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La gentilezza divina: Beatrice

Nel documento Eros Platonico e Amore Dantesco (pagine 54-60)

Dall’immenso blu del cielo, in un fiume di luce167

, raggia con splendore il riso di Beatrice. Questo riso scende dalla stella di Venere, il cielo protetto dalla divinità dell’amore, il terzo cielo nella gerarchia celeste, proposta da Dante nel Convivio.168

“Cominciando dunque, dico che la stella di Venere due fiate rivolta era in quello suo cerchio che la fa parere serotina e matutina, secondo diversi tempi, appresso lo trapassamento di quella Beatrice beata che

vive in cielo con li angeli e in terra con la mia anima, quando quella gentile donna, cui feci menzione ne la fine de la Vita Nuova, parve primamente, accompagnata d’Amore, a li occhi miei e prese luogo alcuno

ne la mia mente.”169

Gentile con il suo sguardo, dolce e delicata contemplazione, chiama lo scrittore ad entrare nelle acque di questo cielo, una via d’ascensione verso il centro della spirale, ciò che per Dante si figura nella forma di una rosa. Il profumo provoca desiderio, la rosa fa sospirare l’anima del poeta verso il suo aroma; l’aria di questo cielo soffia una dolce essenza dai petali vellutati che figurano una maestosa Bellezza. Il suo forte potere attrattivo, pozione magica dell’amore, scorre in quella luce, facendo alzare gli occhi affascinati di Dante, catturato dal sublime effetto e splendore delle virtù del suo amore.

166

Dante, La commedia secondo l’antica vulgata, cit., p. (Par., XXXIII, 67-75).

167 Dante: “E vidi lume in forma di rivera”, in La commedia secondo l’antica vulgata, cit., (Par., XXX,

61).

168 Dante: “lo terzo è quello dov’è Venere”, in Il Convivio, cit., (II, III, 7). 169 Ibid., (II, I, 1).

Deliziato e sintonizzato con tale immagine si lascia guidare in quel fiume, nel fiume della memoria dal quale scende la gentilezza di Beatrice, la musica divina, le virtù del suo sguardo e sorriso.170 Guardando il riso e gli occhi di Beatrice il poeta viene guidato nel cammino della beatitudine, cioè nel cammino della vita attiva e contemplativa.171 Occhi e riso sono, quindi, la figurazione di queste due vie, cioè delle “due felicitade” che guidano l’uomo a vivere in vita perfetta. Il termine “gentilezza”, tante volte riferito a Beatrice, al dono della donna che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, è anche indirizzato alla Filosofia172, sintetizza, quindi, queste due virtù, che sono, in ultima analisi, i due tipi di Sapienza. “E qui si conviene sapere che li occhi de la Sapienza sono le sue demonstrazioni, con le quali si vede la veritade certissimamente; e lo suo riso sono le sue persuasioni, ne le quali si dimostra la luce interiore de la Sapienza sotto alcuno velamento: e in queste due cose si sente quel piacere altissimo di beatitudine, lo quale è massimo bene in Paradiso.”173

Il termine “gentilezza” è, quindi, sinonimo di nobiltà174, è la “perfezione di propria natura in ciascuna cosa”175, è, infine, il “seme divino ne la umana graziosamente posto”176, “seme di felicitade”177

.

La donna gentile, riflettendo le “due felicitade”, indica il cammino “che fa l’uom felice In sua operazione”178. Proprio all’interno di questa tematica, grandi tradizioni

esoteriche, come la mistica ebraica, la Qabbalah, propongono la considerazione della figura della donna. Un esempio di questa figura è Rachele, moglie di Giacobbe, una delle fondatrici del popolo di Israel. Associata alla divinità beatifica e contemplativa, Rachele ha una somiglianza con Beatrice. Perciò Dante, nella Commedia, citando le parole di Beatrice, dice: “al loco dov’i’ era,/che mi sedea con l’antica Rachele.”179

170

J. Risset: “Dolcezza, insistente, persistente, che si iscrive direttamente nella memoria - è questo l’effetto della musica nell’anima.”, in Dante Scrittore, cit., p. 117.

171 Dante: “quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia ma due, sì com’è quella de la

vita civile, e quella contemplativa”, in Il Convivio, cit., (II, IV, 10).

172 Dante: “Questa donna, cioè filosofia”, in Il Convivio, cit., (IV, XXX, 5). 173 Ibid., (III, XV, 2).

174 Dante: “la gentilezza o ver nobilitade, che per una cosa intendo”, in Il Convivio, cit., (IV, XIV, 8). 175

Ibid., (IV, XVI, 4).

176 Ibid., (IV, XXIX, 3). 177 Ibid., (IV, XXI, 8). 178 Ibid., (IV, XVII, 1).

Attraverso la virtù contemplativa, espressa negli occhi di Beatrice, il poeta viene guidato nel suo processo di ascesa verso il Paradiso. Guida, oggetto di mediazione fra il mondo terreno e quel divino180, Beatrice è «unimento spirituale»181, è il medium che permette a Dante di contemplare il “primo amore”182. Perciò sia a Beatrice che a Rachele si collega il termine contemplazione. “Beatrice come Rachele è una donna che ha scelto la vita contemplativa, diventando così un legame tra il mondo terreno e quello spirituale, un legame reso possibile da una creatura vivente”183.

“Oh Bëatrice, dolce guida e cara!” Ella mi disse: «Quel che ti sobranza

è virtú da cui nulla si ripara. Quivi è la sapïenza e la possanza ch’aprí le strade tra ‘l cielo e la terra,

onde fu già sí lunga disïanza.»” (Par., XXIII, 34-39)

La donna angelica è, in questo modo, la luce che porta la virtù della sapienza, ovvero il medium del profumo divino, della rosa celestiale, insomma dell’amore, la fiamma che guida l’uomo ed apre la strada fra il cielo e la terra. Purezza è la virtù del suo essere; così come la gloriosa Maria, la quale si presenta con vesti bianche, nello stesso modo, gli esseri illuminati, come Beatrice e Rachele, si presentano agli occhi dell’uomo. Il bianco è un colore pieno di luce184

, ed assume la massima espressione nella luce proiettata dalle stelle. Beatrice è, quindi, questa luce, è una stella, è l’espressione della purezza celeste; i raggi di luce bianca che, in ultima analisi, sono la manifestazione di tutti i colori, di un ponte di luce, dell’arcobaleno.

“Le facce tutte avean di fiamma viva e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco, che nulla neve a quel termine arriva.

180 J. Risset: “Esseri dell’«entre deux» per eccellenza - uniscono la terra al cielo”, in Dante Scrittore, cit.,

p. 157.

181

A. Giovanni, La filosofia dell’amore nelle opere di Dante, cit., p. 308.

182 Dante, La commedia secondo l’antica vulgata, cit., (Par., XXXII, 142).

183 E. Gilson, Dante e Beatrice. Saggi danteschi, a cura di Bianca Caravelli, Medusa, Milano 2004, p. 7. 184 Dante: “Bianchezza è uno colore pieno di luce corporale più che nullo altro; e così la contemplazione è

Quando scendean nel fior, di bianco in bianco porgevan de la pace e de l’ardore”

(Par. XXXI, 13-17)

Mistico ed occulto sono i misteri che riguardano la figura della donna, una figura che, come vedremo nel Simposio di Platone, più precisamente nel discorso di Diotima, ci dà la chiave di comprensione dell’amore. La donna è presentata in quanto simbolo della creazione universale, ed è perciò che alla figura femminile si collegano i numeri tre - il numero al quale “viene associata l’idea di una conoscenza segreta”185, il numero del cielo di Venere – ed il nove. Prendendo in considerazione, in primo luogo, il Canto IX del Paradiso, il numero, appunto, di Beatrice, poi il Canto XXIII, ancora del Paradiso, ci accorgiamo che, proprio qui, il poeta mette in evidenza il profondo legame fra questi numeri e la virtù portata dalla donna, ovvero la vita contemplativa, la vita riflessa negli occhi di Beatrice. Inoltre il loro collegamento con la luce della stella, con l’amore di Maria, la quale esprime la divina Trinità.

“Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi sovra me, come pria, di caro assenso

al mio desio certificato fermi. Deh, metti al mio voler tosto compenso,

beato spirto, dissi, « e fammi prova ch’i’ possa in te refletter quel c’io penso!»”

(Par., IX, 16-21)

“D’una radice nacqui e io ed ella: Cunizza fui chiamata, e qui refulgo perché mi vince il lume d’esta stella;”

(Par., IX, 31-33)

In questi versi Dante utilizza ripetutamente la parola “fermi” per rinforzare, appunto, il legame fra gli occhi di Beatrice e la vita contemplativa, la vita indicata dallo spirito beato. Negli occhi di Beatrice viene riflessa la virtù contemplativa, la luce, “il lume” della stella. Confrontando, ora questo passo, con alcuni versi del Canto XXIII, che coincide con la nona parte di questa terza cantica, vediamo il legame fra questa

donna gentile e Maria, espressione della “candida rosa”186, del verbo divino, del mistero della creazione.

“Quivi è la rosa in che l’verbo divino carne si fece; quivi son li gigli al cui odor si prese il buon cammino».”

(Par., XXIII, 73-75)

“Io sono amore angelico, che giro l’alta letizia che spira del ventre che fu albergo del nostro desiro;”

(Par., XXIII, 103-105)

Il numero tre, innanzitutto, è il numero rappresentativo delle tre manifestazioni femminili187, ciò che nel Cantico dei Cantici può essere interpretato come la madre, la sposa e la figlia 188. Inoltre, a questo numero viene associata la divina Trinità, la quale, come abbiamo visto precedentemente, classifica l’ordine degli spiriti celesti. Nonostante la divisione in tre parti, corrispondenti alle sfere dei Serafini, Cherubini e Potestadi, le quali, nel cristianesimo, assumono la figura di Padre, Figlio e Spirito Santo, la gerarchia delle sfere si sotto divide in nove, il numero di Beatrice. “Lo numero del tre è la radice del nove, però che, sanza numero altro alcuno, per se medesimo fa nova, sì come vedemo manifestamente che tre fa nove. Dunque se lo tre è fattore per se medesimo del nove, e lo fattore per se medesimo de li miracoli è tre, cioè Padre e Figlio e Spirito Santo, li quali sono tre e uno, questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere ch’ella era uno nove, cioè uno miracolo, la cui radice, cioè del

186 Dante, La commedia secondo l’antica vulgata, cit., (Par., XXXI, 1).

187 Dante: “Dice Marco che Maria Maddalena e Maria Iacobi e Maria Salomè andaro per trovare lo

Salvatore al monimento, e quello non trovaro; ma trovaro uno giovane vestito di bianco [...] Per queste tre donne si possono intendere le tre sette de la vita attiva, cioè li Epicurei, li Stoici e li Peripatetici, che vanno al monimento, cioè al mondo presente che è recettaculo di truovano in bianchi vestimenti, lo quale, secondo la testimonianza di Matteo e anche de li altri, era angelo di Dio. E però Matteo disse: «L’angelo di Dio discese di cielo, e vegnendo volse la pietra e sedea sopra essa. E ‘l suo aspetto era come folgore, e le sue vestimenta erano come neve».”, in Il Convivio, cit., (IV, XXII, 14-15).

188 M. Idel: “Le tre manifestazioni femminili, sono potenze superne e rappresentano una lettura ontologica

di un versetto del Cantico dei Cantici (3, 11) nel suo essere madre, sposa e figlia, oppure sposa, moglie e figlia.”, in Eros e Qabbalah, cit., p. 64.

miracolo, è solamente la mirabile Trinitade.”189

Beatrice ha il numero delle Muse, delle Stelle, il numero che accompagna il mistero della creazione. “Il nove, che è Beatrice, si rivela quindi una sorta di superlativo e di simbolo del novum: perfezione della generazione, apparizione sorprendente, legame sentito direttamente tra due misteri: quello della Trinità, quello dell’Incarnazione.”190

Nel suo viso si specchiano, perciò, l’ordine delle sfere, la divina spirale, il divino legame fra il cielo e la terra, il quale, nella Commedia, coincide con la figura mediatrice di Cristo, cioè con la gentilezza portata dalla donna angelica Maria, la quale, in ultima analisi, porta il profumo della rosa celeste, ovvero l’Amore. Questo è il dono di Beatrice. Nel suo amore scorrono la virtù della saggezza, i colori della Santa Trinità, il fuoco che percorre l’anima e fa brillare le stelle dell’universo.

189 Dante, Vita Nova, introd. di G. Petrocchi, note e comm. di M. Ciccuto, Bur, Milano 2006, (XXIX). 190 J. Risset, Dante Scrittore, cit., p. 17.

II

Nel documento Eros Platonico e Amore Dantesco (pagine 54-60)