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IL BUON GOVERNO E LA DEMOCRAZIA

4.2 I fini subordinati del governo

Sancito che la “greatest happiness” è l’obiettivo principale di ogni governo, Bentham individua nei “subordinate ends” i fini strumentali all’interno della costituzione democratica per la realizzazione della massima felicità. Dopo aver riproposto nella “Legislator’s inaugural declaration”, alla sezione II, che:

“I recognise, as the all-comprehensive, and only right and proper end of government, the greatest happiness of the greatest number of the members of the community”,207

Bentham aggiunge:

“I acknowledge, as and for the specific and direct ends of government, these which follow: I. Positive ends- maximization of subsistence, abundance, security against evil in every shape. (…) These same uncontrovertible ends of all good government, I once more acknowledge accordingly, and in these few words bring together and recapitulate:-Greatest happiness of the greatest number

205

Ivi, pp. 118, 119. Cfr. A. Loche, op. cit., pp. 223-224.

206

A. Loche, op. cit., pp. 224-225.

207

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maximized; national subsistence, abundance, security, and equality maximized.”208

Questi quattro fini costituiscono quelle risorse comuni necessarie a tutti i membri della comunità per il perseguimento dei propri interessi. Essi possono essere divisi in due categorie: la prima che comprende i fini della sussistenza e della sicurezza (fini basilari per la stessa sopravvivenza dell’uomo) mentre la seconda comprende il fine dell’abbondanza e dell’uguaglianza (fini importanti ma non essenziali per la sopravvivenza umana).209

La sussistenza è il fine subordinato principale; senza di esso, la vita del singolo e della società non avrebbe esito. Essa è presentata come un fine talmente ovvio da essere misurata solo riguardo all’estensione, cioè al numero d’individui coinvolti, ed è legata alla sopravvivenza umana. La natura spinge gli uomini a provvedere ai propri bisogni, finché si rispettino le leggi dello stato. Il legislatore, in tal caso, non può agire direttamente.210 Nel Principles of the Civil Code, Bentham afferma:

“All that the law can do is to create motives; that is to say, to establish rewards and punishments, by the influence of which, men shall be induced to furnish subsistence to themselves.”211

In seguito, Bentham aggiunge:

“But the law may indirectly provide for subsistence, by protecting individuals whilst they labour, and by securing to them the fruits of their industry when they have labored. In these cases, the benefit of the law is inestimable.”212

208

Ibid.

209

A. Loche, op. cit., p. 236.

210

Ibid. E cfr. Anche M. L. Guidi, op. cit., pp. 180-183.

211

J. Bentham, The Works of Jeremy Bentham, a cura di J. Bowring, vol. 1, William Tait, Edimburgo, 1838-1843. (In www.libertyfund.org, 27/02/2018).

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In secondo luogo, Bentham afferma che la sussistenza è provvista di due branche: alla base vi sono il lavoro dell’uomo e i frutti di questo lavoro. Il compito primario del legislatore sarà, dunque, quello di assicurare il godimento dei frutti del proprio lavoro ai propri cittadini. La sussistenza si pone, quindi, come un fine con una matrice naturale e artificiale. Per questa ragione si collega con il fine della sicurezza, che ha una matrice artificiale e un raggio d’intervento maggiore.213

La “security” e le “securities” costituiscono l’impalcatura dello stato benthamiano. Le seconde sono uno fra gli strumenti principali di controllo, dopo il “Public Opinion Tribunal”, la prima rappresenta il baluardo contro il malgoverno. Bentham credeva che la sicurezza era la condizione di ogni felicità individuale e sociale e che, quindi, con essa s’indentificava l’obiettivo del legislatore.

Nel Principles of the Civil Code, la sicurezza appare come il “marchio distintivo della civilizzazione”:

“Without law there is no security; consequently no abundance, nor even certain subsistence. And the only equality which can exist in such a condition, is the equality of misery.”214

Tra i quattro fini subordinati, Bentham individua la sicurezza come il principale, poiché da essa dipendono tutti gli altri. La sicurezza costituisce lo strumento fondamentale per il controllo della democrazia rappresentativa. È un fine complesso e comprensivo della stessa libertà, intesa come dimensione delle aspettative individuali. Una condizione priva di sicurezza è quella dei selvaggi. La vita civile, invece, comporta sicurezza e leggi che la garantiscano. Essa è strettamente connessa alla “greatest happiness” e si pone come “conditio sine qua non” della felicità stessa. Un buon governo non potrà

212

Ibid.

213

A. Loche, op. cit., pp. 236, 237. E cfr. anche M. L. Guidi, op. cit. pp. 189-190.

214

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prescindere dal garantire la sicurezza della comunità di cui è capo. Considerando il valore fondamentale che il fine della sicurezza occupa nel progetto politico benthamiano dall’inizio della sua riflessione fino alla svolta democratica, si può cogliere come la dimensione penale abbia occupato una posizione centrale nell’intero sistema filosofico, garantendo la stabilità di una società a misura utilitaristica. In questo senso, si comprende il ruolo fondamentale che Bentham attribuisce al carcere e al tema della detenzione.215 La sicurezza tutela la vita, la salute, la reputazione, la proprietà, ed è, tuttavia, sicurezza anche contro il malgoverno e l'oppressione da parte dei governanti nei confronti dei governati. Così l'individuo è protetto dall'assassinio, dall'imprigionamento, dall'espropriazione non perché abbia un diritto naturale alla vita, alla libertà o alla proprietà ma grazie alla creazione da parte della legge di questi diritti, da ciò scaturisce la sicurezza che conduce alla “greatest happiness”.216

“In order to form a clear idea of the whole extent which ought to be given to the principle of security, it is necessary to consider, that man is not like the brutes, limited to the present time, either in enjoyment or suffering, but that he is susceptible of pleasure and pain by anticipation, and that it is not enough to guard him against an actual loss, but also to guarantee to him, as much as possible, his possessions against future losses. The idea of his security must be prolonged to him throughout the whole vista that his imagination can measure.”217

Rilevante è per Bentham il legame fra sicurezza e proprietà. Lo stato deve garantire ai cittadini il godimento dei propri beni. E questa garanzia dipende dall’esistenza della legge e della sicurezza, poiché, sostiene Bentham, l’idea di proprietà consiste nello

215

A. Loche, op. cit., 240.

216

R. Harrison, H. L. A. Hart, Bentham, in “Philosofical quarterly”, Oxford University Press, Oxford, 1985, pp. 248 ss.

217

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stabilire “un’aspettativa futura”; legge e proprietà nascono e muoiono insieme. Altrettanto rilevante è la riflessione sul rapporto sicurezza-libertà. Bentham non intende la libertà come diritto naturale ovvero come il potere di fare ciò che si vuole. Egli considera unica libertà reale quella consacrata e garantita dalla legge; ma la legge non può creare un diritto se non imponendo un dovere, al cui mancato adempimento segue una sanzione.218 Ecco, quindi, che il sacrificio di una libertà illimitata ma insicura, in cambio di una libertà più ristretta ma più sicura, fosse un atto logico e benefico. La presenza e la funzione delle sanzioni nella teoria politica benthamiana facevano sì che la libertà non potesse sussistere come fine a se stessa ma come subordinata alla sicurezza, poiché il raggiungimento della libertà totale è impraticabile.219 È questo il motivo per cui la libertà come branca della sicurezza non compaia tra i “subordinate ends”. La libertà personale è la sicurezza contro un certo tipo di lesioni che colpiscono la persona e la libertà politica è la sicurezza contro le ingiustizie dei membri del governo.220

La costruzione del tema della “securities” e delle “securities for appropriate aptitude” i concilia pienamente con il fine della filosofia politica benthamiana, in altre parole di collegare il “subordinate end” della sicurezza al tema dei “checks”, accentuando sempre più l’importanza della dimensione politica.

Si diceva che gli altri due fini subordinati hanno uno statuto e un ruolo inferiore rispetto ai primi due: dipendono da essi e non sono indispensabili per la sopravvivenza dell’uomo. In quanto, le leggi hanno il compito di garantire nel miglior modo possibile il perseguimento dei fini subordinati, il legislatore, per Bentham, ha anche il dovere di promuovere l’abbondanza.

Bentham inserisce tra gli strumenti di promozione dell’abbondanza:

218

A. Loche, op. cit., p. 250.

219

Ibid.

220

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“The surplus of the means of subsistence”.221

Inoltre, chi condanna l’abbondanza come un lusso inutile non ha capito la logica per cui:

“The greater the abundance, the more secure is subsistence.”222

In sintesi, l’abbondanza è considerata, da Bentham, strumentale alla sussistenza. Anche con riferimento all’abbondanza, la legge non agisce direttamente, non obbliga gli individui ad accrescere i propri beni e all’opulenza. Anche in questo caso è la natura che spinge l’uomo. La molla che spinge gli esseri umani sono i desideri, che mai si estinguono del tutto. Una volta che un desiderio è stato appagato, ne nascono altri, la cui soddisfazione motiva l’uomo a moltiplicare il suo impegno produttivo, creando abbondanza. La legge garantisce solo una condizione di sicurezza che rende possibile e fruttuoso questo impegno supplementare.223

Ultima è l’analisi del fine dell’uguaglianza, che riveste un ruolo non prioritario, ma neppure marginale all’interno del discorso democratico benthamiano.224 Tra il fine dell’uguaglianza e quello della sicurezza vi è un rapporto difficile:

“Equality, for example, would require a certain distribution of property, which is incompatible with security. (…)Without security, equality itself could not endure a single day. (…) Equality ought not to be favoured, except in cases in which it does not injure security; where it does not disturb the expectations to

221 CC, p. 13. 222 Ibid. 223

A. Loche, op. cit., pp. 236-237.

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which the laws have given birth; where it does not derange the actually established distribution.”225

Il problema è che vi è un’opposizione costante fra il fine dell’uguaglianza e quello della sicurezza: finisce per rappresentare una “finzione verbale”, più volte giudicate pericolose da Bentham. L’inclusione dell’uguaglianza tra i fini subordinati della legislazione si spiega con il fatto, che se il principio di utilità impone la massimizzazione dei beni e l’estensione della capacità di godimento e soddisfazione dei piaceri, l’uso di una distribuzione egualitaria di questi beni e piaceri consente il massimo appagamento per l’uomo.226 La più corretta distribuzione fra queste soddisfazioni è quella che consente il massimo appagamento in ogni caso. Il principio di utilità, in Bentham, non impone una massimizzazione puramente aggregativa dell’utilità, bensì distributiva, con ciò Bentham ha cura di prescrivere al legislatore, riguardo ai piaceri:

“Fa che si estendano ampiamente.”227

È in questa direzione che s’impone il fine dell’uguaglianza. Infatti:

If a quantity of wealth is given to those who have less, the pleasure has increased more than if it were given to those who are richer

228

Inoltre, secondo la legge dell’utilità marginale decrescente:

225

Ivi, Cap. III, pt. 1.

226

F. Ferguson, Utility and Democracy: The Political Thought of Jeremy Bentham, vol. 53, Clarendon Press, Londra, Press, 2011, pp. 533-536.

227

IPML, cit., p. 122.

228

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“"A quantity of pleasure produced by the additions of wealth, gradually decreases, the second will produce less than the first, the third less than the second, and so on.”229

Per questa ragione, almeno in teoria, se una parte di utilità è trasferita da chi ne possiede molta a chi ne possiede poca o nulla, la soddisfazione di chi guadagna sarà maggiore rispetto a alla delusione di chi perde; dunque, il saldo è positivo. Fino all’ipotesi conclusiva che più le disuguaglianze sono appianate, più la proporzione si approssima all’uguaglianza, più sarà grande la somma totale di piacere.230

Una ridistribuzione dei beni che elimina totalmente la disuguaglianza economica può generare, infatti, un forte senso d’insicurezza e diminuire, di conseguenza, l’utilità: ciò impone nel caso di rinunciare all’eguaglianza dal punto di vista economico. L’uguaglianza non è mai un concetto di natura sostanziale, in Bentham, il quale ritiene piuttosto che sia da evitare la creazione di artificiali condizioni d’ineguaglianza che possano portare all’infelicità dei cittadini. 231

A questa conclusione si oppone il fatto che l’uguaglianza non può spingersi a mettere in discussione il fine della sicurezza. La sicurezza si dimostra un principio superiore a tutti gli altri e in particolare, nota Bentham, è superiore all’uguaglianza, infatti:

“When security and equality are in opposition, there should be no hesitation: equality should give way. Equality only produces a certain portion of happiness: besides, though it may be created, it will always be imperfect. The establishment

229 CC. cit., p. 228, 229.

230

G. Samek Lodovici, L'utilità del bene: Jeremy Bentham, l'Utilitarismo e il consequenzialismo, Vita e Pensiero, Milano, 2004, pp. 95 ss.

231

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of equality is a chimera: the only thing which can be done is to diminish inequality.”232

È vero, invece, che l’ambito principale del fine dell’uguaglianza è il suffragio universale.233 L’estensione del suffragio universale è un tema che Bentham ha sviluppato dopo l’ingresso sulla scena delle masse di lavoratori espulsi dal mercato del lavoro in seguito alla crisi economica del 1793. Il problema degli indigenti, in altre parole di chi, non potendo lavorare, si trovava escluso dai benefici sociali, rimette in discussione tutte le teorie precedenti in merito al suffragio e permette di spiegare anche l’importanza della riflessione costituzionale benthamiana presente, in primis, nel CC.234

Bentham, teoricamente favorevole a estendere il suffragio ai non proprietari e in generale a tutte quelle figure che nella società occupavano una posizione di subordinazione, distingue, però, tra il principio di uguaglianza politica in teoria e la sua reale applicazione.235 Bisogna, appunto, costatare che per ragioni di prudenza politica, Bentham all’interno del CC, inserisce una serie di limitazioni al diritto di voto. Le donne, i minorenni fino al compimento del ventunesimo anno di età, gli stranieri e gli analfabeti, vengono esclusi dal corpo elettorale. La ragione di fondo ai limiti posti dall’autore all’elettorato attivo è che una maggiore partecipazione popolare attraverso

232

J. Bentham, The Works of Jeremy Bentham cit., Cap. XI, pt. 1.

233

CC, cit., p. 29.

234

P. Rudan, Bentham e la democrazia totale, Cosmopolis, in “Rivista di Filosofia e Teoria politica”, Editore Morlacchi, Perugia, 2016. (In www.cosmopolisonline.it/articolo.php?numero=XIII12016&id=6, 02/05/2018).

235 Un’altra considerazione, viene avanzata da Paola Rudan, che afferma che: “l’estremizzazione della

società con: da una parte gli “ultra-opulenti” e dall’altra gli “ultra-indigenti”, porta al malfunzionamento del “traffico sociale”, in tal caso, è con l’uguaglianza politica che si riescono a compensare le asimmetrie di potere. Inoltre, per Bentham, era necessario impedire un’eccessiva accumulazione di potere politico da parte di chi già possedeva un potere sociale derivato dal sesso o dalla proprietà. La stessa logica doveva applicarsi ai lavoratori poveri. La legge che regolava il suffragio non doveva concedere ai ricchi di opprimere e depredare i poveri. Bentham, così, offriva ai poveri gli strumenti per far valere i loro interessi attraverso i legittimi canali della rappresentanza politica. Per questa ragione, nessuno doveva essere escluso dalla rappresentanza, così come nessuno poteva essere escluso dalla società senza diventare una minaccia”. (P. Rudan, Bentham e la democrazia totale cit.,).

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un suffragio universale che comprendesse anche i non proprietari e gli indigenti, avrebbe destabilizzato le istituzioni e l’ordine sociale.

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CAPITOLO V:

LA DIMENSIONE PENALE E IL PROGETTO DEL

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