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LA SACRA ALCHIMIA DELL’AMORE

Nel documento Eros Platonico e Amore Dantesco (pagine 197-200)

“«Né creator né creatura mai», cominciò el, «figliuol, fu sanza amore, o naturale o d’animo: e tu l’sai.” (Purg., XVII, 91-93)

5. L’alchimia dell’amore

Importante per darci la visione di unità, ed in quanto espressione dell’intreccio che si presenta fra i diversi tipi di delirio, è la presenza, ricordando C. S. Gutkind, di un “Alchymicus Amoris”588, ovvero dell’Amore nelle sue varianti umane e divine. Questo

vuol dire che nell’amore troviamo una specie di metamorfosi, la quale – e qui dobbiamo pensare alla Commedia come un viaggio che ci apre alla partecipazione o ingresso vivo in un percorso, e che (anche se non è direttamente il nostro) ci conduce in un cammino che si sovrappone -, riguarda non solo Dante ma il proprio lettore. Questo moto che provoca il passaggio, ovvero i momenti di cambiamento, i quali, in ultima istanza, riguardano il movimento d’ascensione dell’anima è, precisamente, attivato dall’amore. L’amore nella sua dinamica fisica ma che spirituale. Questo “gioco”, diciamo così, della “ruota della vita”, ci presenta quindi momenti di oscillazione la quale onda aspira ad un equilibrio ed armonia, ad uno stato che vuole aprire l’anima alla contemplazione e all’integrazione delle virtù che abitano nel cielo. Si tratta, quindi di un desiderio che consiste nel portare giù il divino amore. La partecipazione di ciò che può essere considerato come corpus nel mondo divino richiede, quindi, un movimento capace di introdurre, modellare e condurre l’uomo, in modo tale da poter concludere l’aspirazione della sua anima.

588 C. G. Gutkind, “Dante Alighieri Alchymicus Amoris” in Journal of the Warburg and Courtauld

Proprio in questo contesto emerge l’idea di alchimia, la quale viene emblematicamente espressa nel simbolo della rosa, il simbolo espresso da Dante alla fine della Commedia: “questa rosa” (Par., XXX, 117); “in forma dunque di candida rosa” (Par., XXXI, I); “nel gran fior discendeva che s’addorna/di tante foglie, e quindi risaliva/là dove ’l suo amor sempre soggiorna./Le facce tutte avean di fiamma viva,/e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco” (Par., XXXI, 10-15). Gli aggettivi di riferimento accendono, nel lettore, un’immagine visibile che porta sensazioni. Il bianco ed il dorato sono la luce che riscalda la vista ed il cuore. Inoltre si sente una dolcezza particolare quando Dante, associa alla rosa l’immagine del miele. Il riferimento al fiore e alle api concede, infine, l’idea di un universo formato da petali che hanno il dolce profumo dell’amore, petali nei quali vivono ed abitano esseri, che, come le api, trasportano nella sua luce dorata, la dolcezza del polene. La visione macrocosmica parte, comunque, dall’osservazione della natura. Ed è qui che, per terminare, vorrei esprimere la chiave di comprensione dell’amore. Prendendo in considerazione il pensiero di Platone, espresso essenzialmente nel Simposio e nel Fedro, per cui la nozione dell’amore parte da una costatazione fisica, ovvero dall’osservazione della bellezza fisica finché si abbia la contemplazione del Bello, e confrontando con Dante, per cui la visione l’amore parte dalla mirabile visione di Beatrice, possiamo dire che è amore in persona che guida l’uomo alla contemplazione del vero essere, alla comprensione del mondo come un luogo in cui soffia il vento del cielo, in cui il fuoco degli angeli illumina, in cui si colgono i frutti dalla terra, in cui si beve l’acqua della saggezza.

Proprio qui, nell’integrazione di questi elementi, rivelati per Dante nella bellezza di Beatrice - la sua Ape reggina, la sostanza che porta, tramite la sua luce, l’alchimia degli elementi - Dante trova l’amore, e, conseguentemente, la comprensione del mondo interiore, esteriore, umano e divino.

“l’amore che muove il sole e l’altre stelle”

Il colore delle stelle è candido come Maria, il colore analogo, come esprime Dante al giglio simbolo non solo di purezza ma anche della città in cui è nato Firenze, la terra nella quale prende vita il poeta, la terra che porta le memorie che riempiono la sua anima. Eros è il movimento delle stelle, delle anime, è il moto naturale che spinge l’anima a raggiungere il compito che gli è proprio, cioè l’unione con il divino. Questo movimento è circolare. Le anime, come ci presenta Dante, sono faville, fiamme che

girano e si presentano nella forma di cerchio. L’espressione massima dell’amore viene presentata da Dante nell’immagine cristiana della Trinità ed è in questo contesto che si apre la forma del triangolo. Il triangolo rappresenta appunto l’unione dell’uomo con il divino, il percorso dell’anima verso Dio tramite l’amore di Cristo, dello Spirito Santo. La piramide è la rappresentazione di questo legame, la montagna che separa ed unisce l’uomo con la sfera celeste. In cimo alla montagna abbiamo il primo cielo del Paradiso, corrispondente nella Commedia al cielo della luna. Prima di arrivare a questo posto, l’uomo deve comunque sottoporsi al processo iniziatico di purificazione ed ascensione, tal come viene sottolineato nella citazione del Fedro e che rivela il percorso del filosofo, colui che si muove verso la sapienza. L’amore si presenta, in questo modo, come il desiderio naturale nell’uomo di conoscere, ovvero il legame eterno dell’anima con il suo creatore. Ci sono per così dire due movimenti, associati all’immagine della linea, ovvero quello dell’ascensione, ed inoltre, quello dell’amore che scende nell’anima; il dono divino che è dato gratuitamente a ciascun uomo. Attraverso l’amore, l’uomo chiarisce la sua visione, aumentando così la potenza di vedere Dio. Questa è la luce delle intelligenze angeliche per le quali la divina virtù è rivelata senza mezzi, ovvero direttamente. Loro sono la mediazione fra i suoni celesti e le parole umane. Ad integrare i quattro tipi di delirio c’è, quindi, l’amore. Quest’amore è per Dante Beatrice. Osservando Beatrice, Dante vede la Bellezza ed il Bene universali, le Idee che Platone espone attraverso il personaggio Socrate nelle sue opere, le più alte virtù del Demiurgo cosmico, le virtù che servono d’immagine, in base alle quali l’artigiano crea l’universo.

CONCLUSIONE

Per affrontare il tema dell’Amore nelle opere di Platone e Dante ho avvertito la necessità di trovare una struttura che rispecchiasse l’argomento stesso, ovvero un metodo di analisi che potesse assumere, in termini logici, la funzione stessa dell’amore, in altre parole, una funzione che rivelasse la virtù stessa dell’amore. La comprensione di questa virtù emerge nella conseguenza di un pensiero, cioè quello di vedere l’amore nel suo rapporto con la natura, ovvero nel vedere, come prima riflessione, l’inseparabile legame triangolare dell’amore con le nature umana e divina, in ultima istanza, dell’amore con l’anima. Proprio qui, cioè nel tentativo di rintracciare la natura e gli effetti dell’amore e di individuare uno schema che potesse, formalmente, identificarsi con questo contenuto, affiora la nozione di delirio esposta, in particolar modo, nel Fedro. Essa ci dà la base, l’indice, la struttura e motivazione interne, dalle quali nasce l’esposizione del tema.

Il delirio è la nozione che ci apre alla comprensione dell’amore come virtù unitiva, ovvero come uno stato d’esaltazione nel quale si dà l’intreccio dell’umano con il divino. Inoltre, ci offre dei modelli – ed è proprio qui che troviamo la chiave di comprensione della struttura -, i quali, ugualmente, hanno la funzione di collegamento. Prendendo in considerazione il passaggio del Fedro nel quale viene enunciato il tema del delirio, o meglio, i quattro tipi di deliro divino ed i quattro tipi di ispirazione che li riguardano - “quattro tipi attribuendoli a quattro dèi, l’ispirazione profetica ad Apollo, quella mistica a Dioniso, quella poetica alle Muse e un quarto tipo che abbiamo definito il piu alto, delirio d’amore, ad Afrodite ed Eros.”589

-, verifichiamo che questi si rivelano come «archetipi», ovvero servono da paradigmi esplicativi tramite i quali possiamo raccogliere l’originale concezione dell’amore.

Emerge, in questo modo, una struttura, la quale va all’incontro con quella proposta da H. Blumenberg nell’opera Paradigmi per una metaforologia, cioè una struttura che cerca di determinare oppure di evidenziare modelli, o meglio, metafore assolute, in grado di dare espressione a un’originale concezione del mondo. Attraverso

Nel documento Eros Platonico e Amore Dantesco (pagine 197-200)