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I FLARE-UP SUCCESSIVI (1999-2005)

Dal 1999 il Governo cinese passò dalle semplici contestazioni verbali all’aumentare la frequenza della propria presenza fisica nell’area disputata, inviando pescherecci e imbarcazioni per la ricerca scientifica nelle acque territoriali delle Senkaku/Diaoyu.70

Nel 2000 il Sankei Shimbun riportò che un gruppo di attivisti giapponesi di destra approdarono sulle Senkaku/Diaoyu e costruirono un santuario shintoista in onore dei giapponesi morti di fame sulle isole durante la Seconda Guerra Mondiale, programmando anche di permettere ad alcuni sacerdoti shintoisti di vivere nel santuario. Ning Fukui, Vice- direttore del Dipartamento degli Affari Asiatici del Ministero degli Esteri cinese, insistette perché il santuario venisse rimosso e che il Giappone assicurasse che un episodio del genere non si sarebbe mai più verificato. Takanori Kitamura, Ministro dell’Ambasciata giapponese a Pechino, rispose che il Governo giapponese era a conoscenza del fatto che gli attivisti della Japanase Youth Federation avevano compiuto una spedizione sulle isole ma di ignorare la natura delle loro attività e che essa avesse come scopo la costruzione di un santuario. Kitamura contestò tuttavia che in base al diritto internazionale l’arcipelago era territorio integrale del Giappone e che le rivendicazioni cinesi fossero semplicemente “infondate.”71

Nel giugno del 2003 un altro tentativo da parte di alcune imbarcazioni cinesi di raggiungere le isole fu bloccato dalla Guardia Costiera giapponese e fallì.72

Il 24 marzo 2004 sette attivisti cinesi riuscirono a sbarcare sulle isole e furono arrestati dalla Guardia Costiera giapponese per aver violato la legge nipponica. Essi furono trattenuti per due giorni prima di essere riportati a Shanghai. L’azione avrebbe avuto come obiettivo quello di dissuadere il leader Junichiro Koizumi alla modifica dell’articolo 9 della Costituzione giapponese73 e che il Giappone assumesse una posizione differente da quella implicitamente favorevole all’indipendenza di Taiwan che aveva professato in precedenza. Il piano cinese sembrava non mirare a cambiare la situazione esistente quanto a “plagiare” l’atteggiamento giapponese su altre problematiche ancora irrisolte, ricorrendo a due

69 Min Gyo KOO, Island Disputes…, cit., pp. 349-353. 70 Zhongqi PAN, Sino-Japanese Dispute…, cit., p. 75.

71 China fumes over rightists’ shrine on Senkaku Islands, in “The Japan Times”, 01-05-2000,

http://www.japantimes.co.jp/news/2000/05/01/national/china-fumes-over-rightists-shrine-on-senkaku- islands/#.VoQ4TTa5dLw, 14-12-2015.

72 Zhongqi PAN, Sino-Japanese Dispute…, cit., p. 75.

73 L’articolo 9 della Costituzione giapponese ufficialmente ratificata nel 1947 vieta l’uso della forza e il ricorso ad atti di guerra per risolvere le contese con altri Stati. Proibisce inoltre al Giappone il dispiegamento di Forze Armate offensive, consentendo al Paese di disporre di unità militari a scopo autodifensivo.

particolari strategie diplomatiche alle quali ci si riferisce con i termini di issue linkage e

coercitive diplomacy.

La prima ha come scopo quello di far capire alla controparte che non è possibile risolvere una controversia se un’altra è rimasta aperta, mentre la seconda consiste nel condurre la controparte a prendere un’altra posizione su una determinata disputa, preparando il terreno per atti militari, per l’uso della forza o strumenti di coercizione più prepotenti.74

Successivamente all’incidente alcuni protestanti cinesi bruciarono bandiere nipponiche di fronte all’Ambasciata giapponese a Pechino, protestando non solo per quanto accaduto sulle isole ma anche criticando duramente le ricorrenti visite del Primo Ministro Koizumi al tempio Yasukuni, facendo eco all’opinione diffusa in tutta la Cina che il Giappone non si fosse mai scusato adeguatamente per le atrocità commesse durante la Seconda Guerra Mondiale. A causa della crescente pressione pubblica non fu più possibile per il Governo cinese accantonare o sminuire la disputa come aveva fatto in passato, dovette invece asserire esplicitamente la sovranità cinese sulle isole ed escludere qualsiasi compromesso.75

Il 23 aprile 2004 un gruppo di attivisti di destra giapponesi spinse un autobus all’interno del Consolato cinese a Osaka in risposta alle rivendicazioni della RPC, causando un’ondata di proteste da parte di Pechino e del popolo cinese.

Questi scontri tempestosi tra i rispettivi nazionalismi altro non fecero che amplificare la competizione. Il 7 maggio 2004 la Cina iniziò la costruzione di una struttura per l’estrazione di gas naturali all’interno dell’area contesa, costringendo il Giappone a dare inizio a test di trivellazione del fondale marino. La Cina contestò il diritto del Giappone di esplorare l’area a Est della linea mediana tra i due Paesi, linea che il Giappone stesso aveva demarcato come confine della propria ZEE.76 Nel mese di luglio il popolo cinese protestò contro le “illegali” attività di ricerca del Giappone di fronte all’Ambasciata giapponese a Pechino e manifestò il proprio malessere di fronte alle rivendicazioni di Tokyo anche in occasione della Coppa d’Asia di calcio tenutasi nella capitale cinese in agosto, dove i tifosi mostravano cartelloni rivendicanti le Senkaku/Diaoyu come parte integrante del territorio cinese e fischiavano ogni volta che la palla fosse in possesso dei giocatori giapponesi. Nonostante il secondo posto nella Coppa d’Asia di quell’anno, il Giappone s’infuriò di fronte alle molestie del pubblico cinese nei confronti della nazionale giapponese. Per gli esperti l’estate del 2004 toccò uno dei picchi più bassi nell’andamento delle relazioni sino-giapponesi nell’era della post-normalizzazione delle relazioni bilaterali.77

Nel gennaio del 2005 la Japan Petrolium Exploration Company e la Teikeku Oil Company iniziarono i patteggiamenti con il Governo giapponese per l’autorizzazione a test di trivellazione dei gas naturali dal fondale marino nelle prossimità dell’area contestata. Il 23 aprile 2005, quando entrambe le compagnie ottennero i permessi necessari all’avvio delle attività di perforazione nelle acque territoriali a Est della linea mediana confinante con la Cina, il Ministro degli Esteri cinese dichiarò che “in atteggiamento di sfida contro l’asserzione di legittimità della Cina, il Giappone stava cercando di autoaffermare le sue rivendicazioni sulla

74 Rodolfo BASTIANELLI, Diaoyu/Senkaku, storia delle isole contese tra Cina e Giappone, in “Limes – Rivista Italiana di Geopolitica”, 10-01-2013, disponibile online all’indirizzo: http://www.limesonline.com/isole- senkaku-scenari-attuali-di-una-disputa-antica-tra-cina-e-giappone/41312, 17-12-2015.

75 Min Gyo KOO, Island Disputes…, cit., p. 355. 76 Zhongqi PAN, Sino-Japanese Dispute…, cit., p. 76. 77 Min Gyo KOO, Island Disputes…, cit., p. 357.

linea mediana di confine, atto che il Governo cinese non avrebbe mai accettato, pertanto le azioni giapponesi rappresentavano una forte provocazione nei confronti degli interessi cinesi e delle norme internazionali.”78

I flare-up di questo biennio dimostrano che i cambiamenti in campo energetico in Asia Orientale stiano creando rischi aggiuntivi alla già tormentate relazioni sino-giapponesi, orientate ancora verso il passato. La Cina è al momento la seconda consumatrice d’energia al mondo subito dopo gli Stati Uniti, ha sorpassato il Giappone che occupava questa posizione anche come maggior consumatrice di petrolio nel 2003. L’aumentare della domanda e dell’importazione di petrolio in Cina l’ha resa un attore rilevante sulla scena del mercato del petrolio globale. I problemi energetici che stanno emergendo in Asia Orientale trascendono i confini esistenti tra i concetti di scambio e sicurezza, alimentando la situazione d’incertezza politica ed economica nella regione.79

1.9 IL COMMERCIO DELLE TERRE RARE COME ARMA DIPLOMATICA (2010)