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«L’immagine deve essere giusta al momento giusto.» dichiarò Toscani in un’intervista e

[5] S. Nucini (2010), NON giratevi dall’altra parte, “Vanity Fair”, [online]. Consultabile sul sito:

www.vanityfair.it, pubblicato: 29 dicembre 2010

[6] Redazione (2010), Toscani shock contro l'anoressia, “La Stampa”, [online]. Consultabile sul sito:

per il lancio di No.ANOREXIA No-l-ita decise di massimizzare lo scalpore facendo uscire le foto durante la Settimana della Moda di Milano, durante la quale per le strade della città si saranno viste parecchie ragazze con un fisico simile a quello della Caro.

Naturalmente la diffusione di simili immagini, specie se proposte come ‘pubblicità sociale’ da un marchio, aveva necessitato l’esame e l’approvazione dell’allora Ministro della Salute Livia Turco che non solo diede il suo sostegno all'iniziativa, ma dichiarò addirittura di apprezzarne sia i contenuti che le modalità di realizzazione.

Nonostante il via libera del Ministero della Salute, la campagna di No-l-ita non ebbe vita facile. La fondatrice e presidentessa dell’ABA (Associazione per lo studio e la ricerca sull’anoressia, la bulimia e i disordini alimentari), Fabiola De Clercq ritenne che l’utilizzo delle immagini di Toscani fosse suscettibile di indurre fenomeni di emulazione dato che, a suo parere, il fotografo puntava a shockare il pubblico più che a fare vera comunicazione sociale.

Assieme all’Assessore allo Sport e Tempo Libero del Comune di Milano Giovanni Terzi, la De Clercq richiese all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria ulteriori accertamenti sull’opportunità di proporre la campagna No.ANOREXIA sostenendo che «la disinformazione spettacolarizzata e brutale (…) rischia di appagare semplicemente una curiosità spesso morbosa per poi suscitare una passeggera repulsione.» [7]

Il Giurì dell'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria si espresse per la cessazione della campagna ritenendola non conforme agli articoli 1 e 10 del codice di autodisciplina pubblicitaria. Tali sono gli articoli che tutelano la dignità umana ed evitano che la pubblicità diventi terreno di scontri ideologici, provocazione o strumentalizzazione ai danni, in questo caso, di persone malate.

Giorgio Floridia, presidente dello IAP, dichiarò di ritenere la campagna un utilizzo distorto della malattia e che l’Istituto aveva ricevuto molte lettere di persone angosciate per la strumentalizzazione della loro malattia a fini commerciali: «La verità è che Toscani vuole attirare l'attenzione del pubblico tramite temi di carattere sociale, che lui parifica a

campagne come quelle di pubblicità progresso, ma che non lo sono, perché una campagna scandalistica non aiuta certo la cura e la guarigione dall'anoressia». Infine, ricordò Floridia, «noi ci siamo mossi su richiesta dell'ABA e del sindaco di Milano Letizia Moratti». La campagna infatti aveva creato una vera spaccatura nella Giunta comunale con Terzi e la Moratti schierati assieme al Presidente della Camera della Moda Mario Boselli per la rimozione delle pubblicità «dagli spazi di nostra competenza». A contestare la decisione del Sindaco ci fu l'assessore Tiziana Maiolo, che pur considerando «volgare e offensiva» l'immagine, invitava a non fare censura. [8]

È opportuno considerare le motivazioni per le quali le Amministrazioni locali che maggiormente avrebbero subito l’impatto dei cartelloni pubblicitari disseminati per la città la respinsero attivamente anche se a livello ministeriale la campagna era stata ritenuta idonea. I dissensi non vennero solo dalle istituzioni, ma anche da ambienti più vicini alla pubblicità ed al lavoro di Toscani, come alcuni giornali, tra cui il Corriere della Sera, che rifiutarono di pubblicare le foto di Isabelle Caro.

Tuttavia la notizia che la campagna fu oggetto di censura è falsa, in quanto gli spazi affittati non erano di proprietà del Comune di Milano che quindi non aveva il potere di rimuovere i manifesti. La scelta molto intelligente e lungimirante fu quella di stabilire un lasso di tempo brevissimo per la campagna che, come un lampo a ciel sereno, era apparsa per spaccare in due l’opinione pubblica italiana e se ne era andata prima di poter essere censurata. [9]

Toscani, dal canto suo, difese la sua campagna definendola una sorta di Urlo di Munch contro la malattia ed accusando il Giurì di essere un gruppo di moralisti pronti a censurare il lavoro di un artista che ha avuto l’approvazione del Ministero della Salute e di gran parte degli italiani. [8] Redazione (2007), Il Giurì boccia l'anoressia di Toscani. E lui: "Basta con la mafia dei pubblicitari", “La Repubblica”, [online]. Consultabile sul sito: www.repubblica.it, pubblicato: 19 ottobre 2007 [9] Anorexia Storia di un'immagine (2008), [documentario], regia di L. M. Emede, La Sterpaia, 25 min.

Anche le reazioni a sostegno della campagna non si fecero attendere. A favore dello ‘schiaffo morale’ di Toscani, in quella occasione, si espressero altri personaggi controversi, come Vittorio Sgarbi che elogiò il tentativo del fotografo di ricercare una reazione attiva ed efficace da parte del pubblico. A sostenere la campagna furono anche alcuni fra gli esponenti del mondo messo sotto accusa: gli stilisti impegnati sulle passerelle milanesi, da Giorgio Armani a Roberto Cavalli per finire con la coppia Dolce&Gabbana. Il pregio della campagna di Oliviero Toscani e No-l-ita fu quella di puntare un faro, forse troppo platealmente e non esclusivamente per ragioni umanitarie, su di un problema sociale marginalizzato e sottovalutato dalla popolazione non coinvolta in prima persona. Grazie a No.ANOREXIA che ha fatto da apripista per una presa di coscienza collettiva, si e sviluppato il dibattito sull’opportunità di utilizzare modelle dal fisico al limite della malnutrizione e la conseguente presentazione di simili standard come modelli di bellezza da perseguire. In proposito alcune azioni erano già state prese, per esempio alla settimana della moda di Madrid furono bandite le modelle considerate ‘ultra-magre’, mentre per poter sfilare a Milano venivano richiesti certificati medici per le ragazze sottopeso già da febbraio 2007. [10] BIBLIOGRAFIA De Clercq, Riva (2007) De Clercq Fabiola, Riva Marco (2007), La comunicazione socialmente utile, Dispensa Ministero – ABA. Gasparri (2010) Gasparri Elisa (2010), Pubblicità all’anoressia, Corso di Laurea Magistrale in Semiotica, Università di Bologna, A.A. 2009-2010

[10] Redazione (2007), Italy bans 'No Anorexia' poster, “BBC News”, [online]. Consultabile sul sito:

Rihanna - The Face of a Battered Woman

[1]

Los Angeles, 8 febbraio 2009 Autore sconosciuto L’AGGRESSIONE Le informazioni raccolte su questa vicenda provengono da moltissime fonti diverse a causa della notorietà dei protagonisti: si spazia dai giornali ai siti scandalistici, a stralci di rapporti ufficiali della polizia, che sono trapelati in alcuni casi non attraverso le conferenze stampa ufficiali.

La notte dell’8 febbraio 2009 la cantante R&B Robyn Rihanna Fenty, conosciuta come Rihanna, 20 anni, stava tornando dalla festa in vista della cerimonia dei Grammy Awards che si sarebbero tenuti a Los Angeles la sera successiva ed alla quale la cantante avrebbe partecipato. In macchina con lei, c’era il compagno e collega Christopher Maurice Brown, noto semplicemente come Chris Brown, 19 anni, e tra i due scoppiò una furiosa

[1] Redazione (2009), Rihanna - The Face of a Battered Woman, “TMZ”, [online]. Consultabile sul sito:

lite in cui la ragazza chiese spiegazioni riguardo ad un SMS appena ricevuto dal compagno da una ex fidanzata. Il giovane reagì alla gelosia della compagna aggredendola fisicamente, picchiandola e stringendole la gola fino a farle perdere conoscenza; in seguito all’aggressione continuò a guidare e quando vide che la ragazza cercava di chiamare aiuto, gettò il suo telefono fuori dal finestrino dell’auto, quindi accostò il veicolo nella zona del lussuoso complesso residenziale di Hancock Park. L’aggressione riprese perché qualcuno degli abitanti del complesso, svegliato dalle grida, chiamò il Pronto Soccorso e quando arrivò la polizia trovò la ragazza sola e con segni di percosse. SULLA SCENA DEL CRIMINE

Questa fotografia non è arte. Non lo è non perché l’immagine in sé non abbia la potenzialità di trasmettere un messaggio intenso ed importante o per errori tecnici di composizione, ma non è arte perché non è stata creata con l’intento di esserlo.

Se analizzata da un punto di vista artistico questa fotografia potrebbe essere una versione contemporanea di uno dei ritratti realizzati da John Ernest Joseph Bellocq negli anni ‘10 del XX secolo alle persone che abitavano a Storyville, il quartiere a luci rosse di New Orleans [2]. Una delle immagini a cui mi riferisco è un mezzobusto in bianco e nero di una giovane dai capelli scuri che guarda intensamente l’obiettivo mostrando il livido all’occhio sinistro e un’escoriazione mista a rossetto sbavato sul lato destro della bocca. La fotografia scattata a Robyn Rihanna Fenty è invece un primo piano del volto. La luce troppo forte e diretta schiarisce la pelle, facendo risaltare le tumefazioni e sottolineando qualsiasi altra imperfezione. Può apparire sciocco, ma per chiunque fosse abituato alle immagini in cui la cantante Rihanna è bellissima e truccata ad arte, una fotografia del genere, che non perdona nulla, è sconvolgente. Ciò che differenzia questa fotografia da quella di Bellocq, in primis, è la notorietà del soggetto: della giovane donna ritratta da Bellocq non si sa quasi nulla e forse proprio il fatto che resti anonima contribuisce al mistero malinconico evocato dal fotografo,

[2] John Ernest Joseph Bellocq, Untitled della serie Storyville Portraits, New Orelans, 1912

Appendice 1

mentre chiunque davanti a questo primo piano di Fenty riconosce il viso della cantante ed il contrasto tra l’immagine pubblica della ragazza bella, forte, autonoma e di successo e la fragilità estrema mostrata in questo scatto contribuirono all’impatto avuto dall’immagine.

Anche la scarsa qualità dell’immagine, che è decisamente dilettantesca non disturba l’osservatore, se la si considera un foto-documento che possa rappresentare la violenza subita dalle donne: infatti potrebbe essere un richiamo alle fotografie amatoriali scattate in famiglia, visto che purtroppo la maggior parte degli abusi è perpetrata da persone, soprattutto uomini, all’interno della cerchia affettiva. È fondamentale notare che la qualità dell’immagine, la luce e la posa non furono frutto di uno studio su come meglio rappresentare la violenza domestica, ma solo le circostanze nelle quali la fotografia poté essere ‘rubata’. Infatti, la seconda grossissima differenza tra il ritratto novecentesco e quello di Rihanna è l’intenzionalità dell’autore ed il coinvolgimento del soggetto. La fotografia di Bellocq serviva da documentazione sulla vita delle prostitute di New Orleans oltre che come esperimento socio-artistico di un uomo eccentrico, i soggetti erano consapevoli di essere ritratti, anzi venivano addirittura messi in posa e diretti dal fotografo. Al contrario la fotografia di Fenty è chiaramente stata scattata durante la procedura medico-legale atta a documentare le sue lesioni, probabilmente sulla scena dell’aggressione o al pronto soccorso e, al contrario della modella di Bellocq, gli occhi della ragazza sono chiusi per mostrare l’estensione delle lesioni alle palpebre ed aumentando la vulnerabilità del soggetto che letteralmente non è in grado di veder l’obiettivo. La fotografia fu scattata alla cantante in un momento terribile, quando la vittima di un’aggressione è costretta a ripercorrere quanto le è accaduto in dettaglio e contemporaneamente il suo corpo diventa la prova fisica da analizzare per trovare prove. Il fatto che quest’immagine sia divenuta pubblica è molto grave, sia per l’assoluta mancanza di professionalità degli agenti che, apparentemente, vendettero la fotografia ad un tabloid, sia da parte del sito scandalistico che la pubblicò dimostrando una completa assenza di etica giornalistica.

IL CONTESTO

l’Empowerment Femminile, stima che il 35% tra le donne di tutto il mondo abbia subito violenza fisica e/o sessuale da parte di un partner o violenza sessuale da parte di uno sconosciuto ad un certo momento della loro vita. Nonostante i dati reperibili non siano sempre sufficienti, è stimato che il 43% delle donne nei 28 Paesi membri dell’Unione Europea sia stata vittima di violenza psicologica da parte di un conoscente nell’arco della propria vita. Le più comuni forme di abuso psicologico includono l’isolamento della donna dalla sua cerchia familiare o amicale, la costrizione alla dipendenza economica, l’umiliazione pubblica o privata ed il generale controllo di ogni aspetto della sua vita. Si stima che globalmente la metà delle donne vittime di omicidi nel 2012 sia stata uccisa da un compagno o un membro della famiglia, mentre la percentuale della situazione inversa, quando la vittima è di sesso maschile, è meno del 6%. [3] In Italia la crescente violenza contro le donne perpetrata da parte di mariti, fidanzati o ex è in drammatico aumento, tanto da generare il neologismo femminicidio, termine apparso nel dizionario Devoto-Oli nel 2009 e poi nel 2010 sullo Zingarelli. Dal gennaio 2015 al giugno 2016 sono state uccise 156 tra donne e ragazze e secondo i dati di Telefono Rosa, almeno 8 856 donne sono state vittime di violenza e 1 261 di

stalking e questi numeri sono solo la punta dell’iceberg, visto che il 90% delle donne non

denuncia gli abusi subiti. [4]