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IL PRINCIPIO DELLA MASSIMA FELICITÁ IN UNA PROSPETTIVA POLITICO-GIURIDICA

3.2 La critica al “common law”

3.2.1 La critica al giusnaturalismo

Oltre alla tesi del common law, la scuola del diritto naturale costituisce l’altro bersaglio polemico nella filosofia di Bentham. Nel criticarla egli assume un duplice punto di vista: da una parte, analizza l’importanza della legge di natura, dall’altra parte polemizza contro il diritto naturale e l’uso politico che di esso si è fatto. La riflessione di Bentham s’inserisce in un discorso molto più ampio all’interno della filosofia britannica a cavallo fra il Settecento e l’Ottocento, in esposto alle formulazioni più importanti del giusnaturalismo del secolo precedente, si pensi a Hobbes, Locke, ai Livellatori e Hooker. Nel XVIII si sviluppano vari movimenti di pensiero: chi giustifica le teorie sul diritto naturale ai temi “whig”, chi le confuta come Hume e in seguito Helvétius e Beccaria. Bentham si configura come avverso a tutta la teoria del diritto

127

F. Ferraro, Legislazione e felicità. Dall'Utilitarismo di Helvetius a quello di Bentham, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, Fascicolo 2, Il Mulino, Bologna, 2016, pp. 324 ss.

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D. Baumgardt, op. cit., pp. 123, 127 e ss.

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naturale, dal punto di vista metodologico e soprattutto politico poiché contrastava con il suo “torysmo” giovanile e la sua teoria della democrazia.130

Per meglio comprendere quest’avversione benthamiana giova, appunto, il confronto con le riflessioni sul giusnaturalismo sei-settecentesco. Uno tra i più noti giusnaturalisti del Seicento era Thomas Hobbes. Nelle sue due opere fondamentali, quali il De Cive del 1642 e il Leviatano pubblicato del 1651, inserisce la sua concezione sulle leggi naturali. Nella distinzione fra “jus” e “lex” operata da Hobbes si collocano dei risvolti teorici e politici ben precisi, la legge di natura viene vista come lo strumento per la previsione delle conseguenze alle azioni dei singoli uomini e che consente soprattutto la sopravvivenza individuale. Il diritto di natura, dunque, regola i rapporti tra gli individui, ma si esaurisce alla realizzazione dello scopo primario del singolo ovvero la conservazione della propria vita.131 Uno degli assunti comuni a tutti i filosofi giusnaturalisti era il concetto di “stato di natura”. Per Hobbes lo stato di natura è la condizione dove l’uomo vive isolato dal resto degli individui ed è portato a temere la morte violenta per mano altrui.132

Il problema essenziale riscontrato da Bentham è, appunto, il passaggio dallo stato di natura allo stato di società. Hobbes rileva come l’elemento cardine dello stato di società sia, a dispetto delle tendenze egoistiche individuali, l’unità e di conseguenza, la società non può che essere retta da un rigido potere monocratico, vale a dire il potere di un uomo solo, un sovrano assoluto.133

130

C. Martinelli, Diritto e diritti oltre la Manica, Il Mulino, Bologna, 2014, pp. 65,66. E Cfr. A. Loche, op. cit., p. 59.

131

T. Hobbes, De Cive: Elementi filosofici sul cittadino, a cura di Tito Magri, Editori Riuniti, Roma, 1992, p. 77.

132

A. Loche, op. cit., p. 61,62. E cfr. C. Martinelli, op. cit., pp. 87 ss.

133

C. Martinelli, op. cit., pp. 257 ss. E cfr. L. Strauss, Diritto naturale e storia, a cura di Nicola Pieri, Neri Pozza Editore, Venezia, 1957, pp. 174-175.

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Il rapporto che intercorre tra il diritto naturale e positivo in Hobbes influisce molto la concezione benthamiana sulle leggi positive. Ciò si evince dalla visione che Bentham ha delle leggi positive. Hobbes conferisce alle leggi naturali il rango di semplici disposizioni, da quest’assunto Bentham prenderà spunto per sottolineare la natura fittizia di ogni legge che non sia positiva.

È necessario ai fini della nostra dissertazione, fare riferimento a un altro illustre giusnaturalista del tempo, vale a dire John Locke. Egli conferisce alla “lex naturalis” la capacità di esprimere una volontà e ritiene che questa possieda:

“All that is necessary to make a law binding.”134

Nei Trattati sul Governo, opere pubblicate nel 1689 da Locke, le leggi naturali sono considerate al pari delle leggi positive. La formulazione lockiana sullo stato di natura riconosce agli uomini un’uguaglianza di fatto. In conclusione secondo la prospettiva lockiana il passaggio dal diritto naturale al diritto positivo avviene a causa dell’incertezza dello stato di natura.135

Le due concezioni illustrate sopra saranno prese da Bentham come punto di partenza per l’analisi che egli conduce sul diritto di natura. Nelle sue opere la polemica al giusnaturalismo è presente a diversi livelli. In un primo momento, Bentham s’interessa allo studio delle leggi di natura e al loro rapporto con le leggi positive, tenendo conto della posizione adottata da Blackstone nei Commentaries. L’analisi che conduce è strettamente legata a quella sul common law. Successivamente e a causa degli sviluppi

Secondo A. Loche: “L’estraneità di Hobbes alla prospettiva politica liberale verrà a essere per Bentham un punto di riferimento obbligato nella teoria politica che, come per altro verso la teoria giuridica, tenda alla riforma muovendosi entro un ambito di discorso autonomo e, appunto, non-liberale nella misura in cui prevede sempre una presenza importante dello stato nella società”. (Cit., A. Loche, op. cit., p. 63).

134

J. Locke, Essays on the Law of Nature, a cura di Von Leyden, Clarendon Press, Oxford, 1958, cit., p. 87.

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della rivoluzione francese, egli volgerà la sua attenzione più che al diritto di natura in sé, alle sue implicazioni e al suo utilizzo in politica.136

Il primo livello di analisi parte dalla critica linguistica e dallo studio delle definizioni. Nelle opere giovanili, Bentham considera il diritto naturale come una legge dal carattere immaginario. Ad esempio, in A Comment on the Commentaries egli parla del “phantom of the law of nature”137 mentre in A Fragment e nell’IPML si riferisce alla “immaginary law of nature”138

. La legge naturale per Bentham è di per sé priva di un referente ontologico, non a caso identificata spesso con nomi e contenuti differenti. Molto rilevante è la critica opposta da Bentham a un brano che Blackstone riporta da Giustiniano, il quale ridusse a tre precetti generali l’intera dottrina giuridica: “Vivere onestamente, non offendere nessuno, dare a ognuno ciò che gli spetta”.139 Bentham osserva che, per “jus”, Giustiniano fa riferimento al diritto in generale mentre Blackstone intende i principi primi della legge di natura.140 Bentham non condivide nemmeno il concetto di felicità nell’interpretazione che ne fa Blackstone come qualcosa che ha origine in Dio ed era collegata al concetto di “giusto” o “ingiusto”. Per giusto e giustizia, Bentham intende dei referenti ontologici completamente diversi dal termine felicità: poiché essi derivano dalle leggi positive; mentre la felicità si configura come lo scopo primario del governo.141

Dal punto di vista dell’autore, la legge naturale non risponde a nessun requisito che caratterizza, di fatto, una legge, la quale deve essere in primis positiva, posta cioè dall’uomo. Alla criticità presente in A Comment segue la tendenza alla codificazione delle leggi nelle opere successive. Di là dei cambiamenti prospettici presenti nel

136

A. Loche, op. cit., pp. 64 ss.

137

FG, cit., p. 17.

138

IPML, p. 297.

139

W. Blackstone, op. cit., cit. p. 40.

140

Ibid.

141

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pensiero benthamiano, i concetti chiave e l’avversione verso la legge di natura rimangono tali.

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