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4. La politica migratoria in Spagna

4.2 Dalla fine degli anni Novanta ai primi anni duemila: immigrazione come fenomeno

fenomeno strutturale

La prima iniziativa legislativa portata avanti dal nuovo governo in ambito migratorio fu il Decreto Real del 1996 il quale non apportò delle modifiche alla legge del 1985 ma al suo regolamento applicativo, sottolineando soprattutto l’importanza delle politiche di integrazione già dimostrata negli anni precedenti da parte delle istituzioni con la creazione del sopracitato Foro para la Integración social de los inmigrantes. Nel corso degli anni Ottanta la politica migratoria si concentrava sul tema dei flussi in arrivo degli stranieri per necessità di omologazione con la normativa degli altri stati membri piuttosto che per interesse nazionale, di conseguenza il tema dell’integrazione non era mai stato affrontato. A partire dagli anni Novanta l’aumento del numero degli immigrati presente nel paese portò ad una crescita delle pressioni sia dei governi locali che delle associazioni affinché venisse elaborata una politica di integrazione nazionale. Fu quindi come conseguenza di queste spinte dal basso che il governo decise di intraprendere azioni in materia ma, sebbene sia stato il governo centrale ad elaborare questo tipo di legislazione mantenendo quindi la materia di competenza nazionale, le responsabilità riguardanti l’applicazione delle misure volte all’integrazione degli immigrati vennero delegate alle comunità autonome (Zincone, Penninx e Borkert 2011).

Il Decreto prevedeva inoltre una nuova regolarizzazione la quale, essendo messa in atto dopo l’introduzione del sistema delle quote del 1993, evidenziava alcune criticità delle politiche precedentemente elaborate: la creazione di un sistema di reclutamento della forza lavoro tramite il meccanismo del contingente non era in grado da sola di soddisfare la domanda di manodopera del mercato, rendendo quindi lo strumento della regolarizzazione necessario per bilanciare gli squilibri provocati da politiche che non rispondevano a criteri razionali; in più il sistema delle quote falliva nel suo obiettivo

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principale, ovvero creare delle vie legali per accedere al territorio spagnolo basate sulle necessità del mercato del lavoro, in quanto la maggior parte delle richieste arrivavano in realtà da migranti irregolari già presenti nel territorio (Zincone, Penninx e Borkert 2011). Nel 1999 si accese il dibattito politico intorno alla necessità di una riforma della Legge del 1985, soprattutto a seguito di una sentenza della Corte costituzionale che aveva affermato che tutti i diritti fondamentali, eccetto alcuni diritti politici, dovevano essere garantiti agli stranieri, ma anche perché essa risultava ormai non adatta ai nuovi livelli di immigrazione che si registravano nel paese. L’approvazione della legge avvenne poco prima delle elezioni nazionali provocando quindi una politicizzazione del tema dell’immigrazione senza precedenti in Spagna, acuita anche dal fatto che la legge fu approvata da tutti i partiti tranne il Partido Popular, a capo del governo in quel momento, che promise quindi una riforma della stessa in caso di vittoria elettorale (Ioé 2001). La politicizzazione del tema migratorio è tornata poi al centro del dibattito pubblico soprattutto a partire dal 2010 con le elezioni generali in catalogna, dove due dei partiti candidati – il Partido Popular e la Plataforma per Catalunya – hanno portato avanti proposte fortemente anti-immigrazione. Nel 2015 tre aspetti diversi dell’immigrazione riportarono l’attenzione su di essa: la legalizzazione delle devoluciones en caliente22 a Ceuta e Melilla, le morti nel Mediterraneo e l’accesso alla sanità pubblica per gli immigrati irregolari. Ciò che ha però distinto la Spagna dagli altri paesi europei è che se c’è stata una politicizzazione del tema, attraverso il confronto tra i partiti di governo e i partiti di opposizione e all’interno della società civile, essa è stata caratterizzata da un maggiore supporto per la tutela dei diritti dei migranti e rifugiati. Possiamo riscontrare questa eccezionalità spagnola nel panorama europeo anche nelle risposte che le istituzioni hanno dato a due dei maggiori attacchi terroristici verificatosi nel paese: sia a seguito degli attacchi di Madrid che di Barcellona nel 2017, alla condanna del terrorismo si affiancò una condanna della xenofobia e del razzismo (Amat i Puigsech e Garcés- Mascareñas 2018).

22 Trattasi di particolari pratiche di respingimento messe in atto dal paese spagnolo nei territori di Ceuta

e Melilla. Le disposizioni normative prevedono che i migranti individuati lungo il perimetro della linea di frontiera o che tentino di attraversare le recinzioni possono essere automaticamente respinti. Tali pratiche, oltre ad essere previste dalla legislazione nazionale, sono state validate da una sentenza della Corte di giustizia europea. (https://www.rtve.es/noticias/20200215/son-devoluciones-

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La Ley 4/2000 modificava il sistema relativo all’accesso al territorio per vie legali, eliminando tutti i meccanismi alternativi a quello delle quote, ma il focus principale della legge erano gli aspetti sociali dell’immigrazione per cui sono stati riconosciuti ampi diritti agli immigrati in situazione irregolare, tra cui l’accesso all’educazione per i minori, l’accesso alla sanità, a benefici sociali e all’assistenza. A queste garanzie sono state affiancate nella normativa delle sanzioni che riguardavano sia gli immigrati irregolari, sia coloro che assumevano manodopera irregolare, così come il traffico degli esseri umani (Ioé 2001). Alle elezioni successive però ci fu una vittoria netta del PP che forte della nuova ampia maggioranza acquisita poteva adesso elaborare una controriforma, approvata nel dicembre dello stesso anno. La Ley 8/2000 prevedeva delle disposizioni legali più restrittive, tra cui la negazione dei diritti fondamentali agli immigrati senza permesso di soggiorno, restrizioni per il rilascio del permesso di soggiorno e sanzioni più dure nei confronti degli immigrati irregolari. Tutti questi elementi vennero fortemente criticati dall’opinione pubblica e portarono così alla nascita di movimenti di solidarietà da parte sia di associazioni di immigrati che di nazionali così come all’elaborazione di ricorsi legali terminati con la sentenza della Corte costituzionale del 2007 che ha riconosciuto alcuni degli articoli di questa legislazione come lesivi dei diritti fondamentali (Zincone, Penninx e Borkert 2011).

Il governo ha poi portato avanti delle azioni in aperta contraddizione con le restrizioni della legge, tra cui una regolarizzazione e la firma di accordi di cooperazione con paesi terzi. Lo stesso regolamento di attuazione ammorbidiva alcuni dei criteri previsti dalla legge che si sono rivelati inapplicabili a livello pratico. Vengono poi elaborate delle politiche per l’integrazione che sembravano un mezzo per contribuire al bilanciamento delle politiche restrittive che caratterizzano la nuova normativa.

Con le nuove elezioni del 2004 arrivò al potere un governo socialista che portò con sé anche un nuovo clima nell’ambito dell’immigrazione. Venne approvato nel dicembre dello stesso anno un nuovo regolamento sulla ley de extranjerìa attraverso la Direttiva 2393/2004 la quale aveva due obiettivi principali: da un lato rendere le procedure per l’assunzione di lavoratori stranieri più flessibili, attraverso il reinserimento di opzioni alternative al sistema delle quote, e dall’altro rispondere alle pressioni delle autorità regionali le quali chiedevano maggior potere nell’elaborazione delle politiche a livello nazionale, ottenuto con la creazione del PECI – Plan Estratégico Ciudadanía e

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Inmigración – nel 2006 che garantiva una ripartizione delle risorse finanziarie tra le varie comunità autonome garantendogli autonomia nello sviluppo delle politiche di integrazione e partecipazione formale nel processo di immigrazione. Quest’ultimo aspetto si è rivelato critico in quanto si sono create differenze tra le varie regioni, le quali non godevano tutte dello stesso grado di autonomia, comportando quindi anche un differente livello di accesso agli schemi di protezione sociale e favorendo la concentrazione degli immigrati in determinate aree con condizioni più favorevoli (Zincone, Penninx e Borkert 2011). Per quanto riguarda il primo obiettivo perseguito da questa direttiva, esso aveva il fine di combattere l’irregolarità rendendo più facile l’assunzione di lavoratori stranieri attraverso sia la reintroduzione della possibilità di assunzione tramite l’offerta nominale soggetta alla discrezionalità del datore di lavoro, sia grazie all’introduzione di una lista di lavori “a difficile occupazione”, ovvero lavori per i quali non era disponibile manodopera spagnola o europea (Arango 2013).

Anche questa legge come le precedenti fu accompagnata da una regolarizzazione – la più consistente mai registrata nel paese con 691.655 approvazioni – che godeva di un ampio supporto delle istituzioni nazionali, ma che ha ricevuto forti critiche da parte degli altri paesi europei. Quest’ultimi infatti vedevano nell’impiego di tale strumento una potenziale minaccia in quanto esso garantiva ai nuovi immigrati regolarizzati la possibilità di spostarsi successivamente in altri paesi europei: le pratiche delle regolarizzazioni di massa erano quindi interpretate come potenziali pull factor, tanto che il patto europeo sull’immigrazione del 2008 stabilì che le regolarizzazioni potevano essere effettuate esclusivamente su base individuale (Hooper 2019). Il governo spagnolo aveva già cercato in questa legge di creare dei meccanismi più stabili di regolarizzazione su base individuale attraverso l’arraigo che poteva essere legato all’esistenza di una relazione lavorativa – arraigo laboral – o a un determinato livello di integrazione sociale – arraigo social. Questo tentativo di correggere le disfunzionalità del regime di immigrazione attraverso una modalità di regolarizzazione strutturale non ha avuto il successo sperato date le difficoltà pratiche legate alla dimostrazione dei requisiti richiesti soprattutto nell’ambito lavorativo, per cui permanevano nel paese alti livelli di immigrati in situazione irregolare (Arango e Finotelli 2009).

La crisi economica che nel 2008 ha colpito tutti i paesi occidentali è stata particolarmente dura in Spagna dove il significativo aumento dei tassi di disoccupazione ha messo in crisi

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il sistema migratorio portando di fatto alla chiusura di alcuni dei canali di accesso per gli immigrati. La politica di austerity messa in atto dal governo centrale come risposta alla crisi ha provocato nel 2012 la sospensione dei fondi per l’integrazione, lasciando alle istituzioni locali l’onere di finanziare i propri programmi. Molti immigrati presenti nel paese decisero quindi di spostarsi verso altre destinazioni e negli anni successivi si registrò una forte diminuzione nel numero dei permessi di soggiorno rilasciati (Hooper 2019). L’unico provvedimento legislativo elaborato in questo periodo fu la Ley 12/2009 che modificava la precedente Ley de Extranjería e fu necessaria al fine di incorporare le nuove direttive europee in materia di immigrazione, in particolar modo nell’ambito dell’asilo, che analizzeremo in seguito.

Procederemo nei prossimi paragrafi con l’analisi di alcune aree di specifico interesse nella politica migratoria spagnola: il sistema di l’asilo, i territori di Ceuta e Melilla e le pratiche di esternalizzazione delle frontiere.