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Premetto che questa scheda è particolare poiché prenderò in esame entrambe le fotografie che compongono la campagna, data la loro omogeneità di stile e contenuti che ne fa quasi un dittico più che due immagini separate: inoltre propongo le immagini pubblicitarie definitive, ossia comprensive di slogan in modo da avere l'opportunità di analizzarle come il prodotto finale che fu sottoposto al pubblico e che è stato poi in grado di generare un dibattito sia a livello mediatico che istituzionale. Le due foto della campagna No.ANOREXIA rientrano nella categoria delle immagini a scopo promozionale, per le quali l’analisi si concentra maggiormente sulla composizione e l’abilità di trasmettere un determinato messaggio, visto che è implicito che l’immagine immortalata sia frutto di studio e posa, a differenza di uno scatto giornalistico Il soggetto delle foto e protagonista della campagna è la francese Isabelle Caro, nata nel 1982 e anoressica dall’età di tredici anni, all’epoca delle foto pesava 31 chili, per un'altezza di un metro e 65 cm circa.

Nel concepire e realizzare le immagini, il fotografo ha creato un complesso sistema di stratificazioni di significato, arricchendo le immagini di messaggi simbolici che richiedono un’osservazione puntuale ed attenta del suo lavoro.

A mio parere il tema principale che lega tutti i livelli di stratificazione è la contraddizione. La prima e più ovvia contraddizione sta nel fatto che, nonostante questa sia la pubblicità di un marchio d’abbigliamento, la modella ritratta è completamente nuda. Nell’immagine non c’è presenza di alcun capo di vestiario od accessorio, l’ ‘oggetto’ pubblicizzato sono Isabelle stessa e la sua condizione di malata.

La seconda contraddizione sta proprio nella sua natura di campagna pubblicitaria e di complessa fotografia d’autore: per il suo lancio il brand si assicurò spazi pubblicitari a doppia pagina a colori sui principali quotidiani, tra i quali “La Repubblica”, e cartelloni da

3 metri per 6 in molte città (soprattutto Milano). [1] Le fotografie di No.ANOREXIA furono letteralmente sbattute in faccia al pubblico, cosa assolutamente naturale per una campagna pubblicitaria che voglia lasciare il segno, tuttavia l’immagine proposta è talmente sconvolgente da portare lo spettatore a distogliere lo sguardo per cercare di rimuoverla, perché il corpo di Isabelle esprime bruttezza e sofferenza e Toscani non fa nulla per nasconderlo o mitigare il turbamento che può provocare. Anzi ne aumenta l’aspetto grottesco facendo posare la modella come le donne ideali ritratte dai grandi pittori del passato, come la Maya Desnuda di Goya, la Venere di Urbino di Tiziano o l’Olympia di Manet [2].

Toscani propone così la sua contraddizione stilistica: le forme morbide delle ‘veneri’ impresse nell’immaginario collettivo quali esempi di femminilità creano una spaccatura destabilizzante con il corpo tutto spigoli della Caro, che è comunque esempio estremo di un diverso canone di bellezza, quello promosso della moda e della televisione che impone alle donne standard fisici al limite dell’impossibile.

Il fotografo riesce nell’impresa di creare un’immagine di nudo che invece di alludere a sollecitazioni sessuali, provoca repulsione. La nudità nel campo della moda è una provocazione che è già stata lanciata in passato, tra i fotografi che ne hanno fatto quasi un marchio di fabbrica si ricorda Helmut Newton, tuttavia credo siano poche le persone ad aver mai visto un corpo come quello di Isabelle.

L’ultima contraddizione riguarda la dicotomia tra la figura realissima della modella e lo sfondo asettico ed innaturale: Isabelle è sdraiata, con una mano appoggiata al pavimento, sul quale proietta un’ombra, unico elemento che concretizzi lo spazio altrimenti bidimensionale. Per aumentarne l’effetto angosciante dell’immagine Toscani sceglie di usare una combinazione di colori, uno sfumato dal grigio al nero, che tradizionalmente vengono associati a sensazioni e concetti negativi.

In conclusione va analizzato il rapporto che la fotografia ha con lo slogan della campagna. Il No.ANOREXIA ha infatti un dialogo particolare con la figura della Caro: la negazione

[1] G. Crivelli (2007), Ancora un Toscani shock con la modella anoressica, “Il Sole 24 Ore”, [online].

Consultabile sul sito: www.ilsole24ore.com, pubblicato: 25 settembre 2007.

‘No.’ è addirittura puntata per ricalcare l’inizio del nome del marchio e quasi a dare un’aria di solennità all’affermazione, è inoltre l’unico elemento dello sfondo assieme al nome del brand ad essere di un colore vivace, un fuxia scuro, assicurando così l’associazione tra il messaggio a scopo sociale e il marchio No-l-ita. La parola ‘ANOREXIA’ invece è bianca, in contrasto con lo sfondo scuro, il font usato ha linee rigide e spigolose, come il corpo di Isabelle ed è collocato a destra del viso della modella che, con le labbra socchiuse, sembra quasi pronunciare la parola lei stessa, mentre il ‘No.’ inserito alla sua sinistra vuole mettere in allarme proponendo al contempo il significante ed il referente dell’anoressia, la parola ‘ANOREXIA’ e ciò che si presenta come esempio dell’anoressia, Isabelle Caro. [3] Toscani ha raffigurato il Memento Mori del XXI secolo: una venticinquenne con i seni, le mani, le braccia e le guance scavati e scarni come quelli di una donna anziana, ridotta in quello stato dal suo stesso desiderio di controllo sull’incontrollabile. L’ISPIRAZIONE E L’INTENTO DEL FOTOGRAFO Oliviero Toscani è noto per le sue campagne pubblicitarie sconvolgenti. Negli anni in cui a creato per il marchio d’abbigliamento Benetton, dal 1982 al 2000, è stato spesso oggetto di molte controversie per via delle sue fotografie provocatorie, ad esempio quando, sempre per Benetton, fotografò gli abiti sporchi di sangue di un soldato bosniaco. [4]

L’idea di sottoporre all’occhio dello spettatore ciò che si cela dietro il trucco perfetto e gli abiti di alta moda affascinava il fotografo già da tempo: «Tante volte, durante gli

shooting, vedevo queste modelle che erano belle vestite e orrende nude» dice in

un’intervista pubblicata dalla rivista Vanity Fair «e avevo la tentazione di fotografare la loro magrezza da campo di concentramento. Adesso l’ho fatto». La stessa Isabelle Caro partecipò consapevolmente, sapendo che il suo corpo sarebbe stato presentato come una mostruosità «perché la gente sappia e veda davvero, a che cosa può portare

[3] ibidem, pp. 6 ss.

l’anoressia», aveva dichiarato.[5]

Anche Luisa Bertoncello, allora amministratore delegato di Flash&Partners, proprietaria del marchio No/-li-ta, affermò di essere rimasta sconvolta quando le furono presentate le fotografie per la campagna «per la crudezza e la verità che comunicano. Oggi però l’intento aziendale è proprio quello di usare i mezzi pubblicitari come strumento di sensibilizzazione ai mali sociali», aveva dichiarato. Secondo quanto dichiarato dal fotografo e dalla casa di moda, la campagna pubblicitaria si rivolgeva in particolare alle giovani donne attente alle indicazioni dettate dalla moda e intendeva richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su una malattia che, insieme alla bulimia, è ancora sottovalutata nella sua gravità e colpisce in Italia oltre due milioni di persone, soprattutto ragazze. «L’anoressia è un tema tabù per la moda» osservò Oliviero Toscani «Come l’Aids ai tempi: nessuno nel giro della moda aveva l’Aids. Adesso invece l’argomento tabù è l’anoressia». Ma Toscani afferma di non ritenere che «la moda abbia grandi responsabilità nel problema dell’anoressia, è una cosa molto più ampia che riguarda tutti i media e in particolare la televisione, che propone alle ragazze modelli di successo assurdi». Nelle interviste che seguirono il lancio di No.ANOREXIA, il fotografo dichiarò inoltre «La tv ha creato una società che non si ama e non si accetta. E il sistema è degenerato. La mostruosità piace. Siamo in preda a una malattia culturale: ci piacciono i mostri perché non ci vogliamo bene». Consapevole che la campagna non sarebbe stata accolta positivamente da tutti, Toscani replicò preventivamente che «C’è una bellezza nella tragedia. Il paradosso è che ci si sconvolge davanti all’immagine e non di fronte alla realtà. Io ho fatto, come sempre, un lavoro da reporter: ho testimoniato il mio tempo.» [6]