Con l'obiettivo di prevenire il rischio che la tutela collettiva
risarcitoria avrebbe potuto danneggiare le imprese, ed essere
utilizzata da parte di speculatori nel tentativo di influenzare
gli andamenti di borsa, il legislatore ha introdotto
un’apposita fase, all’interno della quale si decideva
dell’ammissibilità dell’azione collettiva risarcitoria
proposta. Il comma 3, dell’art. 140 bis cod. consumo,
disponeva: alla prima udienza il tribunale, sentite le parti, e
assunte quando occorre sommarie informazioni, pronuncia sull’ammissibilità della domanda, con ordinanza reclamabile davanti alla corte di appello, che pronuncia in
camera di consiglio80.
Si trattava di un procedimento strutturato su due gradi, il
primo a cognizione sommaria, di fronte al tribunale adito
80 Il terzo comma si chiudeva prevedendo una forma di pubblicità nel
caso di ammissione dell’azione collettiva, rimettendone al proponente l’onere. Questa scelta appariva criticabile in relazione alla mancanza di una disciplina che si preoccupasse - anche attraverso la costituzione di appositi fondi - di attutire il peso economico riversato sui soggetti legittimati, in modo tale di evitare il rischio che lo strumento diventasse poco appetibile.
per il merito, ed il secondo, naturalmente eventuale, con le
forme camerali, dinanzi alla Corte d’appello81.
Attraverso l’inserimento di una fase riproducente la
certification americana, si era voluto introdurre un apposito
stadio preliminare82, un sub-procedimento prima
sconosciuto nel nostro ordinamento che, dunque, come una
sorta di udienza preliminare83, si distingueva nel rito
ordinario dalla udienza di prima comparizione84. La
caratteristica di questa fase processuale consisteva nella
verifica di una serie di requisiti aventi come precipua
finalità il depotenziamento di azioni giudiziarie abusive85.
81 Fase quest’ultima regolata dagli articoli 739 e 741 c.p.c., vedi MENCHINI
S., La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, op. cit.
82 Si veda MENCHINI S , La nuova azione collettiva risarcitoria e
restitutoria, op. cit.
83 CONSOLO C., È legge una disposizione sull’azione collettiva
risarcitoria: si è scelta la via svedese dello “opt-in” anziché quella danese dello “opt-out” e il filtro (“L’inutil precauzione”), op. cit., p. 7.
84 Una conferma in tal senso si ha da quanto affermato in dottrina da
CONSOLO C., in CONSOLO C., BUZZELLI P., BONA M., Obbiettivo Class
action: l’azione collettiva risarcitoria, op. cit. p. 149, il quale, facendo riferimento al giudizio di ammissibilità affermava come «l'udienza cui si riferisce il comma tre sia non già la normale udienza dell'art. 183 ma una sorta di udienza preliminare di accesso alla successiva trattazione del merito ». In senso contrario, ritenendo la prima udienza indicata nel comma 3 quella prevista all’art. 183 c.p.c., AMADEI D., L’azione di
classe italiana per la tutela dei diritti individuali omogenei, op. cit.
85 In tal senso PALMIERI A., Campo di applicazione, legittimazione ad
agire e vaglio di ammissibilità, op. cit., p. 190; DE SANTIS F., La
pronunzia sull’ammissibilità della «class action»: una «certification» all’italiana?, An. Giur. Econ., 2008, n. 1, p. 145.
Non vi è dubbio che, in tal senso, la novità risultava essere
apprezzabile, e ciò non solo per le imprese convenute, cui
certo con maggior immediatezza lo strumento consentiva
una misura di tutela, ma soprattutto con riferimento ai
componenti della classe danneggiata. Non è raro, infatti, che
l'uso distorsivo degli strumenti di tutela collettiva
risarcitoria possa condurre all'avvio di giudizi da parte di
soggetti non in grado di tutelare adeguatamente gli interessi
dei soggetti danneggiati. La necessità di un controllo della
domanda proposta, quindi, era avvertita anche a tutela dei
consumatori, tenuto anche conto che, nello strumento
processuale elaborato dal legislatore italiano, nessun
meccanismo di controllo esterno era stato ideato al fine di
limitare la gestione unilaterale dell'intera fase processuale
attribuita al soggetto collettivo. I consumatori, quindi, si
sarebbero trovati costretti a subire potenziali effetti
preclusivi derivanti dalla condotta processuale di un
soggetto il cui operato non era soggetto ad alcuna forma di
strumento di garanzia anche nei confronti dei consumatori,
al fine di consentire agli stessi il mantenimento di spazi di
adeguata tutela collettiva.
Il tribunale86 pronunciava sull'ammissibilità della domanda
con ordinanza contro cui era possibile proporre reclamo alla
Corte d'Appello.
A tal riguardo in dottrina, si era posto il problema di
comprendere se fosse possibile avverso l'ordinanza emanata,
ricorrere in Cassazione, ai sensi dell’art 111 comma 7 Cost,
problema che si poneva con maggiore forza nell'ipotesi di
rigetto per manifesta infondatezza. Si era, infatti, attribuita
all'ordinanza di inammissibilità una natura sostanziale di
sentenza87. Tuttavia, vista la peculiare natura del
86 Che giudicava in composizione collegiale come si trae dall’importanza
economico sociale della tipologia di azione esperita, anche se proprio il riferimento a tale provvedimento, come è stato ritenuto in dottrina (in tal senso CONSOLO C., È legge una disposizione sull’azione collettiva
risarcitoria: si è scelta la via svedese dello “opt-in” anziché quella danese dello “opt-out” e il filtro (“L’inutil precauzione”), op. cit., p. 7.)
avrebbe dovuto indurre il legislatore ad una specifica previsione. Tale soluzione, tuttavia, sembrava potersi trarre dalla modifica, disposta dal comma 448, art. 2 l. finanziaria, dell’art. 50-bis, con l’inserimento del comma 7-bis, diretto ad estendere la competenza del tribunale in composizione collegiale, anche alle controversie su azioni collettiva risarcitorie.
87Si veda CONSOLO C., ult. op. cit. p. 7). In tal senso anche COSTANTINO G.,
La tutela collettiva risarcitoria: note a prima lettura dell’art. 140 bis cod. consumo, op. cit., p. 17 ss. che sottolineava, però come l’ordinanza
procedimento di ammissibilità poteva verosimilmente
ritenersi che l'ordinanza d'inammissibilità non producesse
alcuna preclusione alla riproposizione dell’azione, magari
fondata su un miglior apparato argomentativo. L'ordinanza,
quindi, non presentava i caratteri della definitività e della
stabilità del giudicato, non potendo produrre un'efficacia
preclusiva del dedotto e del deducibile88. Ciò, si poneva in
linea con quanto affermato da quella parte della dottrina89
secondo cui tale rimedio sarebbe stato controproducente,
ledendo le esigenze di certezza del diritto per le aziende, per
le quali era stato introdotto, quale “calmieratore”, il giudizio
di ammissibilità.
Per il vero, la tesi che sosteneva la percorribilità in
cassazione presentava l'indubbio vantaggio di conseguire
indirizzi più certi sulla interpretazione dei criteri di
di rigetto avesse un’efficacia meramente endoprocedimentale:«non sembra possa essere utilizzata da (o contro) coloro che hanno aderito; nei confronti di costoro fa stato soltanto la sentenza di accoglimento o di rigetto della domanda».
88 L’attore, quindi, avrebbe potuto anche ripresentare, pur in assenza di
elementi sopravvenuti, una nuova istanza, «sia deducendo nuove prove, sia allegando nuovi fatti quantunque già esistenti, sia, più semplicemente, meglio configurando l’azione in punto di diritto», MENCHINI S., La nuova
azione collettiva risarcitoria e restitutoria, op. cit.
ammissibilità della domanda, in conseguenza del ruolo
nomofilattico della Suprema Corte, ma l'opposta soluzione
avrebbe garantito una procedura più rapida.
Quanto ai criteri di ammissibilità dell'azione collettiva
risarcitoria formulati dal comma 3 del precedente art. 140
bis cod. Consumo90, il criterio dell’interesse collettivo
suscettibile di adeguata tutela si caratterizzava una
formulazione alquanto ambigua.
L'interpretazione che sembrava più coerente con la natura
dello strumento processuale avviato attribuiva alla formula
il significato di un accertamento dell'illecito idoneo a
coinvolgere un numero indefinito di consumatori, ovvero
che l’attore collettivo presentasse sufficienti garanzie di
serietà e rappresentatività91. Una parte della dottrina ha
tradotto il requisito in questione in termini puramente
quantitativi92, affermando che controversie collettive
90 Il quale così stabiliva: La domanda è dichiarata inammissibile quando
è manifestamente infondata, quando sussiste un conflitto di interessi, ovvero quando il giudice non ravvisa l’esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela ai sensi del presente articolo.
91 In tal senso BOVE M., Azione collettiva: una soluzione all’italiana
lontana dalle esperienze straniere più mature, op. cit., p. 12.
92 Vedi BRIGUGLIO A., Venti domande e venti risposte sulla nuova azione
risarcitorie, ove non fossero state presentate adesioni,
avrebbero potuto essere dichiarate inammissibili anche in
liminis. Tale interpretazione, tuttavia, sembrava confondere
la natura del requisito in esame con un ulteriore requisito,
dell’adeguata rappresentanza, rispetto al quale, al fine di
accertare la legittimazione ad agire, e solo a tal fine, si
sarebbe potuto quantificare il numero delle adesioni
all’azione collettiva risarcitoria93. Meglio, allora, sarebbe
stato attribuire alla formula utilizzata dal legislatore il
significato di accertamento giudiziale prognostico volto a
valutare se l’interesse seriale fosse meglio tutelabile in
forma individuale o collettiva. In particolare, era stato
sostenuto che tale criterio coinvolgeva un duplice profilo di
valutazione, il primo volto ad accertare la proporzionalità
dell'azione collettiva in relazione alla pluralità di soggetti
lesi. In tal senso, l'azione doveva apparire al Tribunale come
«lo strumento adeguato per risolvere la controversia in
93 Si veda anche AMADEI D., L’azione di classe italiana per la tutela dei
diritti individuali omogenei, op. cit., il quale confermava l’estraneità dei
due requisiti affermando che, rispetto all’accertamento sull’esistenza di un interesse suscettibile di tutela, «si tratta comunque di una valutazione che deve prescindere dalla adesione di individui nel processo instaurato».
considerazione della difficile praticabilità del litisconsorzio
facoltativo, anche a cagione del potenziale numero di
membri della classe94, nonché della prevalenza delle
questioni comuni su quelle individuali»95.
Appariva, poi, di complesso inquadramento la previsione
secondo cui - come procedeva il comma 3 dell'art. 140 bis -
il giudice può differire la pronuncia sull’ammissibilità della domanda quando sul medesimo oggetto è in corso un’istruttoria davanti ad un’autorità indipendente. Dal
94 Sembrava allora correttal’impostazione diretta a interpretare il rilievo
quantitativo come riferimento al potenziale numero di lesioni prodotte, cioè al requisito, già accertabile in sede di certification, americana della
numerosity e della commonality, si veda BRIGUGLIO A., ult. op. cit. Ciò
per altro imponeva l’ulteriore analisi del rilievo da attribuire alnumero dei potenziali aderenti. Senza dubbio, il requisito in questione sarebbe stato uno dei parametri, non esplicitamente previsti dal legislatore, che avrebbe dovuto guidare la valutazione giudiziale di ammissibilità dell’azione in questione, specie quale estremo per accertare l’esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela (art. 140-bis comma 3). Per tale ragione appariva inevitabile il raffronto comparatistico con esperienze ormai collaudate sul punto: in tal senso gioca un ruolo determinante il requisito della numerosity previsto dalla Rule 23 della
Federal Rules of Civil Procedure statunitense, il quale stabilisce che
affinchè il singolo membro della classe proponga una causa come attore rappresentativo, è necessario che la classe sia così numerosa da rendere impraticabile il litisconsorzio (joinder: riunione) di tutti i suoi membri; allo stesso modo all’interno del nostro ordinamento il giudice non avrebbe dovuto l’azione collettiva risarcitoria, quando il numero dei danneggiati fosse stato tale da rendere agevole il giudizio tramite un cumulo soggettivo delle loro cause. Nello stesso senso CAPONI R., La
class action in materia di tutela del consumatore in Italia, op. cit. p. 284.
95 DE SANTIS F., ult. op. cit., p. 161, il quale riteneva, altresì, che il
giudizio dovesse estendersi anche alla valutazione dell’adeguata rappresentatività dell’attore formale.
punto di vista tecnico parte della dottrina96 ha ritenuto che
tale differimento avrebbe dovuto essere inquadrato
giuridicamente, non come sospensione per pregiudizialità ex
art. 295 c.p.c., né come sospensione per litispendenza ai
sensi dell’art. 7 l. n. 218/95, quanto, invece, quale ipotesi di
temporanea improcedibilità per l’espletamento di tentativi di
composizione stragiudiziale della controversia, ai sensi
dell’art. 412-bis c.p.c.
La ratio di tale disposizione era chiara; attraverso il
differimento della pronuncia di ammissibilità, in attesa
dell’istruttoria davanti ad un’autorità indipendente, il
legislatore voleva introdurre uno strumento che, per ragioni
di economia procedimentale, evitasse di far proseguire un
giudizio su una controversia rispetto alla quale, nel corso
dell’istruttoria, emergevano elementi idonei a confermare o
escludere la manifesta infondatezza della domanda
giudiziale97, oltre a considerare che, tali procedimenti,
96 COSTANTINO G., op.cit.
97 In dottrina si è sostenuto che « i dati e le notizie raccolte dall'autorità
indipendente potrebbero, innanzitutto, influire sull'esito della valutazione giudiziale di ammissibilità della domanda in relazione la sua manifesta infondatezza, qualora, l'esempio l'autorità abbia disposto l'archiviazione
avrebbero potuto anche chiudersi con il soddisfacimento
delle pretese delle parti in causa, con conseguente
cessazione della materia del contendere98.
8. La sentenza collettiva del giudizio collettivo: