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Il concetto di Società politica vs Società naturale

IL PRINCIPIO DELLA MASSIMA FELICITÁ IN UNA PROSPETTIVA POLITICO-GIURIDICA

3.3 Il concetto di Società politica vs Società naturale

Se Bentham è stato consacrato come il “padre del giuspositivismo” è anche per la sua critica sullo stato di natura, così definito:

“Lo stato in cui gli uomini sono, o si suppone che siano prima che essi si trovino sotto un governo.”148

Per Blackstone lo stato di natura è la condizione primordiale di esistenza degli uomini, che poi spinti dai bisogni e dalle paure hanno dato vita alla società politica. Per Bentham ciò avrebbe significato negare qualche forma societaria nel passato. In realtà, Blackstone afferma che si può chiamare società anche il semplice nucleo familiare, destinato con il tempo a estendersi fino a dare luogo alle società di stampo agricolo e pastorale.149 Blackstone confonde i termini “società” e “stato” che in alcuni passi dei

Commentaries sembrano essere sinonimi, in altri invece, contrari.

Il significato di società naturale, per Bentham è:

“Un’idea negativa. L’idea di società politica è invece positiva. Quando un numero di persone, si pensa che abbia l’abitudine di obbedire a una persona, (…) si dice che siano in uno stato di società politica.”150

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FG, nota 4, p. 87.

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A. Loche, op. cit., p. 150-151.

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Blackstone crede che la diretta conseguenza della creazione della società è l’istituzione di un governo e un giudice. Senza questi due organi, nessuno obbedirebbe alle leggi comunitarie, sconvolgendo l’ordine sociale e portando gli individui a tornare allo stato di natura.Per Bentham, all’istituzione della società “avrebbe dovuto” seguire la nascita del governo, mentre il rispetto delle leggi da parte dei membri della società è subordinato al carattere deterrente delle pene. In definitiva, l’obiettivo della critica alla tesi contrattualistica è dimostrare che è il contratto a trarre la sua efficacia dall’istituzione del governo e non viceversa.151

D’altra parte, Bentham allo stesso modo in cui rifiuta l’ipotesi di uno stato di natura, nega anche che possa esistere uno stato in cui l’abitudine all’obbedienza o “habit of obedience” sia perfetta. All’interno del Frammento, il potere supremo è definito in relazione ad un rapporto fra sudditi e autorità, che si concretizza nella “disposizione ad obbedire”:

“I Re devono mantenersi all’interno di leggi stabilite e astenersi da tutte quelle misure che tendano all’infelicità dei loro sudditi; dall’altra parte i sudditi devono obbedire ai Re finché i probabili danni dell’obbedienza sono minori dei probabili danni della resistenza.”152

La relazione tra la quantità di obbedienza e la stabilità del governo serve a spiegare lo sviluppo di uno stato forte o debole e costituisce una variabile nella stabilità del governo. Come spiega Bentham:

“Dati un periodo di durata della società, il numero delle persone da cui è composta durante quel periodo, e il numero degli oggetti di dovere, l’abitudine

151

Ivi, pp. 156-159.

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all’obbedienza sarà più o meno perfetta in rapporto agli atti di obbedienza rispetto a quelli di disobbedienza.”153

Più era alto il livello di obbedienza, maggiormente il sovrano è considerato come assoluto. Questa concezione è destinata ad affinarsi nelle considerazioni sulla sovranità che Bentham sviluppa in OLG:

“Considered in this point of view, the will of which it is the expression must, as the definition intimates, be the will of the sovereign in a state. Now by a sovereign I mean any person or assemblage of persons to whose will a whole political community are supposed to be in a position to pay obedience: and that in preference to the will of any other person.”154

In concreto, la disposizione all’obbedienza s’impone sul suddito dando vita ad una relazione bilaterale con il sovrano. L’obbedienza è assicurata con l’ottenimento della massima felicità da parte dei sudditi.155

L’autore del FG cerca di fare chiarezza su un punto: supponendo la veridicità del patto siglato fra il re e i sudditi, in cui il popolo promette obbedienza al sovrano e quest’ultimo s’impegna a governare garantendo la felicità dei suoi sudditi, occorre in concreto verificare se il re agisce a favore o contro la felicità del suo popolo. Da ciò, in particolare, dovrebbe scaturire la scelta se continuare a obbedirgli.156 Solo il principio di utilità può sorreggere la scelta dei sudditi, se sottomettersi o no alla sovranità del re.

Sembra, inoltre, che Bentham attribuisce al sovrano un carattere assoluto, ma, nella realtà, esso ha determinati limiti. Il sovrano è dotato di una “potestà forte”, con poteri

153 FG, cit., p. 91. 154 OLG, cit., p.18. 155

G. Pellegrino, La fabbrica della felicità cit., p. 20.

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estesi ma “legali”, non illimitati ma in grado di funzionare efficacemente.157 Uno dei compiti principali del sovrano è di assicurarsi un’abitudine all’obbedienza nel presente e una disposizione all’obbedienza futura. A sua volta il suddito avrebbe dovuto prestare obbedienza al sovrano, nella prospettiva di quelle relazioni-scambio fra il diritto che un individuo vanta verso l’altro e viceversa. La connessione fra diritti e doveri è strettamente collegata al tema della punizione, il cui scopo primario è di impedire che i cittadini violino la legge.158 Nel primo Bentham, il concetto di sovranità e di disposizione all’obbedienza sono trattati in maniera tradizionale senza spazio per il riconoscimento del tema della resistenza. Nelle opere successive come Anarchical

Fallacies, appare, invece, evidente l’importanza di contenere la società politica

all’interno di confini precisi, dentro rapporti di potere che evitino conflitti sociali, suscettibili di sfociare facilmente nell’anarchia. Bentham era sostanzialmente ostile a ogni tipo di rivolta o rivoluzione, ma è disposto ad ammetterle in linea teorica quando corrispondono ai dettami dell’utilità. Il motto dei sudditi, indicato da Bentham, è appunto:

“ Obbedire puntualmente, censurare liberamente.”159

Obbedire e censurare sono quindi le azioni prescritte da Bentham, così che il buon cittadino si distingue dal cattivo suddito, non solo obbedendo, ma soprattutto esercitando una libera critica nei confronti dello stato. Bentham guarda alla libera critica come a un elemento capace di mostrare il significato di obbedienza, alla ricerca di strumenti per limitare la forza del potere supremo.

157

A. Loche, op. cit., pp. 174-175.

158

Bentham si sofferma sulle punizioni adottate del sovrano nel capitolo XIII dell’IPML, esponendo alcuni casi in cui il sovrano non aveva l’obbligo di infliggere una sanzione, in altre parole nel caso d’infondatezza e inefficacia e nei casi in cui la pena non era proficua, troppo costosa e superflua. (IPML, pp. 271-278).

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I possibili limiti del sovrano sono citati nel capitolo VI di Of Laws in General, dove il tema principale è quello della “leges in principem”, cioè di quelle leggi che si differenziano dalle “leges in subditos out in populum”, volte a prescrivere al popolo cosa fare.160 Le prime sono raccomandazioni per il sovrano e i suoi successori, infatti, indirizzano questi nel loro operato. Per la definizione che Bentham da di legge, queste regole di condotta possono limitare le azioni del re, in altre parole la sua sovranità.161 Negli scritti giovanili, Bentham concepisce, peraltro, il potere politico come privo di limiti, secondo un assioma ereditato dalla tradizione hobbesiana. È nell’opera OLG, che matura la necessità di limitare il potere del sovrano, e le “leges in principem” corrispondono allo scopo. Esse suggeriscono al sovrano la condotta istituzionale da tenere, poiché da lui stesso volute devono imporsi sulla persona.162 Ciò presuppone che, nel caso d’inadempienza, il sovrano può essere punito. Allo stesso tempo, era vero che il sovrano avrebbe potuto sciogliere il vincolo che lo obbligava a seguire la legge da lui stesso emanata. Per questa ragione, Bentham ha previsto la possibilità di assegnare a una terza persona il compito di sanzionare il sovrano. Per il carattere cogente delle leggi, Bentham ha individuato in un “giudice speciale” il titolare di questo compito ma l’autorità di questo “giudice” non può che discendere dall’autorità del sovrano stesso. Il limite che a quest’ultimo s’impone, è costituito dalle cosiddette “sanzioni”163 di natura morale; in quanto la sanzione fisica o quella politica sono inapplicabili sul potere del sovrano. Al riguardo, nel capitolo VI dell’opera OLG, Bentham che pur rifiuta la teoria della separazione dei poteri, ne prevede una parziale “distribuzione”. Egli era giunto alla convinzione che all’interno di uno stato possono convivere due organi: il sovrano che possiede l’intero potere dello stato e il giudice che ha il potere di giudicarlo. In tal

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OLG, pp. 64, 65, 66. Le “leges in principem”, sostiene Postema, si devono intendere come leggi costituzionali ma con uno statuto speciale rispetto a tutte le altre. Egli appunto le riporta alla dimensione sociale e consuetudinaria (G. J. Postema, Bentham cit., cit., p. 253).

161

A. Loche, op. cit., p. 182.

162

OLG, p. 67.

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proposito, la sovranità non risiede esclusivamente in uno dei due ma in entrambi gli organi, poiché il sovrano la esercita in modo costante nel tempo a differenza del giudice che la esercita una tantum e quando è necessario.164

La mancanza di fiducia nel contratto sociale, caratteristica fondamentale dell’ottica “whig”165

, ha costituito un espediente per associare Bentham al conservatorismo. In verità, il contratto sociale è un concetto che Bentham giudicava ormai obsoleto, adatto per il diciassettesimo secolo, ma non per il diciottesimo, se non in termini di strumentalizzazioni politiche.166 I temi di cui abbiamo trattato sono questioni di natura costituzionale (la distribuzione del potere, la fonte della sovranità), questioni di politica istituzionale (il rapporto fra governanti e governati e la responsabilità dei governanti) e questioni concernenti i diritti civili (la libertà di stampa e associazione). Passa attraverso questa riflessione l’avvio allo sviluppo di temi democratici.

164

OLG, pp. 68-69.

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“Whig” è uno dei partiti politici attivo tra il tardo Seicento e la metà dell'Ottocento in Inghilterra. È considerato opposto ai “Tory”, per le sue connotazioni di tolleranza sociale e religiosa. Il nome originale era “Country Party” (opposti ai Tory, il Court Party). Le origini dei Whig si rifanno alla monarchia Costituzionale, mentre i loro avversari si richiamavano all'assolutismo monarchico, (Miller, David Philip, The 'Hardwicke Circle': The Whig Supremacy and Its Demise in the 18th-Century, vol. 52, Royal Society, Londra, 1998, pp. 73–81).

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CAPITOLO IV:

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