• Non ci sono risultati.

Il ruolo del fotografo come autore della rappresentazione della realtà reificata dall’immagine è stato a lungo oggetto di dibattiti che ne hanno affrontato le criticità da

diverse angolature.

I critici della prima metà dell’Ottocento si interrogarono innanzitutto sull’opportunità di chiamare la fotografia ‘arte’, ma anche sull’effettivo contributo umano alla produzione di immagini che apparivano come il risultato non mediato di un’azione meccanica. Nella seconda metà del XIX secolo, con il prendere piede dell’uso della fotografia, diventò sempre più evidente che l’immediatezza del processo non implicava l’assenza dell’intervento dell’occhio e della mente di un essere umano a dettare le scelte compositive della rappresentazione. Inoltre il fotografo poteva anche manipolare fisicamente in post produzione le lastre o i negativi, contribuendo a creare un risultato finale che non fosse la sola azione di un processo chimico e ottico.

Questa discrezionalità e manipolazione da parte del fotografo ne nobilitarono il ruolo, attribuendogli delle competenze specifiche che quanto meno lo portavano allo status di artigiano, se non ancora a quello di artista.

Il problema di legittimare il fotografo come artista è anche legato alla difficoltà di riconoscere l’autore di una fotografia solamente attraverso l’osservazione di una sua opera. Lo stile pittorico e scultoreo degli artisti rinomati è immediatamente riconoscibile da un osservatore che possegga una certa competenza in materia: persino nei casi di artisti che abbiano collaborato a stretto contatto e fatto parte dello stesso movimento artistico, penso ad esempio alle ricerche sul cubismo di Pablo Picasso e Georges Braque, sono rare le occasioni nelle quali un quadro sia di difficile attribuzione. Ad ogni modo l’esempio che ho citato illustra come, in questi rari casi, la confusione sia dovuta alla comunione di stile, ricerca e pensiero che gli artisti di uno stesso movimento possono abbracciare; altre situazioni di incertezza possono verificarsi quando un artista decide di adottare lo stile di un collega, non avendone sviluppato uno o preferendolo comunque al proprio. Se i grandi artisti delle classiche arti mimetiche sono generalmente distinguibili, ciò non è altrettanto vero per la fotografia. È la natura stessa della fotografia a comportare un rapporto equivoco con il suo autore infatti tanto più sono variabili i soggetti delle opere del fotografo tanto è più difficile

ricollegarle una per una al loro artefice.

Le fotografie realizzate anche dai fotografi più prestigiosi spesso potrebbero essere state tranquillamente realizzate da un altro professionista dotato e contemporaneo all’autore: infatti affinché un fotografo sia immediatamente identificabile è necessario che presenti una particolare affezione per una tecnica o un’ossessione tematica che lo contraddistingua dagli altri autori.

La situazione nella quale un solo fotografo si occupi di una specifica tematica sta diventando sempre più rara: infatti con l’avvento del digitale e la continua sollecitazione dettata dalla società contemporanea iper-visuale, le possibilità di raccogliere gli stimoli e gli spunti tematici di professionisti di talento è alla portata di chiunque abbia un telefono cellulare, che può tentare di realizzare scatti che riprendano i soggetti, le inquadrature particolari o lo stile dei fotografi di fama.

Questo è possibile perché la fotografia è l’unica tra le arti maggiori in cui la formazione professionale specifica e gli anni di esperienza sul campo non garantiscono necessariamente un vantaggio incolmabile su un dilettante impreparato ed inesperto. La fotografia rende difficile il tracciare il confine tra il titolo di dilettante e quello di professionista, tra ciò che è considerato uno scatto primitivo e rozzo o uno che viene lodato perché ragionato e raffinato: la fotografia è considerata la più democratica delle arti proprio perché inficia queste dicotomie; infatti un professionista dotato può spaziare dalla fotografia commerciale a quella con uno scopo etico e allo stesso modo un dilettante può scattare fotografie esteticamente valide, complice l’istinto o la fortuna. Questa attitudine democratica della fotografia rischia di non essere più una qualità positiva quando si è di fronte all’opportunità di riprendere situazioni che vadano trattate con un certo grado di sensibilità ed etica.

Il fotografo a cui vengono affidati incarichi di reportage deve possedere molteplici attitudini: deve essere interessato ad approfondire le tematiche politiche e sociali di cui è chiamato ad occuparsi, a conoscere le dinamiche collettive e le implicazioni storiche in modo da poter comprendere come e cosa registrare per meglio rappresentare

l’accaduto.

Dal punto di vista tecnico è necessario che possegga il senso della narrazione e l’interesse per la narrazione tali da riuscire a ‘catturare’ degli istanti che, da soli, riescano a trasmettere il flusso di un’azione, attirando l’osservatore per la loro originalità.

Un altro talento che il fotografo deve possedere è quello di essere in grado di rivelare qualcosa al suo pubblico, perché la fotografia è essenzialmente una scoperta di qualcosa che prima era sconosciuto o nascosto e maggiore è lo stupore generato da questo ‘disvelamento’, maggiore sarà l’impatto dell’immagine nella memoria e nella coscienza dell’osservatore.

Al fotoreporter è anche chiesta una sensibilità etica particolare, attitudine che non viene ad esempio ritenuta necessaria per un pittore; il compito che deve svolgere un fotografo, lo porta anche in situazioni talmente drammatiche in cui le uniche bussole morali a disposizione sono la sua stessa onestà intellettuale, il senso di responsabilità ed i principi deontologici.

Al fotografo è affidato il compito di essere gli occhi del mondo in una particolare situazione, quindi un atteggiamento superficiale o un comportamento eticamente scorretto possono avere conseguenze sulla qualità del risultato del suo lavoro e in ultima analisi sull’informazione che le immagini scattate trasmettono.

Il fotoreporter deve avere una presenza estremamente discreta dal punto di vista dell’esercizio dei propri gusti stilistici, cosicché in un foto-documento la difficoltà nel distinguere l’ ‘occhio’ di un eminente fotografo da un altro è generalmente ritenuta una qualità. Infatti, a meno che un reporter non abbia monopolizzato un soggetto, facendone il suo ‘cavallo di battaglia’, le fotografie che compaiono sui giornali e sulle riviste contano più come testimonianza oculare mediata che come espressione della sensibilità emotiva e artistica del loro autore.

Sempre più spesso i canali di informazione, anche prestigiosi, alle immagini dei fotogiornalisti di professione affiancano anche quelle riprese da cittadini anonimi: infatti, come già accennato, la vasta diffusione di apparecchi digitali dotati della tecnologia

fotografica integrata permette al singolo di disporre del mezzo necessario per riprendere la scena alla quale assiste.

In questo modo un passante qualsiasi, con il proprio cellulare, può registrare immediatamente un evento che ritiene degno di essere ripreso e, condividendo l’immagine sui social networks, la rende pubblica e quindi utilizzabile dai media interessati ad avere informazioni sull’accaduto il prima possibile, anche a discapito della qualità dell’immagine o dell’etica professionale. Susan Sontag, nel libro Davanti al dolore degli altri (2003), scrive che «la fotografia è l’unica arte in cui (...) il caso e la fortuna possono consentire anche a chi non è un esperto fotografo di scattare un’immagine indimenticabile» [14] Per quanto riguarda le fotografie da me trattate sono state tutte realizzate da fotografi professionisti, ad eccezione dell’immagine che ritrae il viso tumefatto della cantante Robyn Rihanna Fenty, in arte Rihanna, che è probabilmente la riproduzione di una delle fotografie scattate dagli agenti intervenuti per documentare gli abusi subiti dalla giovane donna e che poi è pervenuta alla stampa.

Alcuni tra gli autori delle foto che ho scelto non possono essere definiti fotoreporter in senso stretto: un esempio è Lewis Hine perché nel suo periodo di attività il fotogiornalismo non era ancora una professione codificata; inoltre il suo interesse era orientato ad una documentazione su larga scala del fenomeno del lavoro minorile, che richiese moltissimo tempo e che quindi, se da una lato, presenta certamente i requisiti di approfondimento e conoscenza della materia trattata richiesto ad un fotoreporter di professione, dall’altro non risponde alla necessità dei mezzi di comunicazione di massa di informare il più rapidamente possibile il pubblico di ciò che accade in quel momento nel mondo. Un altro caso interessante è quello costituito dalle fotografie di Oliviero Toscani e Gianni Berengo Gardin, i quali non sono fotoreporter, ma attraverso modalità di comunicazione diverse, Toscani dedicandosi prevalentemente alla pubblicità, Berengo Gardin alla

fotografia d’autore, hanno deciso di mettere a disposizione il loro talento artistico e posizione privilegiata di professionisti rinomati nel proprio settore per ‘monopolizzare un soggetto’ e farne un’icona.

Quattro delle dieci fotografie da me scelte non sono state scattate da fotoreporter e, curiosamente, si tratta della prima e delle ultime tre nell’arco temporale considerato e a mio avviso rappresentano bene l’evolversi nel tempo del ruolo del fotografo, partendo da un non professionista amatoriale che poteva fare affidamento solo sulla propria sensibilità artistica, passando per un periodo caratterizzato dalla presenza di professionisti riconosciuti, per arrivare alla moltitudine di figure legate al mondo della fotografia che oggi hanno la possibilità di influenzare il pubblico con i loro scatti.