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SCELTE METODOLOGICHE ED IMPOSTAZIONE DELLE SCHEDE DI ANALIS

Come accennato nell’introduzione alla tesi la possibilità di scelta ed il numero di fotografie da esaminare erano davvero notevoli e presentavano numerosissime differenze in termini di tematiche trattate e modalità di rappresentazione.

Poiché avevo scelto come 'archetipo’ la fotografia di Nilüfer Demir per costruire una griglia in primo luogo per la scelta e poi per il confronto con le altre fotografie dovetti procedere ad identificare quali erano i tratti distintivi che avevano permesso all’immagine di avere il forte impatto sull’opinione pubblica.

In primo luogo mi interessava occuparmi di fotografie icona, ovvero immagini talmente note da essere entrare nel patrimonio visivo dell’Occidente.

Numerosi quotidiani periodicamente hanno prodotto piccole raccolte di una ventina di immagini etichettate come ‘le foto che hanno cambiato il mondo’: due esempi validi che avevo trovato durante la mia ricerca iniziale furono l’articolo Ten photographs that

changed the world pubblicato dal quotidiano inglese “The Telegraph” nel 2009 [1] oppure

le immagini mostrate da Jonathan Klein, co-fondatore e presidente dell’agenzia Getty Images, durante la conferenza dal titolo Photos that changed the world tenutasi alla TED University nel febbraio del 2010 [2]. Notai che alcune immagini erano riproposte in quasi tutte le raccolte, ad esempio una presenza fissa è la fotografia di Nick Ut del 1972 intitolata The Terror of War ma meglio conosciuta come Napalm Girl, un’altra immagine molto presente è quella del giovane davanti alla colonna di carri armati durante la protesta di Piazza Tienanmen nel 1989.

L’unicità di queste immagini risiede nel fatto che, anche se non sempre sono completamente auto-esplicative, sono talmente note e rappresentative di una particolare tematica o di un momento storico da non necessitare ormai di nessuna descrizione o didascalia. Per diventare un simile punto di riferimento nella cultura [1] Articolo pubblicato sulla versione online del quotidiano per celebrare i 170 anni della fotografia come mezzo di comunicazione. Redazione (2009), Ten photographs that changed the world, “The Telegraph”, [online]. Consultabile sul sito: www.telegraph.co.uk, pubblicato: 8 settembre 2009. [2] TED (2010), Photos that changed the world, [video], Consultabile sul sito: www.ted.com, pubblicato: febbraio 2010.

popolare una fotografia necessita di essere veicolata attraverso dei canali di trasmissione: oggi il canale più rapido e con il maggior raggio d’azione è certamente la rete soprattutto attraverso i social networks, ma per buona parte della vita del fotogiornalismo i canali utilizzati erano i quotidiani e le riviste illustrate. Indubbiamente una delle riviste di fotogiornalismo più importanti e rinomate è stata “LIFE”, che ha cessato la pubblicazione regolare nel 2000: quasi tutte le immagini di reportage importanti degli ultimi settant’anni sono state riprodotte dalla rivista, che si è sempre fatta punto d’onore di scoprire e promuovere i fotoreporter di talento. Inoltre nel 2004 “LIFE” ha prodotto quella che ho giudicato essere la raccolta più completa di fotografie icona, 100 photographs that changed the world: si tratta di un gruppo più ampio rispetto agli altri elenchi che avevo individuato in precedenza ed è anche organizzato per categorie, separando ad esempio le fotografie che sono state determinanti nell’ambito scientifico rispetto a quelle che trattano argomenti socio-culturali.

Poiché volevo trovare le fotografie che sono riuscite ad influenzare l’opinione pubblica come l’immagine del corpo di Aylan sulla spiaggia mi sono concentrata, scartando quei foto-documenti che servivano da testimonianza ma che non proponevano all'osservatore una visione alternativa o una prospettiva diversa su come considerare una determinata tematica. Ho anche deciso di concentrarmi solo sulle fotografie icona riguardanti temi socio-culturali non bellici, perché le immagini direttamente riconducibili ai conflitti hanno certamente esposto al grande pubblico gli orrori delle varie guerre degli ultimi cento cinquant’anni, ma avrebbero fagocitato la mia ricerca, limitandone il campo d’analisi. Il fotogiornalismo e la fotografia sono riusciti ad affrontare moltissime tematiche utilizzando approcci diversi. Soprattutto negli ultimi vent’anni il rapporto del pubblico con le immagini si è evoluto ampliando il range delle fonti che possono essere considerate attendibili: una pubblicità può trasmettere un messaggio sociale e l’informazione di qualità può essere veicolata attraverso le bacheche dei social networks. Il fatto che il volume pubblicato da “LIFE” lasciasse scoperti gli ultimi dieci anni mi ha permesso di integrare le sei fotografie che avevo scelto tra le sue cento con altre quattro che sono frutto di avvenimenti recenti ed il cui effetto ho potuto sperimentare in prima persona partecipando al dibattito che hanno generato.

Dei cent'anni di foto che prendi in esame quindi i primi ottanta, dal 1911 della fotografia di Hine al 1990 con l’immagine di Frare, sono ‘rappresentati’ da sei fotografie mentre gli ultimi dieci anni da quattro. Ho scelto quest’apparente squilibrio per sottolineare come la rivoluzione digitale abbia liberalizzato il mondo dell’immagine rendendo molto più rapido e semplice sia la creazione delle fotografie che l’elevazione di uno scatto allo status di icona. Naturalmente mentre le prime sei immagini sono definitivamente entrare a fare parte dell’immaginario collettivo del contemporaneo, le ultime quattro devono fronteggiare due principali ostacoli prima di poter reclamare il titolo di icona: prima di tutto la loro pubblicazione è ancora troppo recente per valutare la profondità del loro impatto e le sue ramificazioni nella coscienza degli osservatori, inoltre si trovano a dover competere con una continua produzione di immagini che costantemente vengono veicolate, stemperando il loro effetto e rischiando di minarne l’incisività: in altre parole le ultime quattro fotografie in ordine cronologico sono al momento le rappresentazioni iconiche di tematiche sociali attualmente di primo piano, se lo saranno anche in futuro non mi è dato di prevederlo.

Ogni scheda di analisi è divisa in quattro sezioni.

La prima parte, generalmente piuttosto breve, illustra la situazione nella quale è stata scattata la fotografia trattata, ad esempio nel caso dello scatto di Dominis ho riportato il resoconto della gara maschile dei 100 metri, mentre la fotografia di Smith è contestualizzata con una descrizione della malattia di Minamata e dei suoi sintomi. La seconda parte prende solitamente il titolo dal luogo o dalla posizione dalla quale la fotografia è stata scattata e descrive l’immagine, analizzandola anche in rapporto ai riferimenti artistici e storici che spesso sono presenti, approfondendo la situazione contingente dello scatto, grazie ad interviste rilasciate sia dai fotografi che dai soggetti ritratti e riportando le riflessioni e le intenzioni che gli autori hanno voluto ‘incanalare’ nell’atto di creare queste particolari immagini.

La terza parte si occupa dell’inquadramento storico del tema trattato dalla fotografia in relazione alla scena ripresa, ad esempio per la fotografia di Frare riporto soprattutto l’esperienza di David, dei suoi genitori e della fotografa stessa con la malattia e con l’atteggiamento che la società ha nei confronti dei malati di AIDS, similmente l’immagine

scattata da Hine è accompagnata dal racconto della sua esperienza come ‘investigatore’ per il National Child Labor Committee statunitense.

L’ultima parte è un resoconto di come la fotografia sia pervenuta al pubblico, attraverso quali canali, con quali intenti sia stata veicolata ed in che modo abbia influenzato il pubblico o una parte di esso.

Breaker Boys

Pennsylvania Coal Co., South Pittston, gennaio 1911 Lewis Wickes Hine Library of Congress L’INCARICO

Nel 1907 Lewis Wickes Hine iniziò a lavorare per il National Child Labor Committee (NCLC) [1] e l’anno successivo ricevette l’incarico da parte dell’associazione di documentare fotograficamente le condizioni lavorative e di vita dei bambini impiegati come mano d’opera nelle miniere, fabbriche o campi negli Stati Uniti. Questo lavoro di reportage richiese che abbandonasse il suo impiego di insegnante a New York per poter

[1] Fondato nel 1904 da Edgar Gardner Murphy, il National Child Labor Committee è un’organizzazione

privata non profit il cui statuto costitutivo descrive così la sua mission: «The said bureau shall investigate and report to [the Department of Commerce and Labor] upon all matters pertaining to the welfare of children and child life among all classes of our people, and shall especially investigate the questions of infant mortality, the birth-rate, orphanage, juvenile courts, desertion, dangerous occupations, accidents and diseases of children, employment, legislation affecting children in the several states and territories.»

viaggiare lungo tutto il paese per sedici anni, producendo più di 5,100 stampe fotografiche e 355 negativi in vetro, consegnati nel 1954 alla Libreria del Congresso assieme ai registri tenuti della NCLC. [2]