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La prima fase legislativa: dalla metà degli anni Ottanta fino ai primi anni Novanta

4. La politica migratoria in Spagna

4.1 La prima fase legislativa: dalla metà degli anni Ottanta fino ai primi anni Novanta

Novanta

La Spagna per lunghissimo tempo è stata un paese di emigrazione, con grandi porzioni della popolazione che emigravano verso il continente americano e successivamente verso il Nord Europa. I primi flussi di immigrazione si registravano solo a partire dagli anni Sessanta e Settanta ed essi erano principalmente flussi di ritorno da questi luoghi. A metà degli anni Settanta la crisi economica che ha colpito molti dei paesi europei ha portato quest’ultimi ad elaborare misure maggiormente restrittive verso l’immigrazione. Nello stesso periodo invece, in Spagna l’immigrazione era un problema inesistente a livello istituzionale e non c’era una regolazione normativa specifica per il fenomeno, motivo per cui entrare nel paese era relativamente facile. La Spagna divenne così meta principale di alcuni flussi specifici, in particolare dei rifugiati in fuga dalle dittature militari nel Sud America, dei flussi prodotti dalle restrizioni degli altri paesi – per cui i migranti arrivavano in Spagna in attesa di attraversare le altre frontiere europee - e dei pensionati del centro e nord Europa. Ma fu solo negli anni Ottanta che il paese vide incrementi davvero consistenti nei numeri, iniziando ad essere considerato un paese di immigrazione. Due fattori fondamentali che influirono su questa tendenza furono la fine della dittatura Franchista e la crescita economica che ne conseguì, entrambi elementi che hanno contribuito al miglioramento delle condizioni di vita nel paese e alla nascita di nicchie del mercato del lavoro non più attrattive per i lavoratori spagnoli (Arango e Finotelli 2009). Nonostante la domanda di manodopera iniziasse a crescere, rendendo quindi una regolazione dei flussi necessaria, i governi spagnoli hanno avuto non poche difficoltà nel creare una normativa in materia di immigrazione. Il primo governo socialista instauratosi approvò nel 1984 una Legge sull’asilo e sui rifugiati e nel 1985 la prima Ley de

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extranjería. Queste normative sono state approvate prima che il tema migratorio divenisse di dominio pubblico: i numeri in tal periodo non erano ancora elevati e il fattore principale che spinse all’approvazione della legge fu in realtà l’imminente ingresso nella Comunità Europea, le cui istituzioni richiedevano una legislazione in materia soprattutto con riguardo al controllo delle frontiere in vista dell’espansione degli accordi di Schengen (Arango e Finotelli 2009). Questa prima fase di immigrazione spagnola è stata dunque caratterizzata per una regolamentazione debole e dei programmi insufficienti. I canali presenti per l’assunzione di lavoratori migranti si rivelarono inefficienti a causa del difficile iter burocratico da seguire, per cui per molti datori risultava più conveniente assumere i lavoratori irregolarmente. Tra questi, per esempio, venne elaborato nel 1993 il sistema delle quote o contingente: le aziende inviavano direttamene al ministro del lavoro delle richieste, che venivano valutate da quest’ultimo ed eventualmente inserite nelle quote dell’anno successivo. Se il chiaro obiettivo di questa norma era di favorire la creazione di vie di accesso legali attraverso il reclutamento di forza lavoro, in collaborazione con i paesi terzi, ciò non è stato. Infatti, il contingente ha funzionato più come uno strumento di regolazione degli immigrati già presenti sul territorio piuttosto che per il controllo dei flussi. La combinazione di questi canali di ingresso inadeguati e l’elevata domanda di lavoratori stranieri ha reso l’immigrazione irregolare un fattore strutturale dell’immigrazione spagnola e una delle sfide principali per tutti i governi che anziché favorire la creazione di una politica razionale hanno optato per misure ex-post, attraverso delle regolarizzazioni periodiche (Arango e Finotelli 2009). La prima serie di leggi sull’immigrazione in Spagna mirava dunque al controllo dei flussi migratori al fine di compensare la domanda di manodopera e alla regolazione delle misure di ingresso e soggiorno sul territorio nazionale, mentre gli effetti indiretti provocati da questa legislazione sono stati l’aumento degli stranieri che si ritrovavano in una situazione irregolare e il privilegio garantito ai cittadini dell’Unione Europea e ai richiedenti asilo rispetto agli altri immigrati in arrivo sul territorio (Zincone, Penninx e Borkert 2011).

Nel 1991 venne promossa la prima ampia regolarizzazione, uno degli strumenti principali adottati in politica migratoria in Spagna, richiesta con una mozione da Izquierda Unida ma approvata successivamente da quasi tutti i gruppi interni al parlamento. Si nota quindi come le politiche di regolarizzazione fossero accettate e supportate da tutti gli esponenti politici presenti nel paese: a partire dal 1985 sono stati realizzati 6 programmi di

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regolarizzazione, tre dal Partido Popular – nel 1996, 2000 e 2001 – e tre dal Partido Socialista – nel 1985, 1991 e 2005. Un altro aspetto legato direttamente alla questione delle regolarizzazioni ci porta a parlare del concetto di path dependence, ovvero del fatto che il contesto in cui vengono attuate determinate politiche è fortemente influenzato dal proprio passato, per cui ogni singolo paese avrà bisogno di ricercare risposte che siano in concordanza con tale contesto (Hall e Taylor 1996). A tal proposito l’ingresso della Spagna nell’Unione Europea non comportò solamente un maggiore controllo dei propri confini nell’ottica della libertà di movimento europea, ma richiese al proprio governo di adattarsi e omologarsi ai modelli europei di politica migratoria, i quali erano in generale più restrittivi e con un impronta maggiormente securitaria: se queste politiche risultavano adatte per i paesi del centro-nord Europa, le necessità del mercato del lavoro dei paesi del sud Europa erano differenti da quelle dei primi, per cui politiche in senso restrittivo hanno portato all’aumento dei lavoratori irregolari presenti sul territorio. Le regolarizzazioni erano viste quindi secondo quest’ottica come uno strumento reso necessario per compensare le politiche derivate dall’Unione Europea inadatte al contesto spagnolo (Finotelli 2007).

A partire dalla regolarizzazione del 1991 ha avuto inizio un processo di riforma della politica migratoria in Spagna, reso ancor più necessario dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht nel 1992 e dall’ingresso della Spagna nell’Accordo Schengen nel 1993. Il governo spagnolo decise quindi di creare un ente amministrativo che si occupasse della materia – Dirección General de Migraciones -, venne promossa la politica delle quote lavorative descritta precedentemente e nel 1994 venne creato un Piano di Integrazione Sociale degli Immigrati, il quale rappresentava un primo passo a dimostrazione del nuovo interesse da parte delle istituzioni verso l’aspetto dell’integrazione, e un organismo di partecipazione sociale, il Foro para la Integración social de los inmigrantes, nel quale si trovavano esponenti sia delle amministrazioni che dei sindacati, di Ong e di associazioni di migranti. Nel 1994 venne promossa anche una nuova legislazione sull’asilo, che modificava quella precedentemente introdotta con la legge del 1985, rendendola maggiormente restrittiva. La nuova legge permetteva infatti dei procedimenti più rapidi per il rifiuto delle domande presentate presso la frontiera, omologandosi così ancora una volta a quelle che erano le richieste delle istituzioni sovranazionali. Questa maggiore rigidità della normativa in materia ha portato l’asilo a non rappresentare più un canale di

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ingresso per gli immigrati in Spagna (Zincone, Penninx e Borkert 2011). Si arrivò così alle successive elezioni del 1996 nelle quali per la prima volta il PSOE venne sconfitto dal PP che riuscirà quindi a formare il primo governo di centro-destra dalla fine della dittatura.