ad ogni passo un uomo senza fiducia in se stesso, quasi privo di un’adeguata educazione, negato a mettere in pratica la sua esperienza interiore e ad oggettivarla in regole d’etichetta, un uomo tormentato e ramingo - proprio questi elementi conferiscono al poema tutto il suo incanto, tutta la sua drammaticità.”461

Sono essenzialmente i momenti oscuri vissuti da Dante che offrono al poema il suo realismo. Inoltre, la mancanza di luce ed il peso del corpo ingrandiscono ed aumentano il percorso del viaggio. Fanno allontanare il vero compito, fanno

458

Dante, La commedia secondo l’antica vulgata, cit., (Inf., I, 1-2).

459

Nella Commedia non c’è un riferimento concreto al flauto, però dall’immagine della selva, sapendo che si tratta del luogo, per eccellenza, dei Satiri, delle divinità che personificano la fertilità, la forza vitale della natura, è possibile riscontrare una connessione con l’istrumento, al quale si può associare l’arrivo dell’ombra di Virgilio, la guida, appunto, che ispira Dante, maestro di un’arte ricercata con “studio” e “grande amore”. Inoltre, il suono del flauto è anche il suono di Dioniso, il suono che suscita la follia di coloro che si abbandonano all’incontro con il divino, che iniziano un percorso di purificazione, il quale (e qui possiamo pensare al cammino che Dante dovrà percorrere nei cerchi dell’Inferno) comprende “un “richiamo minaccioso”. G. Colli: “il suono del flauto di Dioniso è «un richiamo minaccioso suscitatore di follia»”, in La Sapienza Greca Vol. I, cit., p. 26.

460 Il verso si trova nelle Hebrew Melodies (1815) di Byron “She walks in beauty, like the night” ma fu

ripreso da J. L. Borges, “Ella in beltà incede, come la notte”, in Nove Saggi Danteschi, cit., p.74.

guardare, invece di un cammino soave e facile, una salita ripida e difficile. 462 Il pianto cade e con lui le lacrime delle Muse, la poesia. Precipitato nel dolore, un dolore riflesso ed espresso in Virgilio, Dante se ne accorge del lungo viaggio che deve fare, un viaggio che lo consente di vedere i suoi peccati, di guardare negli altri, nei personaggi e figure dell’oltretomba, la sua stessa natura. “«A te convien tenere altro viaggio»/rispuose poi che lacrimar mi vide”.463

Nella Divina Commedia il tema della purificazione raggiunge, perciò, questo ulteriore significato, quello iniziatico: “occorrerà che l’individuo compia di persona e per iscritto un viaggio iniziatico, un viaggio sciamanico”464

- un viaggio che conduce l’anima alla contemplazione del vero, che annulla l’illusione della separazione, che rivela non più l’immagine ma si la vera essenza dell’amore. Il viaggio che è, nel suo significato profondo, “la descrizione del percorso che conduce l’anima alla conoscenza veridica del sophon”465, ovvero alla saggezza.

Nel documento Eros Platonico e Amore Dantesco (pagine 127-132)