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Finalità e metodologie del presente studio: un approccio normativistico alla

1.3.1 Dalle finalità alla metodologia: l’opzione normativistica – 1.3.2 Conseguenze dell’opzione normativistica: precisazione dell’assetto della problematica – 1.3.3 Delimitazione del settore normativo: esclusione dei rapporti tra soci – 1.3.4 Delimitazione della problematica interpretativa: esclusione dell’interesse sociale

Nelle pagine seguenti tenterò di delineare con maggiore chiarezza la tipologia di problematiche, il metodo di analisi seguito ed il settore normativo cui l’indagine sarà dedicata, motivando al contempo le ragioni dell’esclusione di settori e problematiche che, sia pure variamente rilevanti nel contesto del più ampio dibattito sulla “contrattualità” della s.p.a., non risultano direttamente dirimenti ai presenti scopi.

1.3.1 Dalle finalità alla metodologia: l’opzione normativistica

Il presente elaborato sarà dedicato ad una indagine strettamente giuridica ed endo-ordinamentale della tematica della “contrattualità” della s.p.a, atta a fornire al giurista di diritto positivo specifiche cognizioni giuridiche utili per la risoluzione dei problemi interpretativi propri della disciplina della s.p.a.

Alla luce dell’adozione di una simile prospettiva, l’impostazione seguita non potrà che essere di tipo strettamente normativistico: è questa, infatti, a mio modesto avviso, l’unica metodologia coerente con un approccio puramente giuridico e de iure condito, quale quello qui adottato65.

Più precisamente, preme qui evidenziare come il diritto, nella sua più intima essenza, lungi dall’inerire al piano empirico-materiale, non sia altro che un

65 Si tratta, peraltro, di un’esigenza non imposta esclusivamente da una personale opzione di ordine generale in relazione all’analisi giuridica. Difatti, un’indagine condotta in relazione allo specifico assetto normativo proprio della s.p.a. rappresenta l’unico approccio in grado di consentire una lettura “relativistica” della problematica, ossia tale da valorizzare le specificità giuridiche dei diversi tipi societari: una lettura che, alla luce delle profonde differenze normative che intercorrono tra di essi, risulta decisamente inevitabile.

insieme di regole, di valutazioni di quest’ultimo (se si vuole, una “sovrastruttura”): di conseguenza, l’analisi giuridica di un fenomeno non può che incentrarsi sulla sua disciplina, sulla valutazione che di esso dà l’ordinamento positivo.

In un’ottica normativistica, ogni argomentazione che posponga la valutazione della disciplina alla qualificazione giuridica di un fenomeno risulta inevitabilmente manchevole di formalismo, nonché lambente sponde ben più familiari ad altre prospettive, siano esse economiche, sociologiche, etiche ovvero, rimanendo in un contesto lato sensu giuridico, di politica del diritto: in altre parole, ogni discorso giuridico, ovviamente de iure condito, non potrà che assumere come proprio fondamentale oggetto di indagine, appunto, le norme, in un percorso argomentativo che, a partire da una valutazione delle stesse, riesca a trarre cognizioni giuridiche tali da supportare l’attività interpretativa in relazione alle questioni irrisolte che l’ordinamento presenta. Un percorso, quindi, in un certo senso “circolare”, ma non per questo autoreferenziale, che, a partire da un’analisi della normativa vigente vada, guidato dall’attività dell’interprete, a “ritornare” sul piano normativo “arricchito” da nuove cognizioni giuridiche e che, alla luce di esse, sia in grado di offrire soluzioni interpretative ai problemi irrisolti della disciplina stessa.

Risulta quindi evidente, alla luce di quanto detto in relazione all’impostazione adottata, come venga qui convintamente rigettata ogni costruzione che intenda prendere le mosse dalla ricerca della “natura” dei fenomeni in oggetto, ossia della loro “realtà” empirica: in un’ottica normativistica, con “esistenza” di un fenomeno si fa riferimento all’applicabilità di una disciplina, con “mutamento” dello stesso ad un cambiamento della disciplina applicabile, e così via66

66 Condividono espressamente una simile impostazione, tra gli altri: M. Libertini, Ancora in tema di contratto, impresa e società. Un commento a Francesco Denozza, in difesa dello “istituzionalismo debole”, in Giur. comm., 2014, p. 669 ss., il quale afferma espressamente di muoversi «in una prospettiva rigorosamente ed esclusivamente normativistica» e come «non abbia senso discorrere della “natura giuridica” di alcunché”»; C. Angelici, La società nulla, cit., pp. 43-44, ove afferma espressamente come «la “esistenza” della società indichi esclusivamente il punto di incontro ed il momento di emersione giuridica di una serie di interessi che ne derivano il loro significato e la loro tutela, in sostanza la

Costituisce una premessa metodologica imprescindibile, quindi, tenere sempre ben distinti il dato empirico-materiale, da un lato, e quello giuridico-valutativo, dall’altro: in un’analisi di tipo normativistico, infatti, l’oggetto fondamentale non può che essere cosituito da tale secondo elemento. In particolare, ed è questa una consapevolezza di rilevanza dirimente, a prescindere dall’aderenza o meno di quest’ultimo rispetto al primo67: la rispondenza del dato giuridico a

quello empirico, infatti, costituisce un problema de iure condendo e, quindi, sostanzialmente di politica del diritto. In un’analisi de iure condito, invece, a rilevare non può che essere il diritto per come è e, quindi, la disciplina del fenomeno empirico per come attualmente predisposta dall’ordinamento68.

Una simile impostazione, tuttavia, non implica affatto l’arrestarsi al mero dato dalla struttura formale della disciplina, il quale, di per sé, contribuirebbe del resto ben poco all’attività del giurista di diritto positivo. Evidentemente, per poter raggiungere il vero nucleo della questione, per riuscire a fornire utili indicazioni all’interprete, l’analisi deve giungere a cogliere le esigenze

concreta applicabilità di un gruppo di norme».

67 Così, espressamente, C. Angelici, Le basi contrattuali, cit., p. 313, in relazione alla formulazione di una nozione giuridica di “organizzazione”. Mi pare impostare il discorso in termini differenti F. Denozza, Quattro variazioni, cit., ove afferma espressamente come «Ha senso sovrapporre a questa realtà (intesa come realtà empirica) teorie giuridiche che in nessun modo la riflettono? Con tutto il rispetto per l'autonomia del diritto e delle sue costruzioni concettuali io credo che la risposta a questa domanda debba essere un secchissimo no».

68 Non è infatti certamente postulabile alcuna corrispondenza meccanicistica tra una determinata realtà empirica e la sua “veste” giuridica: le possibili soluzioni sono, evidentemente, molteplici e profondamente eterogenee e la scelta tra di esse è, altrettanto ovviamente, squisitamente politica. Essa consiste, semplificando radicalmente una tematica assai più complessa, in una “scelta” in ordine agli interessi cui attribuire una preminenza nel contesto della vasta congerie di esigenze differenti e contrastanti che “popolano” il piano materiale, nonché della tecnica con cui operare tali opzioni politiche: in sostanza, disciplinare giuridicamente la realtà significa imprimere una direzione teleologica al dato empirico, attività decisamente ben distante da quella consistente in uno studio del diritto esistente e, quindi, dei precipitati giuridici di tali scelte giuspolitiche. In sintesi, tali due momenti possono essere collocati ai due estremi logici e temporali del diritto: la “creazione” dello stesso, da un lato, e l’“interpretazione del diritto esistente, dall’altro. Si tratta, tuttavia, di osservazioni ampiamente generiche e semplicistiche rispetto all’estrema complessità di tali tematiche, le quali, sia pure di particolare inteteresse (si pensi, in tal senso, alla portata “produttiva” dell’interpretazione), non possono essere qui oggetto di una specifica trattazione: il richiamo a queste cognizioni generali aveva il solo scopo di chiarire in termini (almeno tendenzialmente) più puntuali il fondamento dell’opzione normativistica adottata.

sottostanti ad una data disciplina legislativa e, conseguentemente, la ratio legis delle relative soluzioni normative: così impostata, la questione diventa quella di una compatibilità tra le esigenze cui risponde la disciplina contrattuale e quelle sottostanti alla disciplina della società azionaria, la problematica diviene quella dei “problemi”, delle “esigenze” immanenti ad una specifica realtà socio-economica e delle risposte che a queste l’ordinamento propone ed impone69.

Ciò, evidentemente, non implica l’abbandono di un’impostazione normativistica: lo “spirito delle leggi”, infatti, non è qui un dato attinente immediatamente alla realtà ontologica dell’oggetto della valutazione giuridica, bensì strettamente giuridico, inerente quindi al piano delle norme70. La

prospettiva, infatti, è pur sempre quella dell’ordinamento: le esigenze “rilevanti”, in tal senso, sono solo quelle cui l’ordinamento ha attribuito rilevanza.

Emerge così l’assoluta centralità della tecnica giuridica: in un’ottica normativistica, che rifiuta una ricostruzione delle esigenze rilevanti a partire dalla realtà socio-economica, è proprio la tecnica a costituire la chiave di lettura dell’ordinamento. Quest’ultima, costituendo lo strumento con cui l’ordinamento tutela gli interessi ritenuti in qualche modo “meritevoli”, con cui questo risponde alle varie esigenze che si prospettano in un dato fenomeno empirico e che, considerazione di non secondaria importanza, egli decide di valorizzare giuridicamente, consente all’interprete di ravvisare, in generale, la logica seguita dall’ordinamento nella disciplina di una data realtà empirica. Per

69 Si tratta di una impostazione valorizzata particolarmente da C. Angelici, del quale vedi La società per azioni, cit., p. 196, ove afferma come «il problema comunue non si risolve discutendo la “natura” dell’atto con cui la società viene costituita, bensì verificando analiticamente la compatibilità delle esigenze che in esso si rivelano con quella disciplina» e Le basi contrattuali, cit., p. 308, nota 28, in cui rileva che «la questione è in effetti di tipo valutativo, dovendosi chiedere se, avvenuta la costituzione, permangono ancora giuridicamente i problemi che si ponevano con riferimento alla fase precedente oppure essi debbono venire intesi, risultandone in definitiva assorbiti, sul piano proprio dell’attività dell’ente stesso”».

70 Del resto, il riferimento alla ratio normativa non è assolutamente estraneo alla normale attività del giurista di diritto positivo: si pensi, banalmente, al procedimento analogico, che subordina l’estensione analogica di una norma alla sussistenza di una eadem ratio.

tal via, quindi, si possono ottenere quelle cognizioni giuridiche in grado di supportare l’interprete in un percorso di risoluzione delle questioni irrisolte della disciplina esaminata che sia coerente con l’ordinamento giuridico in cui la stessa si inserisce.

1.3.2 Conseguenze dell’opzione normativistica: precisazione dell’assetto della problematica

Alla luce di tali premesse metodologiche, con i termini “contratto” e “società per azioni” non si indica evidentemente una determinata realtà socio- economica, trattandosi piuttosto di formule riassuntive di una specifica disciplina giuridica: in altre parole, si tratta di termini intesi come “concetti normativi”71. In tal senso, parlare della società per azioni come di un

“contratto” significa postulare l’applicabilità ad essa della disciplina contrattuale: o meglio, significa qualificare la disciplina della società azionaria quale una disciplina propriamente “contrattuale” e, per tal via, dedurre la possibilità di un generale ricorso a quest’ultima per la disciplina della prima. La dialettica tra s.p.a. e contratto e, più in generale, tutta la problematica della “contrattualità” della società per azioni, lungi dal collocarsi in una dimensione variamente definibile in termini pre-giuridici, si gioca su di un piano puramente normativo, consistendo in un confronto tra la disciplina contrattuale e quella societaria: in altre parole, ci si chiede se, alla luce di un confronto tra tali discipline, sia possibile parlare, anche con riferimento a quest’ultima, di una disciplina propriamente contrattuale e, alla luce di ciò, ricorrere alla prima per colmare le lacune di quest’ultima.

In termini più espliciti, obiettivo della presente indagine consiste nell’inquadramento sistematico del momento attuativo della s.p.a. alla luce di una valutazione della relativa disciplina positiva: in particolare, se tale società possa essere letta come una proiezione della relativa base contrattuale e,

71 Vedi M. Libertini, Profili tipologici e profili normativi nella teoria dei titoli di credito, Milano, 1971. Si tratta comunque di un concetto che verrà approfondito nel prosieguo dell’indagine.

quindi, assimilata alla fase di esecuzione del contratto ovvero se, una volta costituita, la stessa non si emancipi dal proprio momento negoziale, venendo quindi disciplinata da una normativa non assimilabile a quella contrattuale: ciò, come già evidenziato, al fine di determinare se – e, eventualmente, in quali termini – i principi generali e le disposizioni specifiche in tema di contratti possano essere impiegati per dare una risposta alle questioni e ai problemi che la disciplina societaria lascia irrisolti72.

Il percorso argomentativo che qui si propone consiste, quindi, in uno specifico procedimento logico-interpretativo, svolto alla luce della normativa vigente: un percorso, si sottolinea, (almeno apparentemente) agevole in relazione alla società per azioni, in ordine alla quale il legislatore ha risolto in prima persona molti dei problemi di compatibilità tra le due discipline in esame, dettando una normativa specifica e spesso notevolmente differente da quella contrattuale (almeno se considerata nella sua dimensione tradizionale)73. Alla luce di ciò, la

questione diventa, in sostanza, quella di valutare le conseguenze interpretative e, quindi, sistematiche, che possono essere tratte da una simile impostazione normativa: in particolare, bisogna comprendere quale sia il punto in cui le differenze di disciplina siano tali, sia qualitativamente74 che

quantitativamente75, da rendere superfluo (in quanto incapace di fornire alcun

72 Espressamente in tal senso C. Angelici, Note sul “contrattualismo societario”, cit., p. 199, ove l’Autore afferma espressamente come «quando ci si pone all’interno di un ordinamento e con riferimento a esso ci si interroga sul “contratto”» la questione «dipende dalla ed è funzionale alla individuazione delle norme in concreto applicabili». 73 C. Angelici, La società per azioni, cit., p. 196 ss.

74 E’ indubitabile, infatti, come le norme non abbiano tutte lo stesso peso nel delineare la “identità” di un corpus normativo. Per un’analisi di questo tipo, quindi, risulta essenziale individuare quelle norme che possono essere identificate come il “cuore” della disciplina contrattuale, ossia quelle particolarmente rilevanti nella sua caratterizzazione, e verificare la loro compatibilità con il fenomeno societario alla luce della specifica disciplina dettata per quest’ultimo. In tal senso C. Angelici, Note sul “contrattualismo societario”, cit., p. 199, ove si afferma come «l’interrogativo concernente i limiti di adattabilità del concetto (di contratto) diviene quello da un lato di riconoscere quali fra le tante norme in materia di contratto debbano considerarsi il “cuore” della disciplina, la cui inapplicabilità nel caso specifico priverebbe di significato concreto l’utilizzazione del concetto, e da un altro lato quante deviazioni dalla disciplina “generale” possono ritenersi con esso compatibili».

75 Anche tale profilo non deve essere sottovalutato, e ciò alla luce di una considerazione di carattere eminentemente logico: come evidenziato da Hegel in La scienza della logica, nel

supporto all’attività dell’interprete), se non propriamente nocivo (a causa della perdita di intensione del concetto normativo contrattuale76), continuare a

riferirsi al contratto per l’inquadramento sistematico del fenomeno societario. E’ questo, in sostanza, il significato da attribuirsi al problema dei limiti di elasticità del contratto in un’ottica normativistica: fino a che punto, in una scala di progressivo allontanamento dalla disciplina contrattuale, sia possibile continuare a riferirsi, per l’inquadramento sistematico di un fenomeno e, quindi, per la ricerca delle soluzioni applicative alle relative problematiche, allo schema contrattuale senza che tale riferimento diventi un mero dato linguistico, privo di qualsiasi guadagno conoscitivo ed in particolare tecnico- applicativo77.

1.3.3 Delimitazione del settore normativo: esclusione dei rapporti tra soci

In una indagine rivolta alla individuazione dell’inquadramento sistematico del momento attuativo della società per azioni risulta indispensabile delineare una ricostruzione dello stesso in grado di coglierne i tratti caratterizzanti: di conseguenza, l’attenzione sarà rivolta ai soli profili necessari e indefettibili del fenomeno, sì da evitare di operare ricostruzioni sistematiche affette da particolarismi tali da precluderne l’omnicomprensività ricercata.

A tal fine, l’attenzione deve rivolgersi ai cc.dd. “rapporti organizzativi”, con ciò intendendosi quell’insieme di rapporti variamente diretti alla disciplina dell’attività sociale: se, come noto, la società per azioni costituisce sostanzialmente uno strumento organizzativo per lo svolgimento di un’attività (e, segnatamente, di un’attività d’impresa), l’insieme delle regole volte alla

progredire di un mutamento quantitativo si raggiunge un punto in cui si addiviene ad un mutamento qualitativo. In tal senso, viene portato l’esempio del noto “paradosso del calvo”: secondo tale interpretazione, se Tizio si toglie un capello è sempre un soggetto che ha i capelli (mutamento quantitativo), se si toglie un altro capello è ancora un soggetto che ha i capelli (mutamento quantitativo), se, invece, si toglie tutti i capelli, Tizio è calvo (mutamento quantitativo → mutamento qualitativo).

76 Sottolinea tale rischio C. Angelici, Note sul “contrattualismo societario”, cit., p. 191; 77 Si tratta sostanzialmente dell’impostazione di C. Angelici, più volte da esso espressa nei

suoi scritti: tra gli altri, vedi La società per azioni, cit., p. 197, ma anche Note sul “contrattualismo societario”, cit., p. 191;

disciplina di quest’ultima non potrà che costituire il principale oggetto di analisi nel contesto di uno studio atto alla definizione dei profili giuridicamente strutturali della stessa.

Tale precisazione, pur fondamentale, non risulta tuttavia sufficiente: in particolare, ritengo necessario prescindere, nell’ottica di una simile indagine di ordine generale, dal profilo dei rapporti tra soci. Difatti, specie a seguito della riforma del 2003, la pluripersonalità della s.p.a. è divenuta un carattere decisamente eventuale del fenomeno, non partecipante, quindi, agli elementi strutturali dello stesso: l’ammissibilità normativa non solo di una s.p.a. unipersonale in via sopravvenuta, ma anche di una genesi unilaterale della stessa, pare assolutamente decisiva in tal senso. L’elemento della pluripersonalità, quindi, costituisce ormai un fattore meramente accidentale di un fenomeno che trova decisamente altrove i propri connotati strutturali e tipici78.

Una precisazione mi pare indispensabile. Con tale esclusione, in particolare, non intendo negare la possibile rilevanza organizzativa dei rapporti tra soci79:

semplicemente, dato il carattere eventuale della pluripersonalità in relazione alla caratterizzazione della società azionaria, non ritengo funzionale ad un simile studio di ordine generale una diretta considerazione di tale profilo. In altre parole, mi pare che il settore dei rapporti tra soci, lungi dal rilevare ai fini di una valutazione sistematica del fenomeno, costituisca piuttosto uno di quegli ambiti le cui problematiche interpretative siano risolvibili alla luce della stessa. Si tratta, evidentemente, di considerazioni svolte per il momento in chiave fortemente aprioristica: il loro richiamo, in questa sede, serviva ad evidenziare le motivazioni della selezione operata in relazione all’oggetto di indagine.

78 Per simili considerazioni, vedi C. Angelici, Le basi contrattuali, cit., p. 311 ss. Si tratta, comunque, di tematiche che verranno approfondite nelle pagine seguenti.

79 Si pensi, in tal senso, al dibattito circa l’effettiva configurazione delle relative regole conformatrici (ad es., la regola della correttezza, al di là di come si ritenga di dover declinare la stessa): in particolare, se debbano essere intese quali regole organizzative e/o di comportamento.

1.3.4 Delimitazione della problematica interpretativa: esclusione dell’interesse sociale

Un discorso più complesso, invece, mi pare debba essere riservato alla problematica, tradizionale ma ancora ad oggi assai viva, dell’interesse sociale: una problematica che, data la relativa centralità in relazione al più generale dibattito circa la “contrattualità” della s.p.a., richiede inevitabilmente alcuni approfondimenti.

Alla stregua del profilo qui più direttamente esaminato, anche la questione relativa al c.d. “interesse sociale” ha certamente un carattere a dir poco tradizionale, vantando un dibattito ormai secolare: in tal senso, se la contrapposizione tra una lettura contrattuale ed una istituzionale dell’interesse sociale può dirsi ormai superata, il nucleo fondamentale della discussione non può certamente dirsi per ciò stesso esaurito, ripresentandosi nella dialettica tra un neo-istituzionalismo ed un neo-contrattualismo80.

Come autorevolmente evidenziato, il dibattito circa il c.d. “interesse sociale” è complicato da problemi di ordine terminologico e semantico, nonché dal diffuso ricorso a figure retoriche e dalla non trascurabile incidenza di formanti ideologici e culturali di più ampio respiro81. Si tratta di una consapevolezza di

particolare rilevanza, in quanto implica la necessità di non “ricevere” passivamente la terminologia diffusa, presupponendone un contenuto semantico uniforme a prescindere dal contesto in cui venga utilizzata: piuttosto, essa evidenzia, da un lato, la necessità di interrogarsi sempre sul significato di volta in volta veicolato dalla terminologia adottata, dall’altro,

80 La persistenza di un dibattito incentrato su un quid variamente definibile nei termini di “interesse sociale” è un dato incontrovertibile alla luce di un’analisi della dottrina contemporanea, nella quale continuano a ravvisarsi numerosi ed autorevoli interventi sul tema. Sottolinea in particolare tale circostanza F. Denozza, Logica dello scambio, cit., nota 21, il quale rileva come solo in un’ottica superficiale il tema dell’interesse sociale potrebbe