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Gli studi brevemente descritti, pur nella diversità degli approcci e delle prospettive adottate, sono accomunati dalla volontà di andare oltre la visione dello sviluppo morale proposta da Piaget e Freud, evidenziando l’esistenza di una “sensibilità morale” anche nei più piccoli. Essi, nello specifico, pongono in rilievo come i bambini manifestino competenze emotive e relazionali molto precocemente e come l’istinto a cooperare ed aiutare gli altri sia qualcosa di innato, frutto della storia e di un’eredità genetica maturata nel corso di secoli. Tali studi consentono inoltre il superamento del dualismo mente-corpo, rivelando come emozioni, affettività ed

tolleranti dovevano sviluppare, a livello di gruppo, alcune pratiche istituzionali che prevedessero norme sociali pubbliche e l’assegnazione di status deontico a ruoli istituzionali». Ivi. p. 56.

596 Lo psicologo americano ritiene che dalla naturale capacità umana di cooperare e condividere

informazioni ed obiettivi derivino tutte le nostre caratteristiche distintive, «dall’utilizzo di utensili alla matematica», e persino lo stesso linguaggio. Ivi, p. 122.

597 Con tale espressione si vuole indicare una riduzione delle norme morali a mera espressione di

regolarità di comportamento e dunque a leggi di natura.

182 intuizione, al pari della cognizione, giochino un ruolo determinante nella formulazione di giudizi, ed in modo particolare del giudizio morale. Allo stesso tempo però, essi non trascurano di sottolineare l’importanza che la socializzazione e l’appartenenza ad un dato contesto culturale rivestono all’interno di tale processo, rivelando come « […] la possibilità di scambio, dialogo e confronto con gli altri è il

“motore” principale della capacità di ragionare e agire moralmente»599. Occorre

infatti precisare che l’idea dell’esistenza di una sorta di senso morale innato, ed il riconoscimento del ruolo che in esso rivestono le emozioni, non sfocia in mero innatismo o determinismo biologico. I numerosi casi di cronaca di cui è testimone la società contemporanea rivelano che sebbene l’essere umano sia in qualche modo predisposto a “sentire moralmente”, ciò non è garanzia che esso agisca effettivamente in modo morale e giusto: in una condizione di pericolo o di minaccia, ad esempio, il senso morale può facilmente venir meno e tramutarsi in aggressività ed egoismo. La “morale naturale” richiede quindi di essere supportata da una riflessione consapevole sui valori e «[…] le emozioni devono essere a loro volta guidate e fatte evolvere in un senso morale più alto, che recuperi il legame solidale con la specie e la responsabilità verso tutti»600.

Come si può ben comprendere, le nuove prospettive aperte dagli studi effettuati dalle neuroscienze e dalla psicologia evolutiva hanno profonde ricadute in ambito pedagogico: invitano a guardare il bambino e la bambina nella sua multidimensionalità, facendo «coincidere l’azione formativa non più solo con il sapere o con il saper fare ma con il saper essere al mondo»601. Esse evidenziano altresì il ruolo primario che spetta all’educazione nel consentire al bambino di tradurre i sentimenti morali, comuni alla specie umana, in forme coscienti di giudizio e mettono in discussione le motivazioni e le componenti tradizionali dell’educazione morale, nonché i tempi a questa riservati.

Da questi studi, in sostanza, si desume l’importanza di una formazione

all’etica602 che venga attuata a partire dal primo anno della scuola dell’infanzia

599 M. Santerini, Educazione morale e neuroscienze, cit., p. 84. 600 Ivi, p. 70.

601 D. Dato, Scuola pre-primaria e inclusione sociale, in Ead. (a cura di), La sfida dell'inclusione.

Competenze e formazione nella scuola dell'infanzia, Progedit, Bari 2014, p. 21.

602 Partendo dal riconoscimento della sottile ma determinante distinzione esistente tra etica e morale,

in questa sede si è preferito impiegare il termine “etica”. Infatti, come ha sottolineato Bertolini, mentre la morale fa riferimento all'insieme dei valori che un individuo persegue ed a cui si attiene nell'esperienza quotidiana, l’etica si caratterizza come pensiero etico “ossia capacità della singola persona, ma anche della singola comunità culturale di continuamente problematizzare le scelte fatte,

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secondo un modello olistico603, il quale, pur non trascurando di stimolare

adeguatamente la dimensione cognitiva, tenga conto delle componenti affettivo-

emotive e relazionali del bambino604, valorizzando «la ricerca naturale verso il bene

ed il giusto [ed] impiegando al tempo stesso un approccio costruttivista dei concetti

morali da cui deriva la comprensione e l’applicazione delle regole stesse»605. Non si

tratta, infatti, di accettare o assimilare acriticamente un dato sistema valoriale e/o normativo, ma, come sostiene Savater, di interrogarsi sul perché esistono determinati comportamenti e norme e sul perché li consideriamo validi606, al fine di formare

«non cittadini ben pensanti, ma liberi pensatori»607, dotati di riflessività e

autoconsapevolezza etica. Quest’ultima, intesa come «il riconoscersi e autodefinirsi

soggetto e causa attiva dei propri sentimenti, pensieri e comportamenti»608,

comporta, accanto ad una specifica coscienza di sé, del proprio “essere” e del proprio pensare, una conoscenza del sé, ossia del proprio esistere in relazione ai propri simili. L’autoconsapevolezza appare dunque profondamente legata al principio

responsabilità di cui ci parla Jonas, il quale chiama il soggetto a rispondere della

qualità etica del proprio agire ed a porre attenzione all’altro609, concepito “come fine

e mai come mezzo”. Si tratta di una vera e propria competenza che va oltre il saper

fare, «per sfociare in un concreto e attivo saper essere»610 e comporta, accanto ad un

diverso orientamento del sentire, anche un nuovo modo di pensare. Il prendersi cura dell’altro richiede infatti che «il soggetto abbia acquisito la capacità di fare delle scelte responsabili che razionalmente, oltre che emotivamente, lo inducano a

“scegliere” autonomamente»611. Ciò significa orientare l’azione educativa attorno al

di sentirsi in un certo senso obbligati ad esplicitarne i criteri, se si preferisce le ragioni, che essi hanno seguito e seguono nel dare una determinata direzione alle loro scelte ed ai loro conseguenti comportamenti”. P. Bertolini, Dalla crisi dell'etica e dell'educazione, una sfida per la pedagogia, in «Enciclopaideya», gennaio-giugno 2004, n. 15, p. 7.

603 M. Santerini, Educazione morale e neuroscienze, cit., p. 80.

604 Frabboni e Pinto Minerva definiscono la dimensione emotiva come «la colonna sonora dell’intera

vita personale e formativa del bambino, che accompagna le origini dell’io, che sostiene le radici del senso del sé, che favorisce o, al contrario, inibisce le personali elaborazioni e rappresentazioni del mondo, le modalità e possibilità di relazione che il bambino crea con il proprio sé, con l’altro da sé e con l’altro come sé». F. Frabboni, F. Pinto Minerva, La scuola dell’infanzia, Laterza, Bari 2008, p. 79.

605 M. Santerini, Educazione morale e neuroscienze, cit., p. 101.

606 F. Savater, Etica per un figlio (1991), tr. it. a cura di D. Osorio Lovera, C. Paternò, Laterza, Roma-

Bari 2007, p. 29.

607 Ivi, p. 8.

608 M. T. Romanini, Autoconsapevolezza, in «Rivista Italiana di Analisi Transazionale e metodologie

psicoterapeutiche», n. 36, Anno XIX (1999), p. 26.

609 F. Miano, Responsabilità, Guida, Napoli 2010, pp. 112-114.

610 B. De Serio, Per una pedagogia della cura. La donazione degli organi come nuovo scenario

dell'educazione, Adda, Bari 2004, p. 187.

184 concetto di “impegno etico-razionale”, da assumere «come idea regolativa rispetto

alla quale costruire e sperimentare il proprio rapporto con il mondo e con gli altri»612.

Il modello olistico di formazione all’etica fin qui discusso trova un chiaro strumento di realizzazione nella Philosohy for Children. Come è emerso nel capitolo precedente, il curricolo elaborato da Lipman stimola la riflessione attorno alle questioni di valore (cos’è il bene, cos’è il male, cos’è giusto,cos’è sbagliato), dando modo al bambino di esplicitarle e problematizzarle all’interno di un contesto dialogico e comunitario che si avvale dell’altro come elemento di confronto imprescindibile. Inoltre, nel suo farsi “luogo” di apprendimento della «ricerca

orientata alla reciproca responsabilità»613, la P4C non trascura le diverse dimensioni

del pensiero (critical, creative e caring), avvalendosi della narrazione e potenziando l’immaginazione, la quale, a sua volta, si lega ad un pensiero previsionale, «in grado di controllare gli effetti del proprio agire in situazione e in prospettiva futura»614.

Occorre tuttavia precisare che il riferimento alle categorie di

autoconsapevolezza, riflessività e responsabilità quali obiettivi primari di una

formazione all’etica, induce a riflettere sul particolare contributo che può essere offerto dalla filosofia, non solo in quanto metodologia formativa ma anche in quanto specifico sapere che orienti l’esperienza educativa. In virtù del suo statuto epistemologico e della sua tradizione storico-disciplinare, la filosofia offre infatti un orizzonte categoriale all’interno del quale diventa possibile effettuare scelte in ambito etico, consentendo al soggetto in formazione di individuare e comprendere principi e valori attorno a cui gestire la sua libertà, nel rispetto della propria ed altrui vita. Risulta quindi determinante affiancare alla metodologia della Philosophy for

Children riferimenti teorici propri della filosofia morale che offrano una guida in

grado di orientare l'attività del formatore/facilitatore e conseguentemente la “ricerca etica” che i bambini sono chiamati ad intraprendere. Una ricerca intesa come

processo - cognitivo, emotivo ed immaginativo ad un tempo - che conduce alla comprensione etica di ciò che lo circonda, «quindi un impegno nella deliberazione

che porta ad individuare come agire, in maniera eticamente fondata, nelle concrete

situazioni che di volta in volta si presentano»615. In conformità con quanto sostenuto

612 F. Pinto Minerva, R. Galelli, Pedagogia e post-umano. Ibridazioni identitarie e frontiere del

possibile, Carocci, Roma 2004, p. 150.

613 M. Santerini, Educazione morale e neuroscienze, cit., p. 170. 614 M. De Nicolò, L'educazione nell'età postmoderna, cit., p. 158.

185 da Hartmann, si ritiene infatti che l’essenza della questione etica risieda nella scelta consapevole e responsabile da parte dell’individuo rispetto a come gestire le

situazioni in cui egli “capita”616 a partire dall’adesione o meno ad un dato valore o

sistema valoriale.

3.9 Educare alle Virtù: un possibile percorso per la scuola