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Prima di approfondire le questioni epistemologiche e metodologiche relative alla

Philosophy for Children si rivela di particolare importanza condurre alcune

riflessioni sul nesso che lega la filosofia all’infanzia, partendo dalla messa in discussione del pregiudizio che vede la filosofia come un viatico intellettuale riservato a pochi201, non adatto ai bambini ed alla loro educazione. Pregiudizio, quest’ultimo, che come ha acutamente osservato Derrida, affonda in parte le sue radici nel processo di affermazione del liberismo economico dominato dall’idea della

produttività e del profitto202. Esso ha messo in discussione l’importanza delle

discipline umanistiche203, facendo apparire la filosofia come «assolutamente

superflua quando si trattava della formazione degli uomini d’affari e di scienziati e

201 Di particolare interesse risulta a tal proposito l'analisi condotta da Antonio Cosentino. Secondo il

nostro la concezione della filosofia come forma elitaria e quasi “divina” di sapere (da cui discende l'idea di una sua presunta inutilità) è imputabile al progressivo trasferimento del filosofare dall’oralità della discussione socratica (caratterizzata da dinamicità e socialità), all'isolamento della scrittura dei Dialoghi platonici, attraverso i quali essa si trasferisce nel mondo delle verità immutabili, divenendo vita contemplativa. A. Cosentino, Socialità riflessiva e democrazia, cit., p. 51.

202 Nello specifico Jacques Derrida faceva riferimento alla riforma Giscard-Haby, attuata in Francia

nel 1975. Con essa il sistema educativo venne declinato in favore delle esigenze economiche e di mercato, comportando il restringimento dello spazio riservato alla filosofia e la sua subordinazione agli interessi delle classi forti. Cfr. F. Garritano, Aporie comunitarie. Sino alla fine del mondo, Jaka Book, Milano 1999, p. 202.

203 M. Lipman, Pratica filosofica e riforma dell'educazione. La Filosofia con i bambini, in A.

Cosentino, (a cura di) Filosofia e Formazione, cit., p. 12; Id., Philosophy goes to school, Temple University press, Philadelphia, 1988, pp.11-18.

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bandendola dalla scena per quel che riguardava l’educazione dei bambini»204. A

distanziare ulteriormente questa disciplina dalla dimensione infantile avrebbe contribuito, secondo Lipman, un’erronea interpretazione di alcuni passi della

Repubblica di Platone a cui spesso si è fatto riferimento per scoraggiare iniziative

pedagogiche volte a far accedere precocemente i bambini alla filosofia. Il riferimento specifico è al settimo libro della suddetta opera, in cui il filosofo greco esorta ad evitare il contatto dei bambini con la dialettica in quanto «coloro che la praticano sono contagiati da anarchia»205.

In realtà, come sottolinea il filosofo nordamericano, ciò che Platone condannava non era «la pratica della filosofia da parte dei bambini in quanto tale, bensì la riduzione della filosofia ad esercitazioni sofistiche di dialettica o retorica, i

cui effetti sui bambini sarebbero stati devastanti e corruttori»206. Com’è noto infatti,

Socrate e Platone furono apertamente contrari all’idea di filosofia proposta dai sofisti ed alla sua riduzione a mero tecnicismo retorico, poiché minava le fondamenta stesse della moralità greca e risultava estremamente deleteria per i più giovani.

Ciò che Socrate sosteneva con forza era invece il ruolo socialmente e moralmente rilevante della filosofia intesa come pratica sociale volta all’esame comune dei concetti ritenuti essenziali per la condotta umana, e dunque non riducibile alla sola argomentazione. Vista da tale prospettiva, la filosofia non è questione d’età, «bensì di capacità di riflettere su ciò che si ritiene importante»207.

Si tratta di una visione della filosofia che negli ultimi anni ha conosciuto una notevole ripresa, parallelamente ad una rivalutazione della condizione infantile ed

alla valorizzazione degli aspetti che la accomunano a tale disciplina208.

Emblematiche, in tal senso, appaiono le parole di Edith Stein, che nella sua

Introduzione alla filosofia, definisce il filosofo come «colui che guarda il mondo con

occhi spalancati»209. Uno sguardo pieno di meraviglia e candore e per questo non affatto dissimile dallo sguardo attraverso cui il bambino percepisce il mondo, accogliendo ed interrogando ciò che vede. La filosofia infatti, come ci insegnano

204 M. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica

(2010), tr. it. a cura di R. Falcioni, Il Mulino, Bologna 2011, pp. 21-30.

205 Platone, La Repubblica, ed. a cura di F. Sartori, C. Giarratano, Laterza, Roma-Bari 1982, p. 24. 206 M. Lipman, Pratica filosofica e riforma dell'educazione. La Filosofia con i bambini, in A.

Cosentino, (a cura di) Filosofia e Formazione, cit., p. 15.

207 Ibidem.

208 M. Lipman, Growing up with Philosophy, Temple University press, Philadelphia 1978, pp.6-8. 209 E. Stein, Introduzione alla filosofia (1991), tr. it. a cura di A. M. Pezzella, Città nuova, Roma 1998,

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Platone nel Teeteto210 ed Aristotele nel libro I della Metafisica, trova la sua origine

nella meraviglia:

« […] gli uomini hanno iniziato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia. Mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’universo intero. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in un certo senso, filosofo: il mito infatti è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia»211.

La meraviglia rappresenta il motore dell’indagine filosofica, ciò da cui è sorta l’esigenza di porsi domande tentando di rispondere ad esse, e dunque il preludio del conoscere. Nel contempo essa è la condizione propria dell’infanzia, intesa come fonte di stupore e di ricerca di significati, caratterizzata dalla capacità di affidarsi al visibile con quell'abbandono contemplativo privo di fretta che appare sempre più sconosciuto ed impenetrabile al mondo adulto. Già a partire dal quarto anno d’età infatti, i bambini esercitano una curositas radicale. Essi interrogano il mondo molto precocemente e pongono domande di natura filosofica attorno a questioni esistenziali come la vita, e la morte, il pensiero ed il tempo212. Spesso, tuttavia, gli adulti sperimentano un senso di difficoltà di fronte alla domande poste dai bambini e tendono a non tenerle nel giusto conto, trascurandole ed evadendole con risposte inadeguate o edulcorate. A ciò si aggiunge il fatto che l’istituzione scolastica il più delle volte scoraggia la naturale propensione del bambino ad interrogare ed

interrogarsi, ponendo l’accento più sull’apprendimento ricettivo che sulla pratica

della ricerca213. Particolarmente interessante appare a tal proposito la riflessione della

210 All’interno di tale Dialogo Socrate, rispondendo al giovane matematico ateniese, afferma: « Non

mi pare, caro amico, che Teodoro abbia opinato male sulla tua natura. Si addice particolarmente al filosofo questa tua sensazione: il meravigliarti. Non vi è altro inizio della filosofia, se non questo, e chi affermò che Iride era figlia di Taumante come sembra, non fece male la genealogia». Platone, Teeteto, 155d, ed. a cura di F. Albeggiani, Sandron, Milano 1939, p. 54.

211 Aristotele, Metafisica, I, 2,982b-983a, ed. a cura di G. Reale, Rusconi, Milano 1978, pp.77-79. 212 H. Schidlowsky, La filosofia per bambini: una educazione alla felicità e alla democrazia, in

Dossier International de: “L’AGORA” –Revue internationale de didactique de la philosophie, p. 2, .http://www.quartocircolomonza.gov.it/wp-content/uploads/2012/10/PC4PresentazioneGenerale.pdf. Consultato il 6 settembre 2014.

213 Tutto ciò, come ha sostenuto Matthew Lipman, appare in linea con una visione dell’intelligenza

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professoressa Jana Mohr Lone214,che da anni conduce sessioni di P4C. La studiosa

sostiene che quando un insegnate pone una domanda alla propria classe, solitamente non lo fa per stimolare un dibattito attorno a quella domanda o per dimostrare il valore del domandare, ma piuttosto è alla ricerca di una risposta specifica da parte degli studenti (mediante l’interrogazione in classe o attraverso test). Questi ultimi trascorrono quindi gran parte del loro percorso scolastico cercando di individuare quali siano le risposte giuste alle domande poste dai loro insegnanti.

Già a partire dalla scuola primaria i bambini si rendono conto di come il domandare non sia sempre ben accetto a scuola, imparando gradualmente a vederlo come un’imbarazzante esposizione pubblica di qualcosa che non sanno e che

avrebbero invece dovuto sapere215. Accade così che spesso restino in silenzio,

perdendo progressivamente il loro naturale atteggiamento di curiosità esplorativa e contestualmente la tensione a pensare da sé, a percorre con «dubbi e domande i sentieri imprevisti nell'ordine dell'esistente»216.

Frenando dunque gli interrogativi dei bambini, si rischia di compromettere il loro intero percorso educativo, contribuendo a formare individui privi di un pensiero autonomo e riflessivo e incapaci di aver cura ed interesse verso ciò che li circonda. Da ciò risulta evidente il ruolo che spetta alla scuola attuale: promuovere il recupero di quell’incessante interrogarsi che infanzia e filosofia condividono, impiegando quest’ultima come medium indispensabile per insegnare precocemente ai bambini a porre buone domande ed a servirsi della ragione per tradurre la loro innata curiosità in idee, teorie e ipotesi su come funziona il mondo217.

Come ha significantemente sostenuto Umbero Galimberti «se l’infanzia genera l’interrogazione nella sua radicalità, la filosofia insegna a mantenersi nell’interrogazione, per non seppellire il cervello tra le opinioni diffuse, che

competenza nel formularli (attraverso l'interrogazione) e riconoscerli. M. Lipman, A. M. Sharp, F. Oskanyan, Philosophy in the classroom, Temple University Press, Philadelphia 1980, p. 60.

214 Fondatrice e direttrice del Centro di ricerca sulla Philosophy for Children sorto presso l'Università

di Washington. http://philosophyforchildren.blogspot.it/. Consultato il 10 settembre 2014.

215 J. M. Lone, Questions and the Community of Philosophical inquiry, in «Childood and

Philosophy», v. 7, n.10, jan/jun 2011, p. 79.

216 E. Zamarchi, il Counseling filosofico. La filosofia nella vita quotidiana di bambini ed adulti, p. 4.

http://www.elisabettazamarchi.com/articoli/10%20IL%20COUNSELING%20FILOSOFICO%20Nap oli%20%281%29.pdf . Consultato il 5 settembre 2014.

63 rispondono non tanto alle nostre domande, quanto al desiderio di evitare il più possibile la fatica del pensiero»218.

Da tali premesse muove la Philosophy for Children, curricolo che assume la filosofia non solo come sapere ma, parafrasando Jonas, come questione del senso e

dell’Essere219, e dunque quale contenuto e metodo della pratica educativa. In particolare quando parla di metodo filosofico, il fondatore della P4C intende

essenzialmente il «metodo della ricerca applicato all’ambito della filosofia»220.

In esso i bambini divengono protagonisti attivi del processo di

apprendimento e le loro domande determinano non solo l’argomento affrontato dal gruppo classe (tramutato in comunità di ricerca filosofica) ma l’intero contenuto della ricerca, all’interno di un percorso dialogico e comunitario.